Recensione dello spettacolo Acque sporche in scena al Sala Uno Teatro dall'1 al 13 novembre 2016
Acque Sporche è il titolo dello spettacolo “andato in onda” al teatro Sala Uno di Roma fino allo scorso 14 novembre e ora in tournée nel resto d’Italia. In effetti, l’impressione di aver pagato il biglietto per assistere ad un episodio di una soap opera e non ad uno spettacolo teatrale è particolarmente forte sin dall’entrata in scena dei personaggi o forse dovremmo dire degli spettatori, dato che gli attori (non tutti chiaramente) sono già ai blocchi di partenza mentre il pubblico lentamente si accomoda.
L’impressione di assistere ad uno show trasmesso in tv è ulteriormente rafforzata dalla presenza in scena di veri e propri schermi televisivi che mostrano cosa accade dietro le quinte, durante la registrazione di un’esterna o in più ambienti contemporaneamente.
La storia, del resto, tratta da Un nemico del popolo di Ibsen e frutto della riscrittura a quattro mani di Paolo Zuccari e Hossein Taheri, insieme anche sul palcoscenico, è per gran parte ambientata all’interno degli studi di un’emittente televisiva locale, pronta a registrare il successo (o forse no) che da lì a pochi giorni avrebbe interessato la città, a causa dell’imminente apertura di un nuovo impianto termale.
Ed è proprio tra le mura della redazione che si scoprono le prime divergenze, si accendono i primi dibattiti e si fa spazio alla verità sulla contaminazione delle acque, su cui finanziatori e cittadini hanno investito denaro e futuro.
Taheri, nei panni del medico che scopre e vuole denunciare l’inquinamento delle future acque termali, è l’uomo solo di Ibsen, l’onesto cittadino che per il bene comune è pronto a scontrarsi con suo fratello, con sua figlia Petra e con l’intera cittadinanza che, se prima lo acclama, un attimo dopo non ci pensa due volte a voltargli le spalle.
Il sindaco, interpretato dal regista e co-autore Paolo Zuccari, è il portavoce di una politica becera e corrotta, che esiste e si rafforza a scapito di quella stessa comunità che è chiamata ad amministrare e tutelare e che al bene comune preferisce il tornaconto personale.
E se i due fratelli, rivali nella vita e nelle prossime elezioni, riportano sulla scena i toni accesi della lotta manichea tra il bene e il male, in quell’area grigia che non ammette prese di posizioni nette si collocano la redazione giornalistica (Raffaele Gangale, Elodie Treccani e Francesca Ceci) e i cittadini, scissi tra il dovere etico di fare la cosa giusta e la necessità di non perdere il lavoro, quasi sempre incapaci di ribellarsi al ricatto e più inclini ad accettare i compromessi e i giochi della politica.
Unici esempi virtuosi e positivi dell’intera vicenda, i due giovani innamorati, Dario Iubatti, nei panni di Davide Merloni, e Chiara Scalise nelle vesti della figlia del dottore, entrambi destinati a fare i conti con le colpe dei rispettivi padri.
Metafora calzante della società contemporanea e della natura dell’uomo, il testo di Ibsen si presta ad essere riadattato alle vicende dei giorni nostri senza troppe variazioni: segno di una natura umana e di un vivere sociale non molto diversi rispetto agli anni del dramma norvegese (1882). La vera grande differenza, nonché punto di forza della rappresentazione diretta da Zuccari, sta nel ricorso e nell’uso dei nuovi media e delle logiche che essi sottendono, dalla comunicazione televisiva mainstream a quella più diretta e forse più vera via internet e social network.
Al teatro in senso classico si aggiunge, dunque, l’apporto della tecnologia e del materiale multimediale, consentendo allo spettatore di seguire contemporaneamente e su più fronti, senza grandi stravolgimenti scenografici, quel che accade a tutti i protagonisti della storia. L’impressione di essere davanti ad uno schermo televisivo più che a teatro resta.
Concetta Prencipe
22/11/2016