Recensione dello spettacolo Ostaggi, in scena al Teatro Sala Umberto dall'8 al 20 novembre 2016
Le luci si abbassano e, su una musica di stampo esotico, va in scena Ostaggi, atto unico di Angelo Longoni. La pièce si apre su una scena di vita quotidiana: in una panetteria si trovano a fare la spesa una anziana signora (Silvana Bosi) dalla salute cagionevole, una escort (Michela Andreozzi) sfacciata e sbrigativa, un extracomunitario siriano (Jonis Bascir) e, ovviamente, il proprietario del locale (Pietro Genuardi).
L’intreccio vero e proprio parte quando un rapinatore (Gabriele Pignotta), che ha appena svaligiato una banca, prende in ostaggio i quattro malcapitati. DI qui in avanti la situazione ricorda lo schema classico del film d’azione all’americana, quindi il sequestratore che minaccia di uccidere gli ostaggi qualora la polizia non dovesse venire incontro alle sue richieste. Ma il fulcro del racconto è un altro. Col passare delle ore, tra situazioni grottesche (il rapinatore che chiede alla polizia degli antidiarroici su richiesta dell’anziana e delle aspirine per la donna), vengono giù le maschere dei personaggi. Il rapinatore altri non è che un onesto lavoratore che ha perso tutto ciò che aveva; la donna si è data alla “bella vita” perché non riusciva a tirare avanti col suo stipendio da infermiera (ora guadagno in un giorno quello che prima guadagnavo in un mese); l’extracomunitario, in realtà, odia l’Italia e gli italiani che si lamentano di tutto, mentre a casa sua si combatte con la morte ogni giorno; il panettiere, sotto la sua maschera da duro, si rivela il più codardo e vigliacco di tutti e viene fuori che, come il Carlo Martello di De Andrè, si è sempre rifiutato persino di pagare l’intero prezzo della prestazione alla prostituta lì presente nei loro numerosi incontri; l’anziana, infine, finge bontà e gentilezza col prossimo per dimenticare una pensione da fame e un rapporto conflittuale con la figlia.
In un gioco di comici e farseschi battibecchi, l’autore crea una fitta rete di odi reciproci e conflitti personali tra i presenti, che vengono fuori piano piano in un complesso schema che ricorda tanto quello creato da Yasmina Reza per il suo Le dieu du carnage, ma che in realtà sono i conflitti e gli odi della nostra società. Ogni personaggio rappresenta un tipo di cittadino che noi tutti conosciamo molto bene. Ad esempio, il lavoratore che compie il gesto estremo di rapinare una banca e prendere in ostaggio delle persone, può benissimo rappresentare le centinaia di imprenditori che, nel nostro paese, hanno compiuto il gesto estremo di togliersi la vita per aver perso ogni cosa (stesso movente del rapinatore). Sono continue quindi le critiche alla politica ed alla società in generale. Il tutto si conclude con un melodrammatico bacio tra il rapinatore e la bella escort. L’idea, quindi, è molto buona, anche se non proprio una novità, e l’atto scorre velocemente e piacevolmente verso la fine. Grandi prove di tutti e cinque gli attori, che si muovono benissimo e da veri professionisti nella difficoltà dell’atto unico, e rendono molto credibile il cambio di personalità a cui sono sottoposti dall’inizio alla fine dello spettacolo.
Arturo Perrotta
21/11/2016