Sabato, 23 Novembre 2024
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Una nuova realtà romana: Francesca Epifani ci parla del Teatro Kopó

#andiamoateatro

Intervista a Francesca Epifani attrice e Direttrice Artistica del Teatro Kopó 

Come nasce il Teatro Kopó e perché questo nome?

Il Teatro Kopó nasce nel 2013, ma già da un paio di anni si parlava tra noi dell’idea di dare vita a un piccolo teatro. Da quando, cioè, in qualità di attrice, sono stata in tournée in diverse città del Nord Italia e sono poi tornata a Roma. Qui mi sono resa conto che per le piccole compagnie barcamenarsi nella giungla delle centinaia di teatri romani non era certo semplice e, in più, a differenza di altre situazioni italiane mi rendevo conto che pochissimi teatri, se non addirittura nessuno, si comportasse come mi ero sempre immaginata dovesse fare un teatro, vale a dire da “mecenate” che co-produce e/o sponsorizza e promuove il lavoro della compagnia in cartellone.

Mi sono trovata spesso, dunque, a Roma, a lavorare in compagnie costrette a pagare un lauto (lautissimo!) affitto al teatro per poter mettere in scena lo spettacolo sul quale oltre al sudore di prove non retribuite gravava una spesa di produzione che non si sapeva se sarebbe mai stata recuperata o meno. È così che, a un certo punto, ci siamo detti "Manca proprio una struttura che si interessi della compagnia, che promuova veramente lo spettacolo e pensi alla formazione di un proprio pubblico". Ovviamente non mi riferisco ai grandi teatri, quelli che lo possono fare e lo fanno, ma a quelli piccoli, i cosiddetti OFF che hanno difficoltà ad accedere ai finanziamenti pubblici, ma che a volte hanno ancora più difficoltà a investire un po’ del loro piccolo gruzzolo.
Così ci siamo chiesti "Noi siamo in grado di farlo? e ci siamo detti “Sì" ed eravamo pronti a farlo.
Abbiamo “perso” un paio d’anni nella ricerca del locale giusto, e non solo quanto a dimensioni ma soprattutto quanto a costi. Complice la crisi e il relativo abbassamento dei prezzi, nel 2013 abbiamo trovato, quasi per caso, questo locale in questa via così difficile da pronunciare (Via Vestricio Spurinna, ndr) e con un passato tutt’altro che artistico. È stato prima falegnameria, poi negozio di slot machines e in ultimo ricambi auto, puoi ben immaginare che i lavori di ristrutturazione non sono stati così semplici e veloci. Se ti chiedi con che soldi lo abbiamo fatto, la risposta è semplice: i nostri.
Perché Kopó? Perché abbiamo scelto di utilizzare la scrittura fonetica del nome di Jacques Copeau. Ci ispiriamo a lui poiché, oltre ad essere un regista e un drammaturgo francese del quale, da buona laureata in Storia del Teatro, avevo avuto modo di apprezzare il pensiero, nel 1913 aprì Il piccolo teatro “Vieux-Colombier” che ancora oggi, dopo più di 100 anni, è sede della Comédie-Française. Abbiamo pensato “vuoi vedere che se ci va bene spegniamo 100 candeline anche noi?!”

Cosa ti ha portato a passare da "attrice" a "Direttrice Artistica" di un Teatro?

In realtà continuo ad essere entrambe le cose, sono diventata Direttrice Artistica senza mai abbandonare la mia vera natura di attrice.
Come già detto, mi ha portato a questo la voglia di dare vita a un luogo che fosse veramente pensato per gli attori, ma diciamoci la verità diventare Direttore Artistico (e/o attore) oggi è tutt’altro che un’impresa impossibile, basta dirlo.
Non immaginavo, invece, che passare da un ruolo all'altro fosse così complicato poiché a cambiare non sono io, ma le responsabilità. Da attrice lavori per conto di qualcuno che pensa a tutte le beghe organizzative e burocratiche che gravitano attorno a uno spettacolo, da Direttrice sei proprio tu quel qualcuno che si carica di beghe che proprio preferiresti evitare (si perché in piccole realtà come quella del Kopó, è il D.A. ad occuparsi di una serie di impegni che nelle grandi realtà sono deputate a segretarie, impiegati, ragionieri ecc ). Tra le tante mansioni del Direttore Artistico, quella realmente difficile e più importante è scegliere gli spettacoli. Spettacoli che siano sempre di qualità medio - alta, che vadano incontro al gusto del pubblico (che non è per nulla facile, né scontato come si crede) ma che trattino anche di temi civili, impegnati e che dicano realmente qualcosa.

