Recensione dello spettacolo Astolfo on the moon in scena al Kollatino Underground dal 21 al 23 ottobre 2016
L’Orlando furioso: facile lo so…aspè, Boccaccio? No volevo dire, Boiardo! Quasi?..vabbè allora Tasso!! » Torniamo un po’ sui banchi di scuola:
Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
Certo, è un chiasmo e poi? «Boh! Quello, Ariosto – si era Ariosto – era difficile, iniziava in un modo, che neanche si capiva più di tanto, e poi si perdeva…che poi pr’ssò…so 500 pagine, dice Wikipedia. Che poi senza wifi sull’iphone neanche me lo scarica; ma non possiamo legge quello che sfuma col rosso?»
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che sì saggio era stimato prima;
“Ma che ne sanno i 2000?” vi starete chiedendo, parafrasando “vate” sicuramente minor del cantore estense. E, difatti, probabilmente, è un po’ quello che si sono domandati anche i ragazzi della compagnia ALT (Ansi Lumen Teatro) che da due anni portano in giro per i teatri capitolini il loro Astolfo on the moon, liberamente – molto vien da dire – tratto dal sommo Ariosto e dal suo Orlando e inscenato dal 21 al 23 ottobre al teatro Kollatino Underground.
La mente umana è capace di far voli pindarici, salire sulle ali di un cavallo, trasformandolo in ippogrifo, giungere alla luna, perdersi nell’inferno dell’Eden e ridiscendere con fare eroico ed…un pugno di mosche: questo se non si tiene il filo della trama in pugno. Facile studiare quando c’erano solo i libri e quando l’arme/gli amor/le audaci imprese/io canto erano un quarto dell’ottava d’oro da imparare a menadito, è? Concentratevi voi, ora, hic et nunc con davanti un pc youtubeggiante di capre urlatrici, uno (o più) smartphone wazzappanti di “bella brò” e “daje sista”, ipod spoty-fy-ggianti di Fedez: la trama, insomma, si perde in un lampo, un po’ come Orlando perse il suo senno, no?
Se non avete ben capito…è normale e per certi versi è fisiologico segno dei tempi: i panni di un teenager moderno sono difficili da calzare. Vi guarda e non ascolta, vi ascolta e non vi sente, perso tra la sua Africa mentale e, col senno di poi, troppo preso da una tecnologia talmente fantastica che…fa passar la fantasia. E apostrofatelo poi con “Erculea prole”, lo prende quasi a insulto, vi guarda un po’ stonato e – come la capra urlante – alla domanda «Hai fatto la parafrasi di Orlando?», vi dirà: «Vorrei, ma non posto!».
Tutto questo era il preambolo, Ariosto lo apprezzerebbe. Il resto è uno spettacolo tra il didattico e l’onirico, uno scolastico astratto ritratto di ciò che una giovane mente, trovandosi di fronte al più classico dei classici, al più astruso degli astrusi, al più vago dei vagheggi, potrebbe sperimentar in un noioso meriggio più pallido che assorto. Astolfo va sulla luna, prende il senno e torna indietro: fine. Eh no, troppo facile: e le avventure? E l’ippogrifo? Le Arpie? Il monologo di Lidia (“eccheppalle!” esclama il giovane studente – Cosmo nella fattispecie – avvilito da cotanto elargir di favella)? Enoch, San Giovanni ed Elia? Il corno, il mirto, il carro di Elia, il cerchio di fuoco e l’ampolla con “l’orlandico” senno? Insomma, tutte le mirabolanti avventure che il “di Orlando cugino” Astolfo deve intraprendere per portare a termine la sua missione? «Ah quelle? Stanno qua, le ho zippate…» appunto: messe nell’icloud dell’oblio. Perché il testo non ha voce e il resto è memoria. Memoria da trasmettere e ricordare, da raccontare e tramandare, di libro in libro, di canto in canto, di ottava in ottava…di iphone in tablet.
Una cavalcata, quella di Astolfo, sì eroica quanto fatale, sì determinante quanto vana se poi non lascia l’orma nella testa del lettore. Così, essa rischia di apparire fredda, contorta, incomprensibile agli occhi di un giovane lettore contemporaneo: “bisognerebbe provare a restituirgli le sue ali di ippogrifo, per farla librare nei cieli dell'immaginazione. Da questo proposito nasce Astolfo on the Moon, lo spettacolo multimediale di Ansi Lumen Teatro, che racconta l'episodio di Astolfo sulla Luna partendo da questa domanda: cosa accadrebbe al duca inglese e al suo mondo di carta e inchiostro, se venisse passato al vaglio di un cervello del terzo millennio?” cantano le preziose note di regia. Accendere la fantasia di Cosmo, sì il lettore: questo provano a fare i ragazzi di ALT, con qualche sfocatura dettata dalla foga del momento, qualche forzatura, qualche spintarella un po’ tirata dall’ironia addensante. Fumosa? Non proprio ma a tratti, forse, dispersiva, un po’ come l’Ariosto in fondo. Interessante e apprezzabile, come d’altronde l’ottima performance attoriale e la spigliata vena recitativa degli attori, l’idea di coniugare video e corpi, 3d e umana immagine, web e mondo del teatro: funziona quell’elemento in più, quel quid che attrae, rappresentato dal linguaggio 4.0 in grado di coniugare arte performativa e elemento scenografico virtuale.
E finiamo così come iniziato, con didascalica e didattica speme:
Il teatro, l’Orlando
L’audace Astolfo in scena io narro;
tiè ho fatto un chiasmo!
Federico Cirillo
25/10/2016