Recensione dello spettacolo Enrico V al Silvano Toti Globe Theatre dal 21 luglio al 6 agosto 2017
Enrico V è il più noto dramma storico dei testi shakespeariani, nonché il più emblematico. Sebbene fu composto tra il 1598 e il 1599 lo si può tuttavia ritenere un testo molto attuale.
La vicenda ruota attorno alla autorevole figura del sovrano d'Inghilterra, Enrico V la quale, in questa versione adattata e diretta da Daniele Pecci, viene mostrata al pubblico in tutta la sua prodezza e umanità. Il punto di forza di quest'opera infatti è racchiusa nel personaggio di Enrico; egli è un Re, certo, ma non dispotico, non crudele. Autoritario quanto basta, Enrico V è prima di tutto un uomo, fatto di carne ed ossa con le sue debolezze, le sue paure, i suoi dubbi e i suoi difetti. Enrico V è, soprattutto, un Re saggio, perspicace, riflessivo, umile – per certi aspetti – ma è pur sempre un Re, soggetto solo alle leggi della Corona così come i suoi sudditi sono soggetti al proprio sovrano.
In un meraviglioso scenario offerto dalla struttura circolare del Silvano Toti Globe Theatre si alternano sul palco 19 attori le cui vicende vengono presentate da un attore fuori campo (il Coro), Carlo Valli.
La storia prende vita attraverso un colloquio tra l'Arcivescovo di Canterbury (Sergio Basile) e il Vescovo di Ely (Marco Bonadei) preoccupati che l'approvazione di un disegno di legge possa sottrarre alla Chiesa i sussidi di cui gode. Suggeriscono così al Re Enrico V (Daniele Pecci) di dichiarare guerra alla Francia, rivendicandone i diritti sul trono che gli spettano poiché la successione francese è avvenuta contravvenendo alla legge salica, ossia per via femminile. Su consiglio dei due, il sovrano decide così di dichiarare guerra al Re di Francia, Carlo VI (Sergio Basile) al quale invia diverse missive rivendicando il diritto di successione al trono per via di lontane parentele. La risposta gli arriva tramite il Delfino (Mauro Racanati) il quale, beffandosi delle sue pretese, gli invia come regalo palle da tennis. Offeso, Enrico appronta l'esercito per la battaglia salpando dal porto di Southampton spingendosi verso le coste francesi sino ad Harfleur.
Il resto è noto. L'esercito di Enrico V, nonostante fosse inferiore di numero rispetto a quello francese, e nonostante i tradimenti dei suoi compagni tra cui il conte di Cambridge (Raffaele Proietti), Lord Scroop (Marco Imparato) e Sir Thomas Grey (Antonio Tintis) per essersi venduti alla corona francese, nonostante le peripezie, le tentazioni di sfuggire alla guerra da parte dei soldati inglesi, vince la battaglia con Carlo VI al termine della quale sposa la cugina Caterina (Mariachiara Di Mitri).
In realtà sul palcoscenico non accade molto se si considera il gran numero di attori e i numerosi personaggi che vanno a impersonificare. La vicenda si snoda tutta nei dialoghi e nell'immaginazione dello spettatore (solleticata più volte dal coro). Sta all'attore, di volta in volta, e alla sua impeccabile capacità interpretativa suggestionare il pubblico, trascinarlo in battaglia, facendogli provare la paura, la suspence, intimandolo a trovare il coraggio per fronteggiarsi nello scontro, quello stesso coraggio che Enrico V implorerà a Dio per dare la forza al suo esercito per vincere, il Dio a cui si appellerà e a cui renderà onore e gloria a seguito della vittoria inglese su quella francese, e a cui intonerà il Te Deum ordinando la morte nei confronti di chiunque si vanterà della vittoria, senza aver riconosciuto che Dio ha combattuto con gli inglesi e che solo suo è il merito del successo.
È durante il monologo di Enrico V, quindi (mentre si aggira in incognito di notte tra le tende del suo esercito per "sentire" l'umore dei soldati), che viene a galla il succo della vicenda: parlando con Pistola (Gianluca Gobbi), un suo vecchio amico, il sovrano ne avverte la preoccupazione per le loro sorti. L'amico maledice il re che li manda a morire senza la possibilità di redimersi l'anima ed Enrico replica che il dovere di un suddito è quello di servire il suo re, che non è però responsabile dell'anima del suddito stesso.
È durante questa riflessione/monologo che Enrico si rende conto di quanto sia difficile, pesante ed infausta la posizione di un monarca in determinate circostanze. Nonostante il titolo che lo riveste ed il peso delle decisioni che lo aggrava, Enrico si scopre infatti uomo tra gli uomini, bisognoso di aiuto e coraggio la cui clemenza e benedizione divina gli è necessaria per assisterlo in guerra.
Enrico V è un personaggio positivo (grazie all'interpretazione di Daniele Pecci potremmo definirlo anche potente) che non lo si può odiare. La sua storia, il suo coraggio invita a riflettere sulla situazione politica attuale del nostro paese. Enrico è un sovrano che governa con coscienza, serietà ed intelletto, un principe in stile machiavellico che talvolta sbaglia, ma se sbaglia lo fa solo per il bene della nazione.
Un po' per merito del personaggio disegnato dal Bardo, un po' per il merito di Pecci, questo Enrico V è tutto da gustare. È un teatro che non annoia, un testo reso semplice nonostante la sua complessità, con pochi oggetti sulla scena ma con grandi effetti sonori e visivi e un copione che tutti e venti gli interpreti hanno saputo tener testa.
Quasi a voler simboleggiare l'arrivo della battaglia, senza farlo apposta, due uccelli sorvolavano intorno alle luci del palcoscenico: al momento dello scontro i due volatili sono spariti salvo poi ritornare, a fine battaglia, per suggellare le nozze tra Enrico V e Caterina di Francia.
Costanza Carla Iannacone
24 luglio 2017