Lunedì, 24 Marzo 2025
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Nicolo’ Ceriani: vi spiego i meccanismi del mondo del teatro lirico

La lunga intervista a Nicolò Ceriani,  vicepresidente di Assolirica,  continua con la seconda parte.

Il baritono, che si è esibito con successo  nei principali teatri e che vanta un repertorio vastissimo e che continua con successo una carriera prestigiosa, affronta, con lo stile diretto e la trasparenza che gli appartengono da sempre,  diverse questioni: il rapporto che si viene a creare fra agente e cantante; confronta la situazione odierna con quella del recente passato, smantellando alcuni luoghi comuni ricorrenti ;  parla di fondazioni e teatri d tradizione ed interviene nel dibattito sulla presenza di tante voci straniere nella programmazione teatrale italiana.

 

Buongiorno Maestro.

Riprendiamo, con grande piacere per quel che mi riguarda, la nostra chiacchierata sulla  situazione attuale del mondo dell’opera in Italia.

Prima di iniziare, però, mi permetta di sottolineare il grande apprezzamento ottenuto dalla precedente puntata, per il suo modo di essere franco e diretto, per non aver edulcorato nessuna risposta e per non aver evitato nessuna questione.

Credo che solo la verità, buona o brutta che sia, possa far uscire il teatro da quelle ombre e quel clima di diffidenza che certamente non lo rendono né popolare, né trasparente.

 

Quanta è la libertà di scelta di un cantante? Può cantare quello che si sente di cantare o le agenzie pongono dei vincoli precisi?

Dipende innanzitutto dalla fama e dunque dal potere contrattuale del cantante: più un cantante è celebre più ha la possibilità di scegliere soprattutto cosa NON cantare, quando invece sovente all’inizio della carriera si è più propensi ad accettare qualsiasi tipo di scrittura su repertori indiscriminati pur di lavorare e di far girare in qualche modo il proprio nome.

         Ovviamente non per tutti è così, in quanto esistono casi (non proprio frequentissimi a dire il vero) di cantanti che fin da subito stabiliscono che, oltre un certo limite o un certo repertorio, non vorranno mai inoltrarsi (a meno di verificare poi, nel corso degli anni, che grazie all’evoluzione naturale della loro voce, oltre che all’esperienza e al consolidamento della tecnica, ciò che a priori sembrava difficile da affrontare, poi si sarebbe potuto eseguire, perché ciò che all’inizio della carriera poteva sembrare un repertorio lontano dalla naturale predisposizione timbrica/tecnico vocale ora iniziava a diventare connaturato e consono ai propri mezzi.)

         In linea generale comunque la libertà di un cantante non è così grande, ma non sempre ciò è un male, in quanto talvolta le scelte di un direttore artistico competente e coraggioso (e talora ce ne sono) potrebbero riservare delle sorprese anche al cantante stesso che, di suo, non immagina di poter riuscire a risolvere certe specificità vocali. Quanto alle agenzie, anche qui il discorso dovrebbe essere analizzato caso per caso e molte agenzie provano (anche contro le ambizioni del cantante stesso) a proteggere la sua vocalità; per contro ce ne sono alcune (anche di grande giro) che sfruttano senza alcuno scrupolo il cantante di grido del momento, facendolo cantare troppo, in troppi repertori. Ve n’è chi se ne accorge per tempo e lascia la grande agenzia senza scrupoli, talvolta rimettendoci molto nella fase dell’abbandono, e chi, ignaro delle conseguenze e soddisfatto degli immediati guadagni, alla lunga ci rimette le penne. Ecco perché sarebbe sempre il caso di iniziare le prime collaborazioni con agenzie medio piccole che tendenzialmente suggeriscono la via corretta per una omogenea carriera progressiva, e solo dopo, in un secondo momento, ma con la piena consapevolezza dei propri mezzi, iniziare a relazionarsi con le grandi agenzie internazionali, con la piena conoscenza dei rischi e dei vantaggi che ciò potrebbe comportare.

         Un ultimo appunto però anche sui direttori d’orchestra: il cantante di fama, dalla bella voce e fresco di vocalità giovanile, subisce spesso l’innamoramento (in alcuni casi solo timbrico o di accento) di alcuni importanti direttori d’orchestra, che non sempre necessariamente sono dei buoni e saggi protettori della vocalità; questi, in alcuni casi, spingono le fresche promesse canore, che accettano le improvvide  proposte, ad inoltrarsi in repertori talvolta assai lontani dalle relative capacità tecniche, favorendo così, in voci non particolarmente robuste e resistenti, un rapido declino.

