Dal 1992 Dario D’Ambrosi porta avanti a Roma un progetto diventato negli anni fondamentale per molte famiglie quello del teatro Patologico. Di cosa si tratta? Di trovare un raccordo, un punto d’incontro e di aiuto reciproco fra arte teatrale e persone con disabilità mentali. Un lavoro importante, che è diventando una vera e propria terapia per molti disabili e allo stesso tempo fucina di opere teatrali apprezzate da pubblico e critica. L’attività di D’Ambrosi è stata così apprezzata che nel 2009 il Teatro Patologico ha ottenuto una sua sede stabile in via Cassia (Roma) dove è poi nata la prima scuola europea di formazione teatrale per persone con diverse disabilità.
Le rappresentazioni della compagnia del teatro Patologico sono andate in scena dal teatro Argentina al Mama di New York passando anche per Tokyo e Bruxelles. Migliaia le famiglie che negli anni hanno potuto notare un vero e sostanziale aiuto da questo tipo di attività per il loro familiare con disabilità. Poi è arrivato il Coronavirus, la chiusura dei teatri ed anche per il teatro Patologico lo stop è stato doveroso ma destabilizzante per molti ragazzi.
Qual è la situazione oggi del teatro Patologico, dopo il lockdown siete riusciti a riprendere, almeno in parte le vostre attività?
La situazione è molto triste perché avevamo messo in calendario una serie di appuntamenti molto intensi ma soprattutto molto specifici, da fare con i ragazzi disabili che frequentano i corsi del teatro Patologico. Prima del lockdown avevo anche pensato di migliorare il corso di teatro terapia con l’intervento di una logopedista ma quando si è tornati al libera tutti è arrivata un’altra brutta notizia: il comune di Roma ha negato il contributo economico per un piccolo vizio burocratico. Mi è dispiaciuto perché ciò è fondamentale per l’esistenza della nostra realtà e credo sia gravissimo che questo contributo sia stato negato solo per un vizio burocratico. Anche perché il servizio che offriamo coinvolge circa sessanta famiglie i cui parenti sarebbero stati impegnati per altri tre anni in queste attività con grandi benefici per la loro condizione.
Oltre a studiare i ragazzi portano anche in scena degli spettacoli teatrali, che anche la nostra rivista ha seguito ed apprezzato nel corso degli anni…
Sì, è vero mettiamo anche in scena degli spettacoli che permettono ai ragazzi di mettere in pratica quello che studiano ma anche di girare molto, non solo in Italia anche all’estero, l’anno scorso, ad esempio siamo stati a Londra dove abbiamo vinto un premio come miglior spettacolo, siamo stati più volte a New York e quest’anno saremmo dovuti andare a Los Angeles e Johannesburg. Ci tengo a dire che tutto è a carico delle famiglie, che nonostante le molte difficoltà decidono di sostenere i loro ragazzi in questi viaggi perché capiscono che per loro è molto importante, se si riuscisse a sostenere le attività del teatro Patologico anche in questo sarebbe fantastico. Ricordo che grazie al teatro Patologico questi ragazzi riescono ad integrarsi nel tessuto sociale a trovare una loro dimensione, per loro si tratta di un’attività molto importante.
Ora costa state facendo per chiedere al comune di Roma di riavere il contributo?
Ora stiamo portando avanti una raccolta firme e per il 17 settembre sto organizzando una manifestazione di protesta molto forte: si tratta di un finto funerale che parte dalla sede del teatro Patologico (in via cassia, ndr.) e vorrei potesse arrivare fino al Campidoglio, o almeno fino dove riusciremo ad arrivare prima di essere bloccati.
Cosa chiede per il futuro del Teatro Patologico?
Chiedo di darci i mezzi per andare avanti. L’idea è quella di far in modo che il teatro patologico diventi qualcosa in più per questi ragazzi e ragazzi, per questo abbiamo fondato il primo corso universitario al mondo, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata, di “teatro integrato delle emozioni” e speriamo che il ministro Manfredi ci dia modo di continuare. Si tratta di un progetto che abbiamo presentato a Bruxelles e tutti gli altri Paesi europei sono rimasti colpiti perché daremo modo a ragazzi autistici, con problemi psichici e altre disabilità che nelle altre nazioni non hanno possibilità di integrazione, di poter prendere una laurea che darà sbocchi lavorativi, come aiuto costumisti, regia e tanti altri mestieri che hanno a che fare con il mondo del teatro.
Il suo metodo di lavoro teatrale è molto apprezzato all’estero, in Italia pensa che il vostro lavoro sia adeguatamente valorizzato?
Abbiamo avuto una delegazione da Israele che è venuta da noi per studiare il nostro metodo, hanno dimostrato il loro interesse molte università nel mondo dall’Argentina e dagli stati Uniti ad esempio. Si tratta di qualcosa di unico e lo posso dire perché giro molto per il mondo. Ogni volta che vado in una Paese nuovo cerco di capire quali sono le opportunità che vengono offerte a chi ha delle disabilità e posso assicurare che le altre nazioni, anche le più impensabili offrono zero, lasciano queste persone abbandonate a se stesse.
