E SE PINOCCHIO PARLASSE IN SICILIANO? Conversazione su Franco Scaldati con la regista Livia Gionfrida, la compagnia e Cristina Grazioli, Filippa Ilardo, Melino Imparato e Simona Scattina. Modera Stefania Rimini. Auditorium Monastero dei Benedettini, 9 luglio 2021, Catania
Quel denso nucleo di luci, suoni e chiaroscuri di parole che la sera dell’8 luglio hanno caratterizzato il debutto dello spettacolo Pinocchio di Franco Scaldati, per la regia di Livia Gionfrida, hanno necessitato della notte per sedimentarsi e divenire consapevolezza. In un doppio flusso di restituzione emotiva tra relatori e uditori, l’intimo silenzio del Monastero dei Benedettini a Catania ha amorevolmente accolto e raccolto le vibrazioni ancora riecheggianti della prima. L’incontro E se Pinocchio parlasse in siciliano? moderato dalla studiosa di teatro Stefania Rimini diviene momento corale per masticare, assorbire e condividere insieme alla compagnia teatrale un materiale così ricco da non poter essere immediatamente digeribile il giorno dopo. E il dopo, rispetto al prima, necessita sempre di una cura e attenzione particolari e di qualcuno che ci rassicuri, districando ed integrando ciò che la notte non ha saputo completare. Il focus quindi si sposta dallo Scaldati raccontato - perno dell’incontro del giorno prima La Tradizione del Nuovo al Palazzo della Cultura - allo Scaldati vissuto, traduttore in siciliano di Pinocchio e autore di emozioni. Come fa giustamente notare la studiosa di teatro Cristina Grazioli, già il testo collodiano è spontaneamente ricco di elementi scenici e ben si presta ad essere recitato ad integrazione e compendio della lingua scritta.
Diviene compito, quindi, dell’attore rendere tridimensionale la scrittura, quando questa raggiunge il suo limite espressivo. La marionetta recitata diviene, per paradosso, più umana dell’attore, di cui ne imbriglia e trattiene il narcisismo, rendendolo drammaticamente terreno e ordinario, ovvero una cosa tra le cose. Filippa Ilardo, critica teatrale, pone l’accento su come l’originalità di scrittura di Franco Scaldati si esaltasse sul palcoscenico, dove la parola frammentata trova la sua completa dicibilità.
Quando dalla parola scritta, il confronto sul maestro palermitano sale i gradini del palcoscenico, la regista Livia Gionfrida diviene la padrona di casa. Facendoci accomodare all’interno della sua idea di teatro, la Gionfrida introduce il concetto di teatro della morte in Scaldati, significando l’assenza di linearità e consequenzialità drammaturgia nelle sue opere, prive di incipit e di un evidente punto di arrivo. La regista, per cogliere e rappresentare appieno l’arte di Franco Scaldati, sembra essersi compenetrata nel suo pensiero artistico. Ella ha infatti immesso all’interno dello spettacolo Pinocchio, preparato in soli diciotto giorni, inserti di altre opere di Scaldati stesso, esattamente come il maestro era solito fare con le sue creature, spesso risolte in una figura ad incastri. La studiosa di teatro Simona Scattina, orientando il suo intervento sulla contaminazione siciliana in Pinocchio, sottolinea come le prime sei tavole illustrative del burattino, comparso per la prima volta a puntate nel 1881 sul “Giornale per i Bambini”, avessero come autore il siciliano Ugo Fleres. Nel 1927, inoltre, il poeta palermitano Giuseppe Ganci Battaglia traduce in dialetto siciliano, strutturandolo in sestine, il capolavoro di Collodi. Elegante e denso l’intervento dell’attore Melino Imparato nella lettura di un estratto del testo di Scaldati. Il bassorilievo della profondità espressiva dell’attore ben restituisce l’essenza della scrittura di Scaldati rendendola tangibile, ruvida e corporea.
Simone Marcari
19 luglio 2021