Giovedì, 19 Settembre 2024
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Teatro Quirino. Il dramma verghiano rivive a teatro con il Padron ‘Ntoni di Enrico Guarneri

Recensione dello spettacolo I Malavoglia in scena al Teatro Quirino dall’8 al 20 novembre 2016

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza (...) Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron ‘Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch’era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla”.

Avrebbe mai potuto immaginare Verga che i suoi Malavoglia sarebbero stati rappresentati a teatro e da una compagnia siciliana? Forse sarebbe stato uno dei desideri più grandi dell’autore catanese quello di vedere i suoi personaggi prendere vita sul palco: vessati dalle sciagure e dalla società, i protagonisti dei romanzi di Verga sono esempi iconici di chi, vinto dal destino, cede sotto il peso funesto delle amare vicende della vita.

È questo che racconta Verga ne “I Malavoglia”, ovvero la storia della famiglia Toscano, da tutti nota come i Malavoglia, che a causa di un susseguirsi di sfortunate vicissitudini, vedrà i propri membri abbandonare la casa paterna man mano, chi per rispondere alla prima chiamata alle armi del neonato Regno d’Italia, chi per dare la vita in mare, chi soccombe al colera e al dispiacere. Una famiglia che, per quante ne affronta, sembra essere quasi maledetta dal destino ma che, nonostante le avversità, resta salda nei propri principi e valori: “I Malavoglia pagano sempre i propri debiti” ripete sempre Padron ‘Ntoni ai suoi, che non vogliono imparare che “Gli uomini sono come le dita di una mano: il dito grosso fa da dito grosso e il dito piccolo fa da dito piccolo" e, quindi, che tutti loro devono aiutarsi l’un l’altro per il bene della famiglia. I giovani membri della famiglia lasciano Aci Trezza in cerca di fortuna senza successo perché, nel mondo dei vinti di Verga, chi tenta di migliorare le proprie condizioni economiche, abbandonando la terra natia, è destinato a combattere continuamente per la propria sopravvivenza, mentre solo chi si adatta e accetta la propria condizione riesce a salvarsi dalla sorte avversa.

È proprio questo l’ideale dell’ostrica che pervade “I Malavoglia” e che Progetto Teatrando ha saputo mettere in scena in modo davvero esemplare: con lo scopo di portare in giro per i teatri italiani il meglio della letteratura siciliana, con questo spettacolo la compagnia ha confermato di attenersi al suo programma di diffusione del verbo verghiano. Per questa rappresentazione, il regista dimostra di attingere anche alle rappresentazioni che furono, prima fra tutte la trasposizione cinematografica che ne fece Luchino Visconti nel suo La terra trema, ma anche a “I Malavoglia” con Turi Ferro. È proprio nel segno di quest’ultimo che prende forma questo spettacolo, modellato e diretto da Guglielmo Ferro, figlio di Turi, che adatta la storia al linguaggio del teatro contemporaneo, e segno ne è la scenografia: i personaggi si muovono su un unico palco che si ‘sdoppia’, tanto che la casa del nespolo in poche mosse diventa la zattera della Provvidenza e viceversa, e anche se il cambiamento è minimo a livello scenico, a livello teatrale la differenza viene percepita dal pubblico e il palco si trasforma ogni volta per dare all’azione dei Malavoglia il giusto collocamento spaziale.

Di forte impatto il tema della Natura, sempre presente attraverso le tempeste e le mareggiate che non risparmiano nessuno, e proprio della Natura Padron ‘Ntoni e i suoi sembrano in completa balìa senza speranza alcuna di poterne uscire vincitori: è questo l’aspetto che più di altri conferisce allo spettacolo i toni cupi del dramma che girano tutti intorno alla figura del patriarca della famiglia, Padron ‘Ntoni, qui interpretato da un bravissimo Enrico Guarneri.

In grado di passare dal registro drammatico a quello grottesco con molta facilità, Guarneri ricopre con grande maestria il ruolo del personaggio rude e scorbutico che lotta in tutti i modi per difendere la sua famiglia e per tenerla unita fino alla fine. Il senso del dovere, la testardaggine, le convinzioni e le idee che un uomo della Sicilia del 1800 si ritrovano tutte e sono tutte sapientemente concentrate nell’interpretazione di Guarneri.

Attorno a Padron ‘Ntoni si svolge tutta l’azione dello spettacolo e Guarneri dimostra, ancora una volta, come riesca nell’impresa di vestire i panni di un personaggio sulle cui spalle grava il destino di un’intera famiglia, trasmettendo al pubblico in sala tutte le emozioni e i sentimenti che prova, senza esclusioni. Il pubblico è totalmente preso dalla messa in scena e non solo dal personaggio di Padron ‘Ntoni, ma anche dai personaggi di Mena, Maruzza, Alfio, Agostino, Zio Crocifisso, ‘Ntoni e di tutti gli altri che, in modo eccezionale, ricostruiscono le atmosfere della società di un piccolo paese della provincia siciliana del 1881, la cui vita si basava, forse più di oggi, su pregiudizi, sugli stenti, sulle malelingue e sui pettegolezzi, ma anche su quei valori e princìpi che oggi in molti abbiamo perso.

 

Diana Della Mura    

14/11/2016

 

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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