“Quando il cielo, la terra e il popolo sono collegati è il momento giusto per sfidare la fortuna”. Intervista all’associazione Studio Arte e Cultura Orientale diretta dai coreografi Lu Zheng, Churui Jiang e Song Nailong
Al Teatro Vascello andrà presto in scena uno spettacolo di fusione. Un incontro fra la cultura tradizionale cinese e le nuove forme contemporanee di danza. Innovazione, memoria, trasposizione, tutto questo accadrà all’interno di “Il cielo, la terra, il popolo” di Lu Zheng e Churui Jiang, coreografi ed esperti di danza popolare cinese. In attesa del 10 dicembre, giorno del debutto in prima nazionale, sveliamo con i coreografi e l’Associazione Studio Arte e Cultura Orientale la nascita e le varie influenze che han dato vita allo spettacolo.
Un incontro e da lì una collaborazione. Come nasce l’associazione Studio Arte e Cultura Orientale?
Il percorso che ha portato alla formazione di Studio Arte e Cultura Orientale è stato quasi più un frutto del caso: nel 2001, Lu Zheng e Churui Jiang erano entrambi studenti - di età e anni di immatricolazione differenti - all’Accademia di Danza di Pechino. Per anni hanno seguito altre strade, ricongiungendosi casualmente tra il 2010 e il 2011, quando hanno risposto al bando del Progetto Turandot di alta formazione artistica promosso dall’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Da quando si sono ritrovati hanno iniziato a collaborare con l’intento di costruire qualcosa di bello insieme, un impulso che li ha spinti verso la fondazione dell’associazione “Studio Arte e Cultura Orientale” - insieme al danzatore Song NaiLong - e apartecipare al concorso per il XXX ciclo del dottorato di ricerca, approfondendo in questo modo i linguaggi della danza occidentale e le sue possibili contaminazioni con quella orientale.
Potreste regalarci un breve excursus ripercorrendo assieme i momenti che hanno portato alla genesi di quest’opera, gli spunti e gli stimoli che hanno contribuito ad alimentare un’ispirazione e arrivare dunque all’origine di questo spettacolo?
L’idea per lo spettacolo nasce sia dal desiderio di promuovere la danza e la cultura orientale in Italia sia di avvicinare, come accaduto per caso nelle giovani carriere dei due artisti, due percorsi artistici: un punto di arrivo di anni di studio svolti sia a Pechino sia in Italia. Bisogna anche dire che nel 2015 Lu Zheng e Churui Jiang sono stati ospitati al festival di danza “Corpografie” di Pescara: lì hanno incontrato una risposta del pubblico assai positiva, e questo è stato uno dei motivi che hanno invogliato i due a creare“Il cielo, la terra, il popolo”, il cui titolo, scelto per sottolineare la volontà di unire felicemente elementi differenti, deriva dall’antico detto cinese: «Quando il cielo, la terra, il popolo sono collegati è il momento giusto per sfidare la fortuna». Forse questo momento, ironia della sorte, è sembrato il più propizio per loro, per “sfidare la fortuna”: si sono accorti che al pubblico italiano interessava quanto avevano portato in scena, anche perché in generale in Italia si ha una conoscenza della cultura cinese che non va mai oltre certi stereotipi che sappiamo. Quindi l’intenzione è stata innanzitutto quella di ampliare lo sguardo sul mondo e sulla cultura orientali attraverso la danza.
La danza in Cina si muove fra generi tradizionali e forme moderne, spazia dalle danze popolari, all’opera, al balletto. La vostra danza è una mescolanza, un ibrido fra tradizione e innovazione contemporanea. Che tipo di ricerca vi sta dietro?