         Ma è sempre una questione di casi singoli e generalizzare non ha alcun senso, come non ha neppure senso provare a indicare tendenze di massima, perché tutte le epoche hanno avuto direttori sensibilmente tecnici, attenti alla voce cantata, insieme a grandi interpreti sinfonici e/o operistici che di vocalità capivano assai poco, così come in ogni epoca sono esistite grandi vocalità puramente naturali, che hanno resistito all’usura degli anni anche senza tecnica alcuna (o quasi) ma solo grazie ad una tenuta fisica eccezionale e ad una fortunata salute duratura, rispetto a vocalità tecniche raffinatissime che magari hanno avuto carriere brevissime per incidenti di percorso o per una naturale predisposizione ad una gracilità fisica.

 

Un tempo gli agenti cercavano voci giovani da accompagnare. Aiutavano la formazione, lavoravano sul repertorio, cercavano di far maturare le voci. Le carriere duravano decenni ed i repertori crescevano lentamente. Adesso la sensazione è che le belle voci vengano spinte a ruoli decisamente arditi, come Lady Macbeth ed Abigaille, trasformando quelli che un tempo erano punti di arrivo in trampolini di lancio. Cosa è cambiato? La preparazione nei Conservatori, latteggiamento delle agenzie, le richieste dei teatri?

Proprio per quanto appena detto sopra, io non sarei d’accordo sull’affermazione iniziale: quarant’anni fa alcuni agenti di gran fama e di giro mondiale erano iene senza scrupoli, tali e quali a quelli che potremmo trovare nel mondo odierno e non è assolutamente vero che un tempo le carriere erano di media così longeve, anzi ! Non è mai esistito un momento nella storia dell’esecuzione vocale in cui l’età media dei cantanti sia così alta come ai giorni nostri: oggi non ci si scompone se un interprete canta normalmente in tutti i teatri del mondo  a sessanta o sessantacinque anni. Un tempo quella era l’età della fine assoluta della carriera e comunque della piena ed evidente decadenza vocale (con le dovute eccezioni come in ogni caso ovviamente): Ma se dobbiamo valutare per grandi numeri ora si hanno carriere di media molto, ma molto più lunghe di un tempo e parto dall’analisi delle biografie di tutti quei grandissimi cantanti che oggi possiamo studiare anche attraverso le “fuorviantissime” testimonianze discografiche degli inizi ‘900 e che a cinquant’anni avevano in sostanza terminato le loro folgoranti carriere, per arrivare fino agli anni ’60…Poi è cambiato quasi tutto, anche nella nostra salute individuale e nei modi della nostra alimentazione visto che arriviamo ai giorni nostri appunto in cui, pur viaggiando costantemente in aereo da una parte all’altra del mondo, la tenuta vocale della maggior parte degli interpreti lirici è assai superiore a quella dei predecessori (parlo di tenuta vocale, non di bontà interpretativa o presupposta correttezza tecnica).

         Mi consenta però di chiarire il “fuorviantissime”, relativo alle testimonianze fonografiche che vanno dagli inizi del’900 a tutti gli anni ’30:  lo dico perché di volta in volta (quasi da quinquennio a quinquennio) bisognerebbe essere capaci di conoscere le tecniche di registrazione e individuare in esse le esasperazioni che la ricezione sonora nei diversi casi mette in evidenza (eccessiva nasalizzazione, colpi di glottide, vibrato stretto e così via), che altrimenti si rischia di formarsi un gusto od un’estetica in base a falsi oggettivi: per capire meglio cosa intendo, direi che tutti i cantanti che giustamente vogliono studiare e capire anche le esecuzioni e le tecniche del passato, attraverso le testimonianze fonografiche, dovrebbero ascoltare l’esperimento che in America ha fatto nel 2012 se ricordo bene il tenore polacco Beczala incidendo un paio di arie con un sistema di registrazione sonora degli anni ’20  circa, esperimento dal quale si evince ovviamente la voce di Beczala così come noi la conosciamo, ripresa dalla telecamera odierna e poi quella che sarebbe uscita una volta incisa su un disco antico e riprodotta con fonografi coevi: una voce ovviamente molto, ma molto diversa e con caratteristiche esasperate in alcuni aspetti che nella voce “naturale” di Beczala non esistono affatto !