Ci sono arrivate in redazione alcune segnalazioni inerenti il vostro lavoro, ne leggo una per poi chiederle un commento:
Io, da madre di una ragazza disabile che frequenta il Teatro Patologico di Dario D'Ambrosi, confermo e condivido al 100% ogni parola di questo messaggio della mamma di Fabio. Mia figlia è rinata grazie al Teatro Patologico. Lei lì si sente gratificata, compresa, non giudicata, e amata proprio per le sue caratteristiche così speciali. E pur essendo disabile, le sue abilità vengono tirate fuori grazie a Dario D'Ambrosi e ai suoi splendidi collaboratori. Io sono una di quelle mamme che rimane ad aspettarla x ore, dal lunedì al giovedì, e mia figlia ha fatto tanti sacrifici per frequentare le lezioni, perché abitiamo lontano e ci spostiamo con i mezzi pubblici, d inverno e d estate, e dobbiamo uscire di casa almeno 2 ore prima, e altre 2 per ritornare a casa, ma MAI una volta mi ha detto "non ci voglio andare oppure sono stanca", MAI. Perché lei AMA il Teatro Patologico e DARIO e i suoi amici del teatro, e i registi e i collaboratori, per lei tutto ciò è una seconda famiglia, una seconda casa. Io non l ho mai vista così felice e spensierata, e di conseguenza lo sono anche io come madre, e così tutta la famiglia. Chiedo pertanto alle istituzioni, alla sindaca Virginia Raggi, alla Regione Lazio, a chiunque abbia la facoltà e la possibilità di farlo, di agire immediatamente in favore del Teatro Patologico, affinché tutto ciò che ha fatto e fa Dario D'Ambrosi continui ad esistere, affinché non vengano distrutti i sogni di tantissimi ragazzi/e disabili, che grazie a lui hanno ritrovato la gioia di vivere.
Mamma di una ragazza speciale
Sono rimasto sorpreso della solidarietà dei genitori, pensavo che vedessero il teatro Patologico solo come una scuola ma non è così, perché tutto quello che succede da noi, le relazioni umane che si creano fanno della nostra realtà un qualcosa di unico e di importante per queste famiglie. Credevo che il problema con il Comune di Roma o le richieste avanzate al Ministero sarebbero state questioni che avrei dovuto affrontare da solo, invece le famiglie si sono scatenate in maniera incredibile. Ciò testimonia l’importanza che ha per loro il teatro Patologico e mi fa credere che se la nostra realtà fosse presente anche in altre città molte altre famiglie potrebbero trarne giovamento. Molti genitori mi dicono che da quando i loro figli frequentano il teatro Patologico riescono a dormire la notte, questo è molto importante per noi, vuol dire che stiamo facendo bene.
Qual è il vostro approccio di teatro terapia?
Attraverso l’interpretazione di Amleto o Riccardo III cerchiamo di far entrare i ragazzi nelle ansie, nelle paranoie e nella psicosi dei personaggi, facendo in modo che quelli siano degli specchi della loro condizione. Con questo stratagemma cerchiamo di fargli capire come gestire i loro problemi, come conviverci. Non curiamo nessuno, ma cerchiamo proprio di fargli capire, attraverso il teatro che si può accettare la propria realtà e imparare a conviverci. Poi ci sono tanti altri esercizi teatrali che adottiamo ma il senso dei nostri corsi in sostanza è questo e posso assicurare che gli effetti sono più che positivi per chi frequenta il teatro Patologico.
Come è nata l’idea del teatro Patologico?
Da giovane ho giocato per 4 anni nel Milan insieme a Baresi e Collovati, finita quell’esperienza la mia attenzione si è spostata su chi soffriva di malattie mentali, vedevo che chi usciva dai manicomi non aveva possibilità di reintegrarsi nella società. Ho visto molti morire sotto i ponti di fame e freddo. Così mi sono fatto internare per tre mesi nell’Istituto Psichiatrico Paolo Pini di Milano per studiare il comportamento dei ricoverati. Lì è nata l’idea del teatro Patologico. Subito dopo mi sono trasferito per un periodo a New York dove ho conosciuto Ellen Stewart, fondatrice del cafè La MaMa che mi ha fatto esordire al teatro con il monologo Tutti non ci sono che parlava proprio delle realtà che avevo visto in manicomio. Uno spettacolo fondamentale che è stato visto da molti esponenti culturali dell’epoca fra cui Andy Warhol. Tornato in Italia è nato, pian piano ciò che oggi si chiama Teatro Patologico.
Prossima tappa?
Naturalmente la protesta del 17 settembre, per celebrare questo finto funerale ma spero che ci saranno tante altre tappe in grado di far crescere la nostra realtà ed aiutare tante altre famiglie.
Enrico Ferdinandi
21 agosto 2020