Recensione dello spettacolo La Tempesta in scena al Teatro Argot Studio dal 2 al 20 novembre 2016
Un’ottima ed innovativa rivisitazione de “La Tempesta” di W. Shakespeare è arrivata nella capitale: sarà in scena fino al 20 novembre, ospitata dal Teatro Argot Studio, nel cuore di Trastevere, regia di Maurizio Panici.
Pochi posti, atmosfera intima ma non confidenziale. Gli attori già collocati su un palco povero di scenografia. Luogo di tutta l’azione scenica è l’isola del mago Prospero (Luigi Diberti), il quale prestando la voce a William Shakespeare, dovrà fare i conti con vecchiaia, fallimenti e presagio di morte mentre racconta il prologo della sua storia.
Prospero era una volta duca di Milano, costretto all’esilio insieme a sua figlia Miranda (Valentina Carli), da suo fratello Antonio avido di potere. Abbandonato sull’isola, Prospero non si è mai arreso al suo destino. Servendosi dei suoi libri magici – scampati all’usurpazione – invoca una tempesta, che fa approdare sull’isola il re di Napoli, suo figlio, e tutta la ciurma che stava navigando quelle acque. Grazie all’aiuto dello spocchioso servo Ariel (Claudia Gusmano), spiritello dell’aria inumano, riesce a far cadere nella sua tela il giovane principe di Napoli (Riccardo Sinibaldi), spingendolo – tramite arti magiche – a chiedere in sposa sua figlia, che finalmente potrà riprendere il posto reale che le spettava.
La scena diviene così il luogo di una seconda possibilità, uno spazio dimenticato dal mondo in cui Prospero si riscatta sulla sua vita reale, tramite il naufragio, atto dovuto e necessario alla rinascita dei personaggi.
Con l’approdo sull’isola della ciurma napoletana, il sottile equilibrio di potere creato da Prospero si spezza: il servo mostro Calibano (interpretato da un grande Pier Giorgio Bellocchio) – fino a quel momento al servizio dell’anziano saggio – si ribella, trovando nel naufrago Stefano (Matteo Quinzi) il suo nuovo re. Il caos regna ormai sovrano sull’isola, chiunque può esserne il sovrano, persino una macchietta dal simpatico accento napoletano.
Improvvisamente lo spettacolo finisce, la bacchetta magica di Prospero si spezza, ma il sipario non va giù: l’attenzione è dunque rivolta ai due soliloqui finali – il primo di Calibano, il secondo di Prospero – che insieme valgono più di tutto lo spettacolo. Calibano, il servo ribellatosi al suo padrone, ammonisce la platea, invitando a ragionare su come la parola sia la nostra ragione di essere umani, e sia l’unico mezzo attraverso il quale poter cambiare le cose. Prospero invece, con tono dimesso, si rivolge direttamente alla platea con un “voi”, salutandola con la celebre frase shakespeariana Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni, che pronunciata a voce piena incanta tutti, dal primo all’ultimo spettatore.
Tutto racchiuso in un unico atto – sono cinque gli originali – la compagnia del Teatro Argot ha dimostrato che Shakespeare non passa mai di moda, che può divertire trattando temi ancora decisamente attuali; soprattutto se di sottofondo ci sono i Pink Floyd!
Nicole Sermoneta
06/11/2016