È una ricerca che parte da diversi approcci: prima di tutto vi è un approccio teorico, una trasmissione di saperiche abbraccia la sociologia e l’antropologia (perché riguarda culture diverse), dopodiché ha fatto seguito un lavoro di tipo pratico, perché si arriva alla realizzazione dello spettacolo attraverso un’analisi del movimento tesa a restituire la forma di una lingua comune, anche quando a veicolarla sono corpi di nazionalità e culture differenti. Elementi tradizionali, per esempio, si manifestano nella presenza di gesti quotidiani che diventano “astratti” perché tolti dal loro contesto originario, e sono inseriti in moduli coreografici dove assumono una valenza diversa, come delle evocazioni esotiche, lontane nello spazio e nel tempo. C’è anche lo studio di tecniche di movimento non prettamente legate alla danza, come il taichi, fondamentale per “disinnestare” il movimento e donargli una fluidità stupefacente a uno sguardo “occidentale”.
Viene quasi automatico chiedervi un confronto fra le tecniche occidentali e orientali…
Le danzatrici contemporanee occidentali non usano molto la coordinazione a “S” che in Oriente è legata alla femminilità, e che vede la guancia “opposta” al bacino. Anche il profilo e lo sguardo sono completamente diversi; il modo di sentire il movimento, l’intenzione, sono diversi. Fin da piccole, nelle scuole si impara a muovere il corpo in un certo modo e questo si coglie bene dall’impostazione del bacino che le danzatrici orientali conservano nella danza; c’è poi una cura quasi maniacale, un’attenzione profonda verso il dettaglio. Esiste tutto un lessico legato al gesto che è differente dalla gestualità occidentale, ed è qualcosa che prima ancora che la danza riguarda la vita sociale.
Parlando dell’estremo Oriente ogni cosa viene investita da un valore quasi sacrale, si arricchisce di spiritualità, profondità. La stessa danza viene esibita in cerimonie pubbliche e rituali. Pare che ci sia sempre un messaggio da diffondere, celato o esplicito che sia. Il vostro spettacolo, forse, lo inscrive già nel titolo: Il cielo, la terra e il popolo. Qual è il vostro messaggio?
Il titolo sicuramente è un invito all’unione, al superamento di preconcetti culturali in nome di qualcosa di bello e anche inaspettato. Per questo è stata una “sfida” quella di fondere due mondi così distanti, perché ha a che fare con ciò che nella vita solitamente è difficile realizzare o far accettare: la perfetta integrazione tra le culture. La danza, come la musica, unisce i popoli. La danza esiste prima che la si potesse codificare in un linguaggio; è nata dall’originario e universale bisogno dell’uomo di esprimere sensazioni come la gioia, la tristezza, tutte le emozioni che poi sono andate formalizzandosi nei riti che l’essere umano ha iniziato a coltivare sin dalla notte dei tempi. Questi riti cambiano, cambiano le danze e gli stili, ma quel bisogno, quell’espressione ancestrale, resta autentica e pura in ogni luogo e in qualsiasi epoca.
Avete danzato in spazi diversi da quelli del teatro?
Sì, Lu Zheng, per esempio, ha curato le coreografie per un’esibizione alle Olimpiadi di Pechino nel 2008…
Differenze che avete riscontrato nel panorama artistico cinese e italiano? Dove ottenete più soddisfazioni?
Sicuramente lo sguardo dello spettatore occidentale è più estraneo a questo tipo di danza, la quale resta molto ancorata alla tradizione popolare cinese. Di per sé, ciò che è “popolare” tende a essere respinto rispetto a tutto quello che viene considerato nuovo, moderno e alla moda. In teoria questo spettacolo si pone al centro tra antico e moderno, Oriente e Occidente, ma ci rincuora, spronandoci ad andare avanti, il fatto stesso che sebbene la Cina sia un Paese dalla cultura conservatrice, essa abbia bene accolto quanto stanno realizzando i due coreografi, al punto tale che l’ufficio culturale dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese ha deciso di patrocinare con entusiasmo questo nuovo spettacolo.
Non ci resta che attendere e prender visione dello spettacolo.
Erika Cofone
9 dicembre 2016