Recensione dello spettacolo Crimini tra Amici, in scena dal 10 al 20 Novembre 2016 presso il Teatro Brancaccino di Roma.
Un tavolo. Qualche patatina caduta e calpestata. Due pile di libri, accatastate negli angoli, si ergono come piccole torri di Babele. La gabbia è costruita.
Nel loro habitat ideale si muovono, si nutrono, si accoppiano quattro bestie indocilite, che in un attimo scatenano tutto il loro selvaggio furore.
Provate ad immaginare la versione acre e noir di qualche sit-com americana passata di moda, il racconto andato a male della vita ordinaria di quattro persone ordinarie. Studenti, coinquilini, amici, idealisti, precari e speranzosi, giovani ardenti di giustizia e rivolta che scatenano tutta la loro foga mentre apparecchiano la tavola e guardano la televisione. La voce meccanica e serpentina del politico di turno si insinua viscidamente tra le quotidiane abitudini, abbigliando l’ordinario di un velo di indeglutibile angoscia, e già si paventa l’odore di una carneficina. I protagonisti si coalizzano per annientare "civilmente" il male, si armano come se investiti della suprema carica di Santi Inquisitori, e, sotto l’ipocrita tenda circense che imbastiscono per attirare le loro vittime, si trasformano anch’essi in subdole serpi. I loro veleno, però, si risolve gradatamente nell'esposizione di falsità, vendette e ansie comunemente note. Il testo parla palesemente del suo “caso”, raccontando di un martire e un persecutore, di un buono e un cattivo che si divertono ad invertire i ruoli, mettendo in scena l'impossibilità di giudicare, la difficoltà di assegnare pene e forse l'inutilità di tutto questo. L’opposizione paradigmatica di vendetta e giustizia si acumina sul contrasto sociale, politico, religioso ed idealistico, e alla fine si confonde in un’unica parola, per la quale non vale più alcuna distinzione di sesso, fede, razza o partito: il potere. Un potere che cerca per i suoi crimini una giustificazione nel bene comunitario; un potere che rende l’ideologia, qualunque essa sia, un coltello affilato pronto a farsi giustizia da solo; un potere che diventa vizioso, necessario come una droga e che non lascia più alcuna scappatoia alla redenzione. Il potere distopico soffia il suo alito amaro sulle menti dei quattro ragazzi, risvegliando quell’innata e repressa violenza che è nata con l’essere umano, ma che i libri d’università hanno insegnato loro ad ignorare.
Eppure c’è; per quanto si provi a fingere che non vi sia è sempre lì, con il suo portamento impassibile ed irruente, ben rappresentato figurativamente dalla bottiglia verde poggiata sul tavolo, simbolo di impressionante fisicità. E sarà proprio quel vino amaro, mortale, versato ingannevolmente nella coppa di quegli “impresentabili” che, in un’incalzante carrellata tragicomica, parteciperanno a turno al banchetto della loro ultima cena, l’unico a sopravvivere.
I giovani interpreti, due dei quali particolarmente inclini alla capacità di cambiare registro quasi fossero assistiti dal cambio di inquadratura di una telecamera, e una pianificazione dei ritmi e dei tempi scenici rasente la perfezione conferiscono alla drammaturgia una potente realizzazione, che rende ammirevole l’ideazione e l’esecuzione di questo Crimini tra Amici.
Giuditta Maselli
21/11/2016