Recensione dello spettacolo Ti Amo Maria! (In jazz) in scena al Teatro Lo Spazio dall'1 al 6 novembre 2016
Manfridi quest'anno a Roma sembra un vortice inarrestabile. Non appena reduce dal grandissimo successo di Americani di Mamet all'Eliseo lo ritroviamo al Teatro Lo Spazio a rispolverare un suo vecchio testo del 1990, Ti Amo Maria! (In jazz)
Una storia per lo più crepuscolare, una commedia dalle sfumature drammatiche, caratterizzata da un racconto sincopato, dove Manfridi (che ne cura anche la regia) interpreta il protagonista, Sandro, e Nelly Jensen la sua controparte, Maria.
La messa in scena, caratterizzata dai tempi a volte molto dilatati, procede come la visualizzazione della lettura del testo fatta dall'autore/narratore Marcello Micci e sostenuta emotivamente nei punti interiormente cruciali dal sax di Pierfrancesco Cacace.
Più che uno spettacolo teatrale un esperimento dove si narra, nell'arco di tempo di una torrida estate, le vicissitudini del pianista jazz Sandro che a un certo punto della sua vita, di punto in bianco, comprende di aver fatto sia l'errore di aver scelto di suonare lo strumento sbagliato (a quanto pare il sax, per lui, è diventato migliore del piano) sia di aver lasciato Maria, l'unica donna davvero amata in tutta la sua vita.
Inizia così una ricerca ossessiva e furiosa, fatta di pedinamenti e lunghe attesa sul pianerottolo di casa della donna, nel tentativo e nella speranza d'incontrarla per parlarle.
L'incontro ovviamente avviene e inizia così uno scontro/confronto tra un uomo e una donna che non si vedono da 5 – 6 anni, forse 10 o chi lo sa.
Come su un ring, a più riprese, Sandro, insistente e perseverante, e Maria, restia e titubante, si affronteranno lasciandosi andare di volta in volta sempre di più a se stessi e ai ricordi del passato.
Una messa in scena interessante, anche se un po' lenta e in alcuni punti "troppo recitata", che nelle sue dinamiche dimostra ancora una volta come le basi teoriche della metrica jazz applicata alla letteratura poste negli anni '50 da Jack Kerouac, pioniere e padre della Beat Generation, fossero e siano ancora oggi valide.
Manfridi, nonostante 26 anni in più sulle spalle, non dispiace e Nelly Jensen riesce, col suo tipico stile interpretativo, ancora una volta a stupirci. L'illuminazione dai toni freddi, caratterizzata da una supremazia assoluta dei toni blu e bianchi, un chiaro richiamo all'estetica pittorica dell'Hopper più metropolitano, ci è piaciuta.
L'epilogo di questo noir, nonostante quel che il dipanarsi della storia potrebbe suggerire, non sarà quello che si finisce per pensare, e come in ogni capitolo della grande commedia umana non ci saranno né vinti, né vincitori e il sipari si chiuderà sulle note di Lennie Tristano che ancora una volta suonerà il suo Requiem per Charlie Parker.
Fabio Montemurro
04/11/2016