 

Al di là della buona programmazione e dei fuori cartellone, c'è un altro aspetto, quello dei corsi per bambini ed adulti.

I corsi del Teatro Kopó sono il naturale proseguimento di un’attività che portavamo avanti già dal 2010 con la nostra associazione. Nel fare i corsi adottiamo una nostra etica, vogliamo che la parola d'ordine sia “gioco e divertimento” perché fondamentalmente il Teatro per noi è questo.
Ovviamente la possibilità di farne diversi, da quelli per bambini a quelli per adulti, all’interno della nostra struttura ci permette di sopravvivere e ci aiuta a far conoscere il teatro sia grazie alla pubblicità, e ne facciamo davvero tanta, sia grazie al passaparola.

 

Ora una domanda un po' spigolosa...Cosa pensi dei Teatri per così dire Affittacamere? Ossia quelli che guardano solo e unicamente al guadagno (speculando sul medium Teatro), dove ti puoi trovare Shakespeare e al contempo il corso di yoga e la riunione di sezione di partito?

Non penso, cosa dovrei pensare?! Il Kopó è nato proprio per questo, per offrire un’alternativa alla grandissima offerta di sale a pagamento. A loro “favore” posso forse solo dire che non esistono grandi agevolazioni per i piccoli teatri e quando soldi e strategie vengono meno la scelta forse meno coraggiosa ma sicuramente più fruttuosa non può che essere l’affitto.
La verità è che gli "affittacamere" continueranno ad esistere finché ci saranno compagnie disposte a pagare anche se, a mio modestissimo parere, non esiste investimento peggiore per una compagnia che affittare un teatro, a meno che non si disponga di uno stuolo di seguaci e di fans che quattro, cinque volte l’anno ti seguano in questo o quel teatro e paghino per vederti. Se questo stuolo di gente non ce l’hai, ti conviene cercare soluzioni migliori ed evitare di foraggiare un mercato sbagliato. Per il resto sono dell'idea che ognuno sia libero di fare quello che gli pare, ma non condivido assolutamente la politica di alcuni teatri (sopratutto piccoli) che costringono le compagnie in cartellone a pagare l'affitto; per i fuori cartellone o per eventi sporadici non discuto, anzi, forse è anche giusto non assumersi del tutto la responsabilità di uno spettacolo che non hai scelto o non hai potuto visionare prima. Se però la compagnia è stata selezionata, l’hai scelta perché ti faccia fare una bella figura con il tuo pubblico (sempre che tu ne abbia uno) stai commettendo un grandissimo errore. Il rischio fa parte del gioco soprattutto quando scegli di lavorare con un rapporto a percentuale, per esempio noi abbiamo sì tanto pubblico, ma gli incassi di botteghino vengono suddivisi in maniera che alla compagnia spetti la percentuale più alta, mentre noi da quella più bassa dobbiamo detrarre spese di pubblicità, ufficio stampa e aperitivo). Le compagnie che scegli e inserisci in cartellone, però, sono le tue punte di diamante quelle che, in un modo o nell’altro, ti permetteranno di creare e ri-formare il pubblico. Per noi la formazione del pubblico e la sua rieducazione al teatro, fatto bene, è fondamentale perché purtroppo per anni noi attori, registi e drammaturghi abbiamo voluto somministrare al pubblico una nostra idea di teatro, un’idea sperimentale, un’idea di ricerca, un’idea critica, un’idea. Ma il pubblico, nella stragrande maggioranza dei casi, si è sentito estromesso dal processo teatrale, ha sentito di non farne parte, ma soprattutto di non comprenderlo e questo, oggi , lo porta a dirci “No perdonami, ma il teatro proprio no”. Di contro è necessario che la gente sappia che il teatro non è soltanto la riproposizione di un clichè televisivo come in molti casi capita di vedere. Questa è forse la differenza tra un teatro che lavora come dovrebbe e un affittacamere, con la sola differenza che il secondo paga molto più facilmente spese di locazione e utenze.

