Recensione della mostra Al norte de la tormenta presso il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo dal 22 maggio all’8 settembre 2019
La rottura con la tradizione, il superamento dei linguaggi artistici precedenti, l’accostamento di tecniche e produzioni molto differenti tra loro: Al norte de la tormenta vuole essere sintesi ed espressione di questi aspetti dell’arte dal Novecento fino ad oggi. L’allestimento predispone un percorso che si divide tra i singoli artisti a cui sono dedicati ampi spazi illuminati. S’incontrano infatti le opere proveniente dall’IVAM Di Valencia, in cui vengono espletati i nuovi messaggi, la nuova grammatica dell’arte contemporanea declinata in varie forme.
In primis attira la nostra attenzione Munoz: la sua scultura circolare in metallo è solcata da elementi apparentemente scollegati tra loro, ma che rappresentano lo sfaccettato e complesso mondo interiore dell’artista: una tormenta, che dà il titolo all’intera mostra. Dello stesso autore la scultura che raffigura un uomo in una posa dinamica, proteso verso l’osservatore.
Altra scultura suggestiva e sorprendentemente poetica risulta Blood Orange Summer Glut di Robert Rauschenberg (1987): il ricorso a materiali metallici di scarto e giocattoli conferisce all’opera un evocativo color arancio-ruggine. Gli viene così data una nuova vita. Rimanendo nell’ambito della scultura creata con oggetti riciclati, presente anche Models for tunnel di Bruce Nauman (1981) in gesso, ferro e legno. Si tratta di un tunnel vuoto incompiuto, dal bianco asettico; gli spazi non risultano ben definiti, determinando un senso di atemporalità e di spazialità indistinta. Incontriamo il brivido dell’ignoto, dell’incertezza rappresentato dalla scala in ferro e vernice troncata di netto di Àngeles Marco nella sua Escalera mecànica (1987).
Altrettanto interessante e suggestiva l’esperienza di fronte alla scultura dell’americano Richard Tuttle, There’s no reason a good man is hard to find I ( 1988) in cui un misto di materiali variegati crea una sorta di spirale che si erge verso l’alto: finta pelle nera decorata con acrilico bianco, legno, carta velina, fili e bulloni occupano un notevole spazio. Poco distante, la scultura in piombo, ferro e vetro di Susana Solano, Sweets (1991), in cui all’interno di una grande scatola di vetro, ci sono delle caramelle in metallo; immagine dolce, suggestiva ed evocativa dell’infanzia. Quasi in conclusione l’opera di Josè Antonio Orts in rame, ferro, vetro e cavi elettrici, Ostinato Blanco/Azul (1996). Circuiti elettrici disposti sul pavimento, occupano quasi interamente l’ultima sala e si animano al passaggio dei visitatori. Sono emessi suoni, si accendono luci e sono accompagnai dai rumori dei circuiti elettrici in funzione.
Il percorso sugli scultori dell’IVAM continua con Cristina Iglesias, Edoardo Chillida, Tony Gragg, Pedro Cabrita Reis, con opere imponenti di non minore rilevanza. 100 years di Hans Peter Feldmann ci immerge in nell’arco temporale a cui l’opera deve il nome, rappresentato da 101 ritratti in bianco e nero di esseri umani tra 0 e 100 anni. Protagonista è il tempo e il suo scorrere tangibile nelle immagini disinvolte, non in posa, di amici, parenti, conoscenti dell’artista tedesco. Sempre nel campo della fotografia, la serie di Manolo Laguillo, La Safor dal progetto Gandía i La Safor: els paisatges de Joanot Martorell, (1990). In essa vengono catturati momenti e posti della città di Gandia in provincia di Valencia, con un realismo che non fa sconti. E ancora Miguel Trillo, che ci propone fotografie di ambienti musicali ed Eulalia Valldosera che ha per protagonisti mozziconi di sigarette persi in un azzurro grigio che dilata il tempo e lo spazio.
Collection of 60 drawings nº 7 di Allan Mccollum (1988-1990), è un’operazione che ricorda la serialità di Warhol, ma con caratteristiche originali. I disegni a inchiostro su carta si distinguono tra loro per variazioni minime, creando inizialmente nello spettatore un effetto di ripetizione che i singoli dettagli scardinano. Imponente la tela Gran diptic roig i negre di Antoni Tàpies (1980): il nero, il beige e il rosso comunicano emozioni intense all’osservatore. Frammenti di geometrie appaiono giustapposti e ricuciti dalla sutura rossa al centro.
La mostra Al norte de la tormenta è ben organizzata e riuscita grazie alla disposizione lineare e coerente delle opere degli artisti. E l’ausilio di didascalie chiare che permettono anche ai non addetti ai lavori di penetrare fino in fondo il significato dell’arte contemporanea.
Mena Zarrelli
31 luglio 2019