Recensione dello spettacolo Girotondo in scena al Teatro Planet dal 14 al 30 ottobre 2016
Otto storie, otto personaggi che si rincorrono e si intrecciano l’un l’altro in una vorticosa danza dell’eros che comincia dove finisce sino a trascinarsi all’infinito.
È il capolavoro teatrale di Arthur Schnitzler, Girotondo, rappresentato per la prima volta nel 1920 dopo la fine della grande guerra che suscitò grande clamore e scandalo per il cinismo con cui vengono rappresentati i rapporti tra cinque uomini e altrettante donne uniti da un filo comune: il sesso. Bollato all’epoca come pornografico, e per ciò soggetto a procedimento giudiziario, Girotondo è una commedia resa attuale dal tono drammaturgico di Schnitzler, dal suo disincanto spinto ai limiti del virtuosismo, dall’ironia che sconfina nell’amarezza che disvela la fallacia delle norme morali dominanti nella società viennese del tempo e, aggiungiamo, di quello contemporaneo.
Nella versione originale l’opera raccoglie dieci storie, mentre nella versione riadattata e proposta dalla Compagnia “Scatola con vista”, per la regia e l’adattamento di Caterina Costantini, al Teatro Planet le storie diventano otto, suddivise in quattro scene dove i personaggi dialogano due alla volta.
Lo spettacolo ha inizio con tutti e otto i personaggi che avanzano sul palcoscenico con il volto coperto dalle maschere (quasi a ricordare la trama di Doppio Sogno, altro capolavoro dell’autore austriaco trasposto al cinema da Stanley Kubrick e a teatro da Giancarlo Marinelli). Parlano tutti assieme pronunciando frasi sconnesse e senza senso. Segue un turbinio di balletti che apre e chiude la prima e ultima scena in un girotondo, il cui intento sembra riportare la mente dello spettatore al simbolo matematico dell’infinito (che, guarda caso, ha la forma di un otto capovolto, tanti quanti sono gli attori presenti sul palcoscenico). Ma, dicevamo, i personaggi. Essi appartengono a differenti classi sociali e umane: il giovane signore, la cameriera, la giovane signora, il marito, la ragazzina, il poeta, il conte e l’attrice.
L’intreccio è l’incontro degli otto protagonisti divisi in quattro quadri dove dialogano due per volta: ogni conversazione si chiude immancabilmente con un atto sessuale e dove uno dei due personaggi è anche protagonista della scena successiva. In parole povere, l’ultimo protagonista della scena che si è appena chiusa dà l’incipit alla scena che sta per aprirsi. Questo meccanismo così congeniato ha l’effetto di creare un concatenarsi di atti sessuali che legano le sorti dell’intera vicenda ma che, in sé e per sé, non è supportata da alcuna trama. Ed eccolo il girotondo: quando l’ultimo personaggio entra in scena la danza sessuale ha termine. O meglio, si ricomincia tutto da capo. Fino all’infinito.
Di tutti gli autori appartenenti alla corrente del Decadentismo, Schnitzler è stato l’unico in grado di cogliere e di mettere a fuoco la crisi dell’individuo di fronte alla realtà dell’esistenza, emblematici sono i rapporti individuali e sociali che caratterizzano i personaggi nelle sue opere, non sempre di facile lettura spesso narrati e rappresentati in chiave criptica.
Girotondo è uno di quei testi che racconta l’impossibilità di amare, in cui i contatti umani sono ridotti a mero comportamento sessuale, pura furia che trova forma negli istinti e negli intenti tipici delle bestie. Di fatto, l’atto sessuale che conclude ogni scena è preceduto da un corteggiamento, una sorta di rito o danza dell’accoppiamento che spesso si riscontra nel regno animale: i dialoghi e le interazioni tra i personaggi risaltano l’aspetto ironico, comico e grottesco – che gli attori, bravissimi, hanno saputo rendere a perfezione calandosi nella parte – di una comunicazione che tende solo a celarne i veri intenti, regalando diversi quadri/scene dove l’amore diviene soltanto ricerca del piacere fisico.
Girotondo insomma è un testo teatrale che racconta senza raccontare, che mette in scena vizi, istinti, banalità e ridicolaggini senza mostrare troppo, che scopre il personaggio nella sua veste sociale ma senza smascherarlo del tutto (gli attori, al termine delle scene e prima della fine della rappresentazione, tornano ad indossare le maschere), ma che, soprattutto, mette a nudo il personaggio spogliandolo dalle convenzioni e dalla retorica del quotidiano per renderlo, agli occhi di chi osserva, irresistibilmente e schiettamente umano.
Costanza Carla Iannacone
24/10/2016