 

Qualche decennio di anni fa, grandi cantanti, come Magda Olivero, hanno condotto brillanti carriere internazionali senza avere un agente. Oggi sarebbe ancora possibile?

No ! Però se qualcuno oggi fosse parente, od amante di un direttore o di una direttrice di qualche grande Major discografica o di uno/a Sovrintendente di qualche grandissimo Teatro internazionale, per qualche anno potrebbe farcela !

 

 Secondo la sua associazione quali modifiche andrebbero fatte all’attuale normativa riguardo fondazioni e teatri?

Che le Fondazioni lirico-sinfoniche non siano più Enti a geometria variabile e che si chiarisca una volta per tutte in maniera non ambigua la natura giuridica dei Teatri lirici finanziati dallo Stato.

 

Una delle questioni sollevate dal dottor Silvestri, rappresentante della Ariacs, nella sua intervista su LaPlatea.it, era che al momento le spese dellagenzia sono a carico dei cantanti. Vi sembra corretto o non sarebbe giusto che venissero sostenute anche dai teatri, in modo da rendere la prestazione meno onerosa?

Noi di Assolirica abbiamo scritto proprio insieme ad Ariacs e quindi insieme al Dottor Silvestri, con la supervisione di Massimo Pontoriero presidente di Unisca, un’ipotesi ordinata di decreti attuativi relativi all'ultima legge di riforma sullo spettacolo dal vivo, tra i quali ve n’è uno che riguarda appunto la proposta di una divisione al 50% delle spese relative alle agenzie, distribuita equamente tra artista esecutore o facente parte del team creativo e Teatro committente, così come avviene, da innumerevoli anni, in moltissimi paesi europei.

 

Molte agenzie hanno sede allestero, pur lavorando moltissimo nel nostro paese. Questo, oltre al fatto che le tasse sulle provigioni sui contratti svolti nei teatri italiani non vengono pagate in Italia e quindi comunque diminuisce le entrate, sembra favorire i vostri colleghi stranieri, che fanno da padroni in alcuni cartelloni, anche nei ruoli non protagonistici. Come giudicate la situazione? È solo una sensazione o di fatto i cantanti italiani hanno meno possibilità di lavoro ? come è la situazione negli altri paesi europei?

Parto dalla fine: negli altri paesi europei, in effetti la presenza di cantanti stranieri, che non siano prime o seconde parti, quasi non esiste. Pur non potendo, per un insieme di leggi europee, usare una sorta di protezionismo nei confronti dei cantanti del proprio paese, i teatri stranieri, quelli spagnoli, francesi, tedeschi e così via, chiamano in percentuale altissima gli artisti della propria nazione; l'Italia probabilmente è malata di esterofilia e visto che spesso per avere il grande cantante di grido, proposto dalla grande agenzia internazionale, questa propone un pacchetto dove inserisce anche seconde parti o comprimari non necessariamente italiani, i teatri italiani si adattano. Ma c’è un pericolo ancor più grave che incombe sulle teste e sulle carriere degli artisti italiani di seconde parti e del comprimariato ed è quello delle Accademie di perfezionamento di canto. Quasi tutte le fondazioni lirico sinfoniche ne hanno una, il che in astratto non sarebbe un male, se queste rispettassero alcune norme basilari e cioè che i cantanti formati nelle accademie di perfezionamento si esibissero poi nei relativi teatri, in produzioni specifiche a loro dedicate e non completino i cartelloni di tutti i ruoli comprimariali tradizionalmente affidati, fino a poco tempo fa, ai cantanti comprimari italiani che di questo vivono. Anche perchè si viene a creare per di più una doppia ingiustizia: da una parte i ragazzi stranieri, spesso anche molto bravi, che riempiono le nostre accademie vengono sfruttati quando partecipano sia come seconde parti che come comprimari alle produzioni principali del teatro di cui fanno parte, in quanto vengono pagati molto al di sotto di quello che sarebbe il minimo contrattuale (e non dimentichiamoci per altro che loro l'Accademia la fanno per potersi esibire in ruoli principali e nessuno penserebbe mai di venire in Italia per specializzarsi nel comprimariato; onde per cui per due anni fanno una cosa che poi nel loro paese o all'estero non riproporranno mai più e facendola per un periodo così limitato nel tempo non imparano neppure i segreti di un mestiere così particolarmente specifico quale quello del caratterista); dall’altra tolgono, a bassissimo prezzo, il lavoro ad un'intera generazione di artisti indigeni che hanno deciso spesso di non entrare in una formazione stabile con uno stipendio assicurato, ma hanno rischiato di persona un'attività individuale e che ora si ritrovano improvvisamente senza lavoro alcuno.

