Recensione della mostra Luigi Boille. Luoghi di luce, scrittura del silenzio. Opere 1958 – 2015 presso i Musei di Villa Torlonia dal 21 giugno al 3 novembre 2019
Il segno, la pennellata, la traccia pittorica: sono questi i protagonisti del percorso dell’artista contemporaneo Luigi Boille (Pordenone 1926 - Roma 2015). Un processo creativo lungo 57 anni, racchiuso in 80 opere esposte al Casino dei Principi di Villa Torlonia a cura di Bruno Aller e Claudia Terenzi. Ma chi è Boille? Un pittore spesso solitario, che ha lavorato lontano dai riflettori. Solo negli ultimi anni gli si è resa giustizia, riconoscendo il contributo da lui apportato alla corrente Informale in Italia nel Secondo Dopoguerra.
Le opere sono esposte su due piani e seguono un iter cronologico. Ad accoglierci una del 1960 Senza Titolo, appartenente alla prima produzione di Boille, l’altra Scrittura enigma del 2006. Siamo di fronte al punto di inizio e al punto di arrivo di una tecnica pittorica in evoluzione. La stanza è sintesi e simbolo della sua sperimentazione: dalle macchie di colore piatto che si mescolano e s’ingarbugliano - del 1960 - si giunge al ricorso a un unico colore con variazioni tonali su cui aleggiano “segni sospesi” del 2006 e fino al 2015, anno della morte.
Nella sala seguente, le creazioni di notevoli dimensioni degli anni Cinquanta/Sessanta, con caratteristiche simili: campiture di tono piatto su una base di colore prevalente. La pennellata, in questa fase del processo creativo, appare ampia, larga. L’ambiente successivo, una sala da pranzo ottocentesca, conserva ancora gli affreschi di stampo classico che ci riportano alle antiche Grecia e Roma. In evidenza le meravigliose tempere, in dimensioni ridotte, che ripropongono tutta l’esperienza artistica del pittore. L’approdo finale di esse giunge a leggeri livelli di colore, che creano fondi modulati in variazioni quasi impercettibili di tonalità. E poi ancora la pittura degli anni Sessanta, che si muove tra l’Informale e l’Astratto, come ci suggeriscono i titoli Tramonto al Moncenisio (1966) e Alba a Badrum (1966). Campiture di colore piatte, sottili, allungate, intrecciate, ben separate tra loro da contorni netti che formano quasi un puzzle, ricompongono un’idea astratta di alba e tramonto.
Al piano superiore, ben disposta e adeguatamente illuminata dalla luce dei faretti, la produzione degli anni Settanta: il segno e la pennellata diventano sottili, costruendo arabeschi e labirinti di colore su una base piatta in Solare aurora (1972), Arabesco rosso cosmico (1975), Arabesco arancione (1972). Il colore diventa vivido, brillante, emana “una luce generata dalle variazioni tonali interne al quadro”, che non sarebbe un chiarore esterno secondo Giulio Carlo Argan. Questa nuova tappa della sperimentazione artistica di Boille dura fino agli anni Novanta, ma si arricchisce di creazioni materiche in rilievo, in cui su una base unica di colore chiaro o scuro, spiccano piccoli tocchi che interrompono la monocromia. Di questa fase emana un forte potere suggestivo Tracce di luce: sulla tonalità unica di grigio sfumato, sottili fenditure di colori brillanti creano l’effetto di raggi. Simboli di bellezza, di speranza, di salvezza sul grigio prevalente. Le ultime sale sono dedicata alla conclusione dell’esperienza umana e creativa dell’artista: un nuovo mutamento nel segno. Splendide basi di blu cobalto, arancione, verde, rosso, creano strati di colore unico ma non piatto, modulato da graduali e impercettibili sfumature della medesima tinta. Al centro del quadro la rottura della monocromia: segni sospesi, vere e proprie aperture verso una dimensione altra dentro alla tela.
Giunge a compimento il processo di creazione di quest’uomo, dove l’Informale si dischiude verso nuovi orizzonti artistici e spirituali. Il corridoio che conclude la mostra ribadisce questo punto di arrivo, con tele di dimensioni minime che coprono completamente la parete.
Rimane dentro l’idea, la sensazione, di un evento ben riuscito: allestimento curato nel dettaglio, disposizione coerente e chiara delle opere, illuminazione atta ad esaltarne il valore. Le didascalie non spiegano il periodo e le opere, ma riprendono spunti critici offerti da critici d’arte come Tapiè, Lunetta, Argan, Vivaldi o Zuccari. Da sottolineare la felice scelta della location del Casino dei Principi all’interno dei Musei di Villa Torlonia, che isola temporaneamente dal caos e dalle distrazioni della città. Per gli appassionati di arte contemporanea e non solo, un viaggio nella bellezza e nell’anima di un artista in cui il segno appare un’apertura verso l’infinito.
Mena Zarrelli
23 luglio 2019