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La fabbrica dell'Assoluto. E se Dio fosse un sottoprodotto del Capitalismo?
Recensione de “La fabbrica dell'Assoluto” di Carel Čapek edito da Voland edizioni. Casa editrice italiana fondata da Daniela Di Sora nel 1994, specializzata in libri di narrativa straniera, in particolare di origine slava.
“La storia che mi sono divertito di più a realizzare. Non posso dire che sia la migliore in assoluto, anche se è quella che mi ha procurato i maggiori consensi. Ray Bradbury mi ha detto di averla letta nel 1937, e si è meravigliato per la conoscenza che già a quel tempo mostravamo dell'energia atomica. In realtà non ne sapevamo nulla, ci eravamo inventati tutto quanto.”
(Floyd Gottfredson, parlando di “Topolino e il mistero dell'uomo nuvola")
La fabbrica dell'Assoluto, primo romanzo di Karel Čapek, è una narrazione fantautopistica molto particolare che attinge a piene mani da autori ed opere che l'hanno preceduto, prima tra tutte La ricerca dell'Assoluto di Honoré de Balzac, dal quale, sembra, prenda le mosse proprio dall'ultima pagina, nonché da Il dottor Oss di Jules Verne, la Nube Purpurea di M. P. Shiel e da diversi testi di H. G. Wells, sovvertendone i luoghi comuni positivisti con uno stile letterario che oscilla tra il giornalismo semiserio e la satira, come solo Jaroslav Hašek sapeva fare, rivolta alla Chiesa, all'industrializzazione e al Taylorismo in piena ascesa.
Marek, un ingenuo ingegnere, inventa un carburatore atomico che disintegra completamente la materia trasformandola in energia. Prodotto di scarto di questa conversione è un gas, l'Assoluto, che genera in chi lo respira stimoli religiosi e irrefrenabili attacchi di bontà. G. H Bondy, industriale con davvero pochi scrupoli, compra il brevetto e da avvio a una produzione su scala mondiale, senza tener conto della catastrofe che sta per scatenare liberando Dio in forma gassosa. Eppure era stato messo in guardia. Uomo avvisato, mezzo salvato? A quanto pare no.
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