         Per rispondere poi al primo punto della domanda, direi che il problema della tassazione delle agenzie che hanno sede all'estero riguarda soprattutto il fisco, che dovrebbe vigilare qualora queste agenzie siano solo nominativamente agenzie estere. Comunque anche su questo punto insieme ad Ariacs abbiamo scritto una serie di proposte legislative atte ad evitare il diffondersi a dismisura di questa pratica ingannevole nei confronti del Fisco, portatrice inoltre di una concorrenza sleale nei confronti di tutte quelle corrette Agenzie con sede regolare in Italia che pagano regolarmente tutte le tasse dovute allo Stato!

 

In Italia ci sono, oltre alle Fondazioni, numerosi teatri di tradizione, che fino a qualche anno fa erano palestreper i giovani artisti che maturavano il repertorio, imparavano a stare in scena e capivano anche quale fosse il repertorio più adatto per loro. Adesso la situazione sembra cambiata, con una forte presenza di voci estere e di cantanti già da tempo in carriera. È solo unimpressione od in effetti anche questa è una criticità del sistema?

No, la situazione è proprio così: di fatto la palestra in Italia non esiste più quasi per nessun cantante, (ma neppure per nessun direttore d’orchestra o rappresentante di un team creativo) se escludiamo alcune sporadiche storiche compagnie di giro, come, solo per citarne una, Fantasia in Re di Stefano Giaroli di Reggio Emilia, e che sono oramai sempre più rare. Queste poche rimaste sono però benemerite e quasi salvifiche, perché permettono al giovane interprete di potersi provare in ruoli principali senza lo stress del debutto in un grande teatro. I cosiddetti teatri di tradizione sono diventati invece delle imitazioni delle grandi Fondazioni lirico-sinfoniche e non è così insolito trovare nei loro cartelloni nomi che cantano tradizionalmente all'Arena di Verona, alla Scala di Milano o magari anche al Metropolitan di New York. Tutti vogliono oramai il grande nome temendo di non riuscire più a riempire il proprio teatro. Non ho elementi concreti per stabilire se questo timore sia reale o presupposto, in quanto non ho mai svolto nella mia carriera incarichi di natura dirigenziale amministrativa presso nessun Teatro; però ho il sospetto che un'intera generazione di cittadini amanti della lirica, soprattutto nei teatri di provincia, sia andata lentamente ad estinguersi non necessariamente ripopolata dalle nuove generazioni. Ed ecco che invece di pensare per tempo a delle vere politiche di introduzione all'opera ed al teatro, promosse dagli Assessorati alla Cultura in sinergia con i Teatri stessi per la costruzione di un nuovo pubblico, si prendono delle comode scorciatoie. Si tende quindi, per riempire le sale dei propri teatri a rivolgere il proprio marketing ai professionisti di mezza età che possono permettersi un biglietto ben più caro di quello di una sala cinematografica, stimolando il loro interesse soltanto con i grandi nomi di cartello e per di più, assai spesso, con i soliti titoli d'opera, riproposti decine e decine di volte; titoli ed interpreti insomma che garantiscano l'affluenza quasi automatica di un pubblico pagante e forse passivamente appagato, ma sicuramente poco critico e curioso.

 

Scorrendo le programmazioni teatrali si ha la sensazione che esistano delle agenzie che hanno un peso molto maggiore delle altre, tanto che in alcuni titoli la maggior parte degli interpreti ha lo stesso agente, con tutti i problemi di equilibrio che questo può portare. Si tratta di una impressione o di una situazione reale? Ed in questo caso quanta parte di questa situazione è attribuibile alle agenzie e quanto ai teatri?

Spesso è così, ma non è una novità. Direi che è sempre stato così e che il monopolio di grandi agenzie è sempre esistito ed immagino che sempre esisterà; non è neppure un problema di maggiore o minore responsabilità dell'agente o del Teatro: è assolutamente naturale che se un agente possiede 30 cantanti di cartello di altissimo livello, un teatro che possa permetterselo, lavorerà principalmente con quella Agenzia lirica per garantire al proprio pubblico e ai propri abbonati un livello artistico qualitativo alto. E’ evidente che tutto ciò comporta tutta una serie di piccole ingiustizie nei confronti delle agenzie più piccole e dei cantanti meno protetti ma questo esiste in tutti i mondi lavorativi dello spettacolo e anche dello sport, dove la figura dell’agente è preminente e spesso dirimente. Se poi volessimo aggiungere provocatoriamente che oggi, almeno in Italia, alcuni Agenti talora sono più competenti di alcune direzioni artistiche nel costruire cartelloni e cast a loro piacere, garantendo tuttavia una qualità non criticabile, avremmo messo la ciliegina sulla torta.