 

A Roma hai trovato ciò che pensavi di trovare?

Provengo da una famiglia di teatranti nella quale però nessuno voleva che seguissi questa strada, forse perché “l’ostacolo interno” era proprio nel DNA della mia famiglia. Mio nonno Giuseppe Ribezzo, diplomato al Conservatorio, cantava l’operetta ma lo faceva di nascosto perché la sua famiglia, di quelle “aristocratiche” tipiche dei paesini della provincia pugliese, non guardava al teatro e alla musica come strade “oneste” da perseguire e lo costringevano ad usare uno pseudonimo in locandina, tale Beppe Bezzorri.
Quando a diciott’anni Jenny, mia madre, nonché sua figlia, gli disse di voler frequentare l’Accademia D’Arte Drammatica lui le rispose che se l’Accademia si fosse trovata a Lecce tanto meglio, in caso contrario avrebbe dovuto laurearsi in qualcosa di diverso. A Lecce ovviamente l'Accademia non esisteva e lei fu costretta a studiare biologia, pur continuando a fare teatro di nascosto e, come vedi, la storia si ripeteva. Una volta sposata, mia madre ha finalmente potuto dare sfogo a tutto il suo amore per il teatro e ha fondato la Compagnia Stabile all’interno della quale sono cresciuta e mi sono formata. Indovina un po’!? Quando ho detto alla mia famiglia che avrei fatto l’attrice è successo di tutto, ma ho spezzato la catena e nel 2005 sono arrivata a Roma dopo aver vinto, a Milano, la Borsa di Studio del Premio Hystrio alla Vocazione. Poi mi hanno seguita mia sorella Simona Epifani, diplomata all’Accademia Internazionale di Teatro e mia cugina Federica Ribezzo, cantante e attrice. Ho sempre saputo che avrei fatto l’attrice e anche che avrei aperto un teatro (ci sono dei miei temi della quinta elementare che lo testimoniano) quindi la risposta è sì, ho trovato quello che cercavo e ho realizzato i sogni di tutta una famiglia.

 

Pensi che in Puglia sia possibile rendere concreto un lavoro come quello che avete fatto qui col Kopó?
La Puglia è molto lunga, è la regione più lunga d’Italia e adesso è in fermento, direi anche tanto fermento artistico e culturale. Io però sono di Brindisi e posso parlare solo per la mia città, o meglio per il contesto che conosco. Non credo che al momento ci siano i presupposti per un lavoro simile a quello del Kopó, ci sono diverse attività e diverse proposte, ma per arrivare a risultati di qualità che facciano i numeri, che colpiscano la gente, bisogna essere dotati oltre che di grande talento anche di grande umiltà e al momento non credo vi siano personaggi dotati di questa caratteristica.

Fai un invito ai nostri lettori che hanno aspirazioni istrioniche a non seguire questa strada o a seguirla solo se amano davvero il Teatro.

Se il tuo sogno è diventare un attore, seguilo e fai tutto ciò che è nelle tue possibilità per riuscirci, ma non farlo solo se pensi di essere bravo e che tutto accadrà come naturale conseguenza del tuo talento. Il talento non basta. Devi essere disposto a vivere a Tuscolana e fare le prove a Prati, a vivere l’ansia dell’incognita di una paga che forse arriverà in tempo per pagare l’affitto o forse no, di accettare di lavorare spesso, non sempre, con persone con le quali non condividerai gli interessi né l'idea artistica...devi essere disposto al sacrificio. Se pensi di poter affrontare questo e tanto altro, allora il talento ti aiuterà, ma se pensi che questa sia la strada più veloce per raggiungere il successo, la fama o per crogiolarti nel dolce far nulla, allora è meglio che lasci stare perché questo, anche se “lo fai per passione”, anche se non sembra, è un lavoro a tutti gli effetti.

 

Fabio Montemurro
29 marzo 2016

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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