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Teatro Lo Spazio. Le Marocchinate. "So arrivati ji diavoli”

Recensione dello spettacolo Le Marocchinate in scena al Teatro Lo Spazio dal 25 al 30 ottobre 2016

“3,5,7. Voi la conoscete la morra Professò?” Angelino ci giocava spesso con suo padre prima della guerra e ancora oggi, di tanto in tanto, ci gioca alla cantina sociale. Perché il passato non si dimentica, non si può dimenticare. Si apre più o meno così lo spettacolo Le Marocchinate in scena al teatro Lo Spazio di Roma fino a domenica 30 ottobre. Dopo che Ariele Vincenti, unico attore sul palcoscenico, oltre che coautore, insieme a Simone Cristicchi (non nuovo alla scrittura teatrale) del monologo, depone i suoi abiti da “civile” per vestire quelli del contadino Angelino e catapultarci in un passato non troppo remoto.

Siamo nel 1944 in uno dei borghi del basso Lazio, nel cuore della Ciociaria. “In una di quelle terre che se non hai parenti o amici, non ci vai”. Più esattamente in uno di quei paesini lungo la linea Gustav che divideva in due l’Italia: il Nord occupato dalle truppe tedesche e il Sud in mano agli alleati. E proprio qui, circondato dai campi e dalle sue pecorelle, immerso in una scenografia minimale, Angelino racconta, tra cambi di luce e tracce audio fuori campo, la sua storia: quella taciuta dai manuali, quella che nessun “vincitore” avrebbe mai scritto. La tragedia che donne, ma anche uomini, bambini e sacerdoti hanno vissuto nei giorni successivi allo sfondamento da parte dei goumiers francesi dell’ultima difensiva tedesca.

La racconta ad un pubblico attento, che ogni tanto si lascia andare ad una risata sincera, forse per quel suo modo di fare schietto e genuino, forse per il dialetto e il linguaggio a tratti colorito. La racconta all’altro protagonista della pièce, la cui identità è svelata solo sul finale e del quale, almeno fino alla rivelazione conclusiva, apprendiamo qualcosa solo dalle risposte di Angelino. La racconta a quanti non vogliono o non possono sapere, “perché se non sei di quelle parti non la conosci” l’altra faccia della Liberazione. La racconta per sua moglie Silvina, “la più bella di tutte”, violentata e picchiata, come tante, dalle truppe Alleate, pronte ad uccidere fino all’ultimo soldato tedesco pur di guadagnarsi quelle 50 ore (in realtà molte di più) di carta bianca, in cui far razzia di tutto e impossessarsi di ogni cosa. Soprattutto delle donne che avrebbero incontrato.

Furono migliaia le madri, le figlie, le sorelle stuprate, picchiate e uccise. Non tutte ebbero la forza di denunciare, molte si ammalarono, altre morirono. In poche si salvarono. Una, una prostituta di paese, si comportò da vera eroina e riuscì a salvarne molte, grazie al suo tempestivo avvertimento. A loro, alle “Marocchinate”, lo spettacolo vuole rendere omaggio. Attraverso la loro testimonianza e le loro parole, evidenziate e impreziosite dalla regia di Nicola Pistoia, l’accurato monologo vuole gettare una nuova luce sul futuro. Quello cosciente di cui ci parla il figlio di Angelino, quello che non esisterebbe senza la conoscenza del passato. Quello fatto ancora di tramonti e partite a morra alla cantina sociale. E allora 3, 5, 7.

 

Concetta Prencipe
29/10/2016

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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