         Ma il danno invece che ciò comporta è altro ancora ed è anche di natura culturale: e su questo dovrebbe vigilare lo Stato (che fino a poco fa aveva all’interno del Ministero della Cultura un Osservatorio per monitorare anche l’aspetto che andrò a descrivere, ed ora immagino che si aspetti di riproporlo una volta diventata operativa, tramite l’approvazione dei decreti attuativi, la nuova legge sullo Spettacolo dal Vivo).

         Se partiamo dal presupposto che le 14 Fondazioni lirico-sinfoniche sono state istituite non solo per essere presenti in maniera più o meno omogenea sul territorio nazionale, ma anche per sviluppare ciascuna una sua specificità, quasi territoriale (ad esempio, senza alcun dubbio negli anni ’70 ed ’80 Trieste si caratterizzava per la forte presenza costante del mondo operistico slavo e di quello wagneriano e straussiano, Napoli per una ricerca di recupero del Teatro Settecentesco non più rappresentato, Torino per un attenzione maggiormente rivolta al Teatro contemporaneo e così via…), la ingerenza massiva di alcune Agenzie dominanti determina per contro la presenza costante in tutti i cartelloni degli stessi artisti, ma peggio ancora (visto che spesso le programmazioni vengono fatte alla rovescia, partendo cioè dalle preferenze esecutive del cantante di grido), anche di rimando, degli stessi titoli. E anche qualora un gruppo di artisti decidesse di provarsi in un’ opera fuori repertorio tradizionale, quella verrebbe allora riproposta nel giro di due o tre anni in tutti quei teatri che volessero avere quel gruppo di artisti, consentendo così loro di monetizzare senza troppo sforzo l’impegno di studiare un’opera nuova in parte desueta. Un sistema perverso che nuoce alla varietà culturale delle proposte artistiche e alla necessaria differenziazione dei Teatri sparsi sul territorio nazionale.

          Certo è che se avessimo direzioni artistiche e/o Sovrintendenze di altissimo livello culturale non necessariamente nominate dalla politica intesa in senso lato, FORSE potremmo trovare qua e là figure dirigenziali che agirebbero con maggiore autonomia e ricerca della qualità, anche indipendentemente dalle proposte delle grandi agenzie.

 

Questa impressione è motivata anche dal fatto che scorrendo i nominativi degli artisti inseriti in Operabase, ci si accorge che c’è un continuo travaso da unagenzia allaltra. Cosa motiva questo comportamento? Quale tipo di supporto dovrebbe dare un bravo agente agli artisti che lavorano per lui?

Il problema del travaso di Artisti lirici (e tra questi intendo, come ho già detto prima, anche registi, scenografi, costumisti, light designer, direttori d’orchestra e non solo cantanti) da un'agenzia all'altra è un altro fatto molto comune negli ultimi 30 anni. Per scherzare si potrebbe dire che c'è quasi un parallelismo tra la situazione dei grandi calciatori e quella dei cantanti di oggi con le stesse realtà parallele di 30/40 anni fa, dove i primi erano naturalmente legati alla maglia e alla città che questa rappresentava, mentre ora passano, per motivi di interesse economico con facilissima disinvoltura anche ogni due anni, da una squadra all’altra; bene: i cantanti talvolta fanno lo stesso anche se il motivo non è sempre e solo economico. Principalmente gli esecutori sono figure psicologicamente molto fragili: solo quando sono in scena sono solidi e forti, ma appena escono dal palcoscenico, perlopiù attendono segnali di pura forte approvazione che sia sufficientemente compensativa alle loro insicurezze (quasi sempre mascherate ingenuamente da arroganza e spavalderia). Ecco perciò che appena si sentono (o credono di essere) lievemente trascurati dal proprio agente che fino a l’altro ieri li aveva portati sugli scudi (ed oggi magari sta seguendo parallelamente anche la brillante carriera di un altro collega), interpretano ciò come un tradimento insopportabile e vanno in cerca di un’ altra figura paterna protettrice che li rimetta al centro unico del loro interesse. Non c'è agente, anche il più bravo e onesto, che possa sottrarsi a questa stortura psicologica di rapporto che si scontra con la fragilità quasi endemica, ma paradossalmente necessaria, dell'interprete lirico.

