Ritorna il nostro appuntamento #checlassico che in questo periodo di reclusione imposta, vorrebbe invitare chi sta a casa a leggere o a rileggere alcune opere della letteratura italiana, solleticandone l’attenzione. In quest’occasione proveremo a suscitare la curiosità dei nostri lettori su una delle opere più singolari ed originali del Novecento: La coscienza di Zeno di Aron Hector Smith conosciuto con lo pseudonimo Italo Svevo.
Si tratta di un’opera dalla sconvolgente modernità se relazionata al suo tempo (1923) e dal respiro europeo, a tal punto che i suoi contemporanei non ne compresero gli aspetti più rivoluzionari, ignorandola per decenni. È stato Montale uno dei primi intellettuali italiani ad accorgersi di lui e promuoverne la conoscenza, mentre nel resto d’Europa aveva già ampiamente attirato l’attenzione dei critici. La coscienza di Zeno appartiene al genere letterario dell’allora nascente romanzo psicologico e presenta caratteristiche ancora oggi fuori dall’ordinario. Il suo stesso autore non è il prototipo dello scrittore tradizionalmente inteso, ma un uomo prestato alla letteratura dal mondo degli affari. Ha scelto lo pseudonimo Italo Svevo in linea con la sua doppia origine italiana da parte materna ed ebrea-tedesca per parte del padre, quando Trieste era ancora sotto il controllo austro-ungarico.
La partecipazione a quest’atmosfera mittleuropa influisce profondamente sul suo sentire e gli conferisce una visione aperta, complessa e problematica dell’uomo e della realtà che lo circonda, alimentata dalla conoscenza degli studi sulla psicanalisi effettuati da Freud per trovare un metodo terapeutico al disagio psichico. Questi due elementi costituiranno l’impalcatura del romanzo come si deduce già dal titolo: non è un personaggio in senso naturalistico, tradizionale, ad essere protagonista, ma la sua coscienza, ossia l’interiorità e i movimenti fluttuanti di una coscienza che filtra la realtà, ovvero quell’aspetto appartenente al non immediatamente visibile ad interporsi tra il lettore e le vicende narrate, fornendo un punto di vista inedito ed inconsueto a quest’ultimo. L’analisi del proprio vissuto come cura alle sue problematiche, prescritta da dottor S., il suo psicanalista, ci conduce nello scandaglio dell’io di Zeno, attraverso la tecnica del monologo interiore che non attraversa il tempo in uno svolgimento diacronico ma seguendo i tempi dell’interiorità scanditi da flussi di pensiero, libere associazioni, da lapsus, da ricordi affiorati per caso.
Abbiamo quindi l’opportunità di entrare nel personaggio osservandolo in una dimensione ambivalente di interno/esterno. Zeno è calato, infatti, nel contempo nella società borghese triestina ed è circondato da persone che vivono nella realtà e nei valori di questa classe sociale. È interessante leggere come lui si senta e viva in questo contesto in cui tutti, paradossalmente, sembrano muoversi con disinvoltura e con le proprie sicurezze, meno che lui. A dispetto degli altri, sembra che non riesca ad imporre la sua volontà sulle circostanze esterne, esitante ma involontariamente bizzarro ed esilarante nei suoi tentativi di suonare il violino e di seduzione verso l’altro sesso. L’estromissione dalla direzione della sua società di famiglia imposta dal padre nel suo testamento, lo schiaffo inflittogli da quest’ultimo, in stato catatonico in punto di morte, gli creano una serie di nevrosi che si traducono soprattutto nella prigionia del vizio del fumo. La nicotina diventa l’alibi dei suoi malesseri, per cui non ne vuole fare a meno, nonostante i fittizi tentativi di smettere. Tali meccanismi di autoinganni gli permettono di conseguire di volta in volta un equilibrio precario, rappresentando pienamente il tentativo dell’individuo contemporaneo di inseguire un benessere, un equilibrio che gli sfugge di volta in volta diventando una sorta di equilibrista.
Zeno, infatti, si percepisce incapace di prendere delle iniziative e, avvolto dalle sue nevrosi, si persuade di essere malato, scrutando gli altri per scoprire il segreto della salute. Con distacco ironico e con racconti esilaranti, Svevo ci presenta le vicissitudini in cui si trova invischiato il protagonista, avventure da cui scaturisce un personaggio simpatico, ironico, bizzarro, che interagisce con le sue ansie, le sue nevrosi con autoironia e senza prendersi sul serio. Si trova sempre al posto sbagliato, al momento sbagliato, ma cade sempre in piedi, anche nella surreale storia del suo matrimonio, dove, nella stessa sera, dopo numerosi tentativi di seduzione, riesce a conquistare la terza di tre sorelle che si rivelerà la scelta giusta, nonostante sia la meno attraente delle tre. Nella parte finale del romanzo, la riflessione sulla sua condizione acquista connotati universali, per cui Zeno giunge a rovesciare le categorie tradizionali di salute e malattia della psiche, in cui i sani sono i malati e i malati sono i sani.
In una società in cui sono crollate le vacue certezze e sicurezze borghesi, il malessere e le nevrosi sono inevitabili per chi si pone in atteggiamento critico verso la realtà dei valori e delle certezze borghesi. Con sua e nostra immane sorpresa, quando si getterà nel mondo degli affari senza tentennamenti cogliendo l’occasione negli affari offertagli della guerra, diventerà un vincente abbandonando le vesti del personaggio inetto, inadatto e votato alla sconfitta. Nonostante il suo successo commerciale, la sua riflessione su una società malata non si arresterà in un finale costruito sulla profetica visione di un potente ordigno che farà esplodere il pianeta.
Mena Zarrelli
23 aprile 2020