In occasione della trentaquattresima edizione del Todi Festival, che si terrà nella città di Todi dal 3 al 6 settembre 2020, abbiamo intervistato il direttore artistico Eugenio Guarducci, al fine di cogliere le sue emozioni e le prerogative di questa edizione che, inevitabilmente, risentirà delle ripercussioni e restrizioni derivate dall’emergenza Coronavirus.
Avendo come sfondo e vincolo costante il contesto di emergenza all’interno del quale avrà luogo il Todi Festival, come ha ridisegnato i contorni di tale appuntamentro?
La parola chiave è: prudenza. Quando abbiamo deciso di ripartire con l’organizzazione del Festival, ci siamo posti come obiettivo principale quello di affiancare al nostro entusiasmo anche i necessari protocolli di sicurezza riguardanti sia gli spettacoli al chiuso che quelli all’aperto. Tali accortezze, partendo dallo spettatore, saranno atte a tutelare tutti.
L’obiettivo quindi è far dialogare la prudenza con la qualità?
Esattamente: la tutela delle persone non deve essere interpretato come elemento limitativo. Ogni qualvolta che avevamo considerato se ripartire o meno con il Todi Festival, il pensiero andava non solo agli attori ma anche ai tecnici e a tutti coloro che erano stati più esposti pur non potendo sempre contare su protezioni adeguate. La testimonianza di come sia necessario avere uno sguardo complessivo che abbracci e tuteli anche le persone meno visibili è pervenuta da Max Gazzè. L’artista, infatti, oltre ad essersi impegnato a ritornare sul palco, ha dichiarato apertamente di aver ridimensionato il proprio cachet, contribuendo così a garantire disponibilità di un adeguato compenso anche al personale che lavora “dietro le quinte”.
Mai come in questo periodo è necessario essere all’interno di un discorso comune...
Durante il “lockdown” infatti molto personale è stato vittima di grande sofferenza: basti pensare a tutti coloro costretti alla cassa integrazione. Il Todi Festival rappresenta anche un’occasione per restituire dignità e diritto al lavoro per coloro che sono stati costretti per lungo tempo a sospendere la loro professione.
Quest’anno non era affatto scontato l’avvio dell’edizione del Todi Festival. In cosa è consistita la sua personale sfida?
Qualsiasi imprenditore, indipendentemente dagli ambiti in cui esercita, convive con il “rischio”. In questo caso il rischio non è solo di natura economica, anche se anche questo ben presente, ma si traduce nell’assumersi una responsabilità di matrice sociale che possiede delle dinamiche che oltrapassano quelle connaturate alla fase prettamente artistica ed organizzativa. Nello specifico, mi riferisco al nostro impegno nell’assecondare e seguire i piani sanitari e tutto ciò che orbita attorno al concetto di sicurezza. Per fronteggiare tali eventi devastanti, come la pandemia, è stato necessario adeguarci con serietà, fornendo risposte credibili.
Che tipo di esperienza è stata per lei? Si è rivelata comunque stimolante nonostante il momento difficile?
Decisamente si. Questi mesi sono stati caratterizzati da un dialogo serrato con gli artisti, le compagnìe e gli operatori con cui ci siamo vicendevolmente incoraggiati al fine di tenere sempre aperta la porta della speranza di riproporre il Todi Festival. Quando abbiamo annunciato la fattibilità dell’evento nonostante il ridimensionamento di date, condensate in quattro giorni e non più in nove, abbiamo comunque dato un messaggio che, insieme ad altri segnali aventi luogo nella Regione, come Umbria Jazz e il Festival dei Due Mondi, ha trasmesso una speranza concreta per una ripresa piena per la stagione 2021.
Il ridimensionamento del Festival è sinonimo di rinuncia o, al contrario, è stato una spinta alla creatività nel plasmare una forma nonostante la poca materia a disposizione?
La riduzione per esempio di date ha stimolato quella creatività che ha aggiunto e non tolto. Per esempio la proposta che prenderà il via quest’anno, il “ T - Short”, pur essendo di durata limitata ai quattro giorni, introduce comunque tematiche nuove in ambito teatrale, assorbendo esperienze creative sviluppatesi proprio durante il periodo del lockdown e messe a fuoco attraverso un master e un confronto tra esperti. L’avvento del covid ha portato, infatti, ad una nuova grammatica destinata a svilupparsi: come ad esempio il “ T - Off ” presente già da quattro anni e destinato a proseguire anche nei prossimi anni. Siamo infatti convinti che questi nuovi spunti saranno sempre arricchiti a loro volta da nuovi innesti.
Si può dire quindi che questa situazione di compressione ha liberato una certa fertilità in termini di idee e spunti?
Non dimentichiamoci che quello che noi facciamo appartiene alla cosiddetta “ Industria culturale” che inevitabilmente risente del contesto circostante. Infatti se non si rimane indifferenti a tutto ciò che accade intorno a noi, si assorbono inevitabilmente determinate riflessioni sull’accaduto, tramutandole in chiave creativa. Ciò non vuol dire che dobbiamo ogni anno ricercare un elemento catastrofico per avere nuovi stimoli: semplicemente anche nelle avversità possiamo rintracciare l’elemento positivo. Probabilmente molti aspetti della nostra vita andranno rivisti ed eventualmente corretti, ma ciò non implica necessariamente un ridimensionamento ma un’occasione per dare vita ad una nuova fase di crescita che necessita comunque, in terminini imprenditoriali, di una sponda pronta a sostenere la nuova sfida. Mi pare inoltre di capire che ci sia stato un rafforzamento di quei legami che forse prima venivano dati per scontati o tralasciati. L’importanza dei social, che forse avevano preso un eccessivo sopravvento, è stata così ridimensionata, a favore di una pacca sulla spalla reale.
Simone Marcari
20 agosto 2020