         Poi è normale che ci siano situazioni nelle quali il passaggio da un’Agenzia ad un’altra possa essere più che giustificato, perché maturato magari dopo anni di piccoli ingiustizie o da una sottovalutazione oggettiva da parte dell’agente delle capacità del proprio artista, ma più frequentemente questa sorta di diaspora nella quale l'artista lirico si trova a viaggiare, immaginandosi sempre privo di una patria reale solida ed acquisita, fa parte di una tensione psichica in taluni casi necessaria a sviluppare poi energie in palcoscenico.

 

Lei mi pone delle domande assai insidiose, perché pur rappresentando una casistica oggettiva reale, a questa non si può dare una risposta univoca in quanto davvero, dopo tanti anni di esperienza in teatro, potrei dire che ogni caso è un caso a sé. Partendo dalla fine potrei dire che se uno davvero non è bravo, potrà per un po' darla a bere, ma dopo un po' la sua carriera finirà; quindi conta senz'altro essere bravi, ma ciò non è ragione sufficiente per lavorare con costanza, quindi è meglio essere supportati da una solida Agenzia; ma anche in questo caso la buona Agenzia che magari è buona per l'artista perché è sensibile, lo segue e non lo sfrutta, non è detto che sia sempre un'Agenzia amata dai grandi teatri e quindi: per buon Agenzia intendiamo un'agenzia ben piazzata nel mercato o buona e sensibile con l'artista?

         In realtà molto fa l’artista perché conta molto il rapporto personale che questo intesse con i direttori d’orchestra, i maestri sostituti, i registi e le singole persone che gestiscono i teatri e a tutti i livelli. Persone, che poi negli anni, lui stesso ritroverà in altri teatri e in altre cariche, prima o poi apicali, ed ecco perchè sarà da subito essenziale l’aver instaurato rapporti di cordiale e corretta relazione con il settore organizzativo-dirigenziale. Poi la fortuna ovviamente conta, come conta la salute che è la cosa principale in una carriera.

         Quanto ai cantanti che arrivano all'ultimo momento senza aver provato, anche questa è una pratica antica e ai grandi lo si è sempre concesso. Certo non in maniera così sfacciatamente automatica e generalizzata come oggi, dove alcuni interi cast di fatto si presentano oramai impunemente quasi solo alle recite, senza prove musicali con il direttore e quasi senza indicazioni registiche, (quelle per le quali tutto il resto del cast si fa di media venti giorni di prove !), perchè garantiti e supportati da grandi agenzie onnipotenti. Io ho il sospetto che tutto ciò prima o poi finirà, perchè ciò riguarda anche la sfacciata arroganza di una forza contrattuale di una parte e la debolezza culturale/politica dell’altra. Ma sono cicli che mutano, appena mutano le persone e le loro qualità individuali.

         Certo che la pratica di cui lei parla, e che in effetti esiste, è soprattutto moralmente deprecabile, perchè normativamente crea una clamorosa disparità di lavoro (e quindi anche di spese sostenute in un mese di prove) tra “gli onesti molti e i protetti pochi”, per parafrasare la Morante, anche se ciò non riguarda ahimè necessariamente la qualità artistica della singola recita: ho appena finito delle recite di un'opera verista in cui uno dei protagonisti maschili è arrivato ad una sola prova di corsa da Londra con l'aereo in ritardo. Anche le due recite che gli erano state affidate le ha fatte in questa maniera e al confronto di noi, che stavamo da un mese a provare, lui ha fatto solo quei tre giorni. Nonostante ciò è stato l’interprete più applaudito di tutto il cast e al di là del problema etico, (che proprio per ciò deve essere regolamentato a livello legislativo !)  rimane solo da augurarsi che l’interprete in questione sappia cautelarsi da un’ Agenzia che lo sfrutta con questi ritmi, perchè ora che è ancora relativamente giovane, regge, ma alla lunga la sua salute vocale potrebbe risentirne pesantemente, determinando anzitempo, da una parte la fine della sua luminosa carriera, ma dall’altra anche una vera e propria perdita per il mondo della Lirica.

 

La volta prossima chiuderemo questo lungo e, speriamo, interessante incontro parlando del futuro del mondo della lirica.

Certamente il Maestro Ceriani lo farà da par suo, senza peli sulla lingua.

 

 

Gianluca Macovez

10 marzo 2025

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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