Venerdì, 22 Novembre 2024
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"Ci chiamarono tutti Alda" al Fringe Festival di Roma

In scena dal 17 al 19 settembre la vita della poetessa dei Navigli

È l’incantevole e suggestivo scenario di Villa Mercede nel quartiere San Lorenzo di Roma ad ospitare la VI edizione del Fringe Festival, manifestazione del teatro indipendente. Tra le 50 compagnie in scena, tra nuove drammaturgie, performance art, stand up comedy, teatro civile e visual, si fa notare il monologo di Fabio Appetito Ci chiamarono tutti Alda, con la regia di Marco Guadagno. Il testo ci ripropone i tratti saliente dell’esperienza in manicomio di Alda Merini, indagando alcune delle pagine più dolorose e più intense della sua vita.

Protagoniste la follia, ma allo stesso tempo la sofferenza e la resistenza al mondo infernale dell’ospedale psichiatrico. Il delirio e l’amore diventano un’evasione da quel carcere fisico e morale. In una scenografia essenziale fatta solo di una sedia con un tavolo e una macchina da scrivere con accanto un leggio, si alternano momenti di recitazione e momenti di reading. L’attrice Giulia Santilli, l’interprete della Merini, si esibisce in alcuni episodi della vita in manicomio e nella lettura di alcune poesie. Il regista Marco Guadagno sceglie il reading, come amava fare in vita la stessa poetessa. Ad essere rappresentata è un’ esperienza di abusi e di disperazione ma anche di ribellione, di non rassegnazione a quella realtà ma soprattutto alla mediocrità. E proprio la costrizione alle convenzioni e ad un ruolo sociale in cui la Merini non s’identificava, le avevano causato un malessere che ha assunto poi dimensioni spropositate da richiederne il ricovero. Tuttavia, nonostante la buona riuscita della drammaturgia, alla Santilli sembra mancare, in alcuni passaggi, la verve e lo spessore della Merini. Non è completamente nella parte, non riesce sempre a creare quell’urto sull’anima che invece trasmetteva la “scandalosa” voglia di libertà e di amore che la Merini non ha mai negato e mai nascosto. La sua sofferenza e la sua scalpitante voglia d’amore, in questo monologo acquistano un afflato universale in cui ogni donna può identificarsi, non a caso è stato scelto questo titolo alla pièce: in ognuno di noi è presente un’Alda, anche se spesso è duro e faticoso riconoscerla.
Un capolavoro della drammaturgia, con convincenti scelte registiche penalizzata però dalla mancanza di presenza scenica della protagonista. Il pubblico in sala si è mostrata mediamente soddisfatto, toccato dalle sempre vive parole della poetessa di Navigli, ma non infervorato dall’interpretazione.

 

Mena Zarrelli

25 settembre 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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