Sabato, 02 Novembre 2024
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La Turandot dai mille colori di Alfonso Signorini

Recensione dello spettacolo Turandot in scena a Torre del Lago Puccini - prossime repliche il 4 e 12 agosto 2017

Come ogni anno al Festival Puccini di Torre del Lago non manca in cartellone il titolo Turandot, questa volta in una veste tutta nuova con la regia di Alfonso Signorini, che per la prima volta si è avvicinato alla regia d’opera. Se si confronta questo allestimento con il libretto del melodramma, si può notare che il regista ha effettuato un lavoro molto dettagliato e di profonda ricerca, rispettando le didascalie sia per la scenografia (con qualche novità, ad esempio Ping, Pong e Pang che “giocano” con le teste decapitate di coloro che hanno tentato di risolvere gli enigmi della principessa) sia per i movimenti scenici.

Sul podio a dirigere l’orchestra il maestro Alberto Veronesi che in alcuni momenti dilata i tempi musicali e di conseguenza in parte si perde in parte l’imponenza e la vivacità di alcune arie. Da considerare però l’innegabile problematicità legata all’acustica di un teatro che è all’aperto, posto oltretutto sulle rive di un lago e quindi anche l’umidità gioca la sua parte.
La magica fiaba della principessa cinese ha visto come interpreti: Martina Serafin, una Turandot di forte presenza scenica, il principe Calaf è il franco-tunisino Amadi Lagha, che svetta su tutti, applaudito più e più volte a scena aperta e a cui è stato chiesto il bis per “Nessun dorma”, poco convincente Angela De Lucia nel ruolo di Liù con un timbro vocale molto basso per cui molte parole si perdevano anche se ha dato una prestazione migliore nell’aria “Tu che di gel sei cinta”, buono Timur interpretato da George Andguladze, ottima riuscita per i tre ministri di Turandot: Ping (Andrea Zaupa), Pang (Ugo Tarquini) e Pong (Tiziano Barontini) che hanno saputo reggere la scena.
Il coro in alcuni melodrammi come ad esempio nel Nabucco o Aida di Verdi è di importanza fondamentale e anche nel caso della Turandot non fa eccezione. Salvo Sgrò, proveniente dalla Scala di Milano, ha diretto in maniera magistrale i 185 elementi del coro con un ottimo risultato, anche se forse troppo statico.
Fin da subito si è capito che lo spettacolo avrebbe avuto un impianto scenico molto classico, grazie alla grandissima scenografia di Carla Tolomeo con pagode dipinte su pannelli, leoni e draghi cinesi in cartongesso.
Fausto Puglisi, coadiuvato da Leila Fteita, ha creato costumi di impianto classico con influenze rock, di diverse tonalità di colore che si abbinavano alla scenografia per quanto riguarda il coro, mentre i personaggi principali spiccavano per vivacità, realizzati dalla sartoria Arrigo di Milano e tutti cuciti a mano. Da notare il costume di Turandot nell’ultimo atto, non proprio in tema con la fiaba ma di grande effetto (quasi hollywoodiano), un lungo abito bianco con un ampio strascico, tempestato di Swarovski che riflettevano sotto le luci del palcoscenico.
Ad assistere allo spettacolo in sala c’era un ospite d’eccezione: il regista Alfonso Signorini, estremamente disponibile verso il pubblico che negli intervalli lo ha “assediato” per ottenere autografi e selfie. Visto il buon risultato, anche se inizialmente aveva lasciato perplesso il fatto che un giornalista come Signorini potesse fare la regia di un melodramma, speriamo che questa Turandot sia solo l’inizio di un percorso.

 

Gabriele Isetto
25 luglio 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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