Giovedì, 19 Settembre 2024
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Teatro Studio Uno. Il Pelo della Luna, ovvero: Le romanticherie agrodolci della Luna e del suo amante.

Recensione dello spettacolo Il Pelo della Luna, in scena dal 10 al 13 Novembre 2016 presso il Teatro Studio Uno.

Una notte; all’improvviso. 

È esattamente così che Luna viene licenziata: inaspettatamente catapultata sulla terra a scontare la pena per una vita dissoluta e impertinente.

È questa la sottile e poetica trama che ci guida nell’affascinante universo de Il Pelo della Luna, il nuovo spettacolo di Patas Arriba Teatro, in scena al Teatro Studio Uno di Roma dal 10 al 13 Novembre.

Una fiaba originale, un racconto fantastico, una storia d’amore, ma c’è di più: le favole non sono mai così semplici come sembrano ad una prima, superficiale analisi. In ognuna di loro non c’è soltanto il puro gusto della rappresentazione ma si nasconde anche un’altra realtà, taciuta ma evocata, che si staglia nitidamente tra le pieghe sfacciate del sorriso sguaiato di Pelo, come l’ologramma di una lacrima.
Luna, bambina svampita, che non può affrontare il mondo a piedi nudi, ma dall’alto dei suoi trampoli gioca a fare la grande in un mondo di adulti senza remore e pietà, finché una notte il gioco diventa il suo lavoro e la sua vita. Pelo, un gangster brutale ed efferato, che senza indugio si presta alle vesti di Virgilio, scortando l’innocenza nella cava, cruda e terrestre, dei serpenti, ma che lascia poi che il suo muro si faccia piacevolmente demolire.
Alla poesia della gravità e del corpo “lunare” in bilico tra il cielo e una terra alla quale non si àncora mai del tutto con i piedi, si accompagna il fascino, amaro e senza tempo, del clown, ribelle e ambizioso. Lei vuole scendere, lui vuole salire. Ognuno dei due allunga il dito verso qualcosa che non possiede, e il desiderio è talmente necessario da farli procedere a tentoni in una scatola buia senza mai scoprire davvero verso che cosa stanno guardando. Non c’è via di fuga dalla scatola buia, le uscite, a destra e sinistra, sono bloccate, una volta dentro non c’è modo di scappare, non c’è maniera di separarsi. L’unica strada per evadere è il cielo.
Quello stesso cielo al quale Luna si ribella; quello stesso cielo al quale Pelo rivolge preghiere senza speranza; quello stesso cielo è l’unico posto sicuro; e non c’è biglietto da pagare o passaporto che valga, servono solo un po’ di stelle e una persona che bilanci il peso a bordo di una scala spaziale e salvifica.
Perché sì, la magia funziona, e la polvere glitterata che esplode dall’ombrellino di Luna li farà arrivare a destinazione;
Ma una volta lassù?
Che cosa succede?
Il testo di Alessandra Caputo e Adriano Marenco si inerpica tra mille mondi, forse proprio perché il paese in cui atterra Luna è un non-luogo dove il niente diventa il tutto. I registri si adeguano a questa molteplicità, variano e si alternano, alle volte, però, anche con qualche forzatura, che inevitabilmente costringe la drammaturgia, composta e lineare, a cozzare contro una regia che ha piuttosto timore di lasciare degli “spazi bianchi” e che quindi, per ovviare ad un problema che non esiste, abbraccia la filosofia del “troppo non è mai abbastanza”. La delicata narrativa esopopea resta in breve tempo corrotta dai turpiloqui e dai nasi aquilini della Commedia dell’Arte, ma questa stessa è a sua volta contaminata dalle accecanti luci della ribalta di Broadway e dai mattoni sbriciolati di una quarta parete che viene abbattuta più volte, attraverso tentativi di interazione col pubblico che, più che metateatro, ricordano le animazioni da villaggio.
Ciò che piace davvero dello spettacolo è invece la sua semplice ed essenziale idea: che lo sguardo possa finalmente distogliersi dal dito e mirare dritto alla luna.

 

Giuditta Maselli
14/11/2016

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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