Martedì, 26 Novembre 2024
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La stoffa del potere. Ubu me

#recensione dello spettacolo Ubu me, in scena al teatro Studio Uno dal 24 novembre al 4 dicembre 2016

 

Nel nome della patafisica, scienza delle soluzioni immaginarie, al Teatro Studio Uno, va in scena una funzione patareligiosa (delle religioni improbabili), per ricordare le gesta orribili e grottesche di Padre Ubu. La regia di DivisoPerZero allestisce un mondo astratto e bizzarro, alla maniera eccentrica di Alfred Jarry, padre di Ubu, creatura ripresa poi in numerosi ambiti. Un mondo altro che si fa portavoce di contenuti amari e resi ridicoli, conoscibili e paragonabili.

Un commiato e la narrazione di una storia che prende vita in un mondo di stracci e marionette. In quel ritaglio accogliente di Torpignattara che è lo Studio Uno, va in scena la storia di Ubu, il re Ubu, Padre Ubu. Una storia che la regia di DivisoPerZero, a teatro e in un centro d’accoglienza, racconta attraverso il linguaggio autentico di marionette non circoscritte nel piccolo teatrino di legno a cui si è abituati. I burattini, le sagome, i pupazzi di stoffa imbottita d’ovatta e le figure di cartapesta creano e ricoprono un’intera scena, rendendo la manifattura e l’artigianalità gli elementi principali  determinanti l’originalità dello spettacolo e l’aderenza al personaggio inventato da quel visionario che fu Alfred Jarry.

La vicenda, tratta proprio dal suo libro, viene descritta in una formula ideale sia per avvicinare i più piccoli alla comprensione delle dinamiche insidiose del potere e del suo abuso, sia funge un po’ da memoria per gli adulti, che fra i sorrisi suscitati dalla messa inscena, afferrano una verità amara e conosciuta. Il grottesco è, infatti, l’espediente utile e utilizzato per comunicare, ironia e riflessione sono qui condensati in un teatro di stoffa, che permette l’avvento di quel meccanismo di cui monsieur Alfred diceva: “Quello che fa ridere i bambini fa paura ai grandi.” E i due attori, Francesco Picciotti e Francesca Villa, riescono a ricreare tale meccanismo. A volte si cammina su un terreno sdrucciolevole per il testo e la drammaturgia, ma il sapiente impegno, la sintonia fra i due, l’arte della simbiosi fra attore e elemento di carta e pezza ristabiliscono l’innesco, e la storia di Ubu va avanti. Ubu è l’incarnazione del ridicolo e della paura, il despota, il sovrano, il tiranno che si mostra nella sua tragicomicità.

Essere ripugnante, deforme, che per accrescere il suo potere ricorre a raggiri e violenze, un essere sgraziato che allarga il suo stomaco in base alla sua avidità, che da piccola marionetta di legno diventa fantoccio di cartapesta, goffo, sproporzionato, appesantito dalla sua smania e dalla sua fame. Si estende Padre Ubu e con lui la scenografia, luci e ombre simulano scenari e scenario diviene lo stesso ventre di Ubu, il suo centro, la grande spirale che ipnotizza (il potere è un circolo che risucchia e stordisce. Quella spirale stordisce il re sempre più addentrato nel vortice degli eventi di ascesa e decadenza e stordisce noi per quel senso di smarrimento e assurdità che scaturisce dalla storia e la sua trasposizione fantastica).

Un essere che dovrebbe incutere timore Ubu, ma non può non suscitare anche risa e, forse, un po’ pena. Padre Ubu, creatura pata e metafisica,  “è personaggio 'scandaloso' perché appunto incapace di rispettare quello che il senso comune si aspetta”, per questo ha un suo lato ambivalente che ripudia e incuriosisce, il suo essere eccessivo, smisurato, privo di pentimento o rimorso è la faccia dello scellerato usurpatore senza umanità alcuna, e contemporaneamente è l’emblema di atteggiamenti sovversivi che non possono non affascinare (se solo fossero proiettati verso giusti fini…) Ma in fondo Ubu è l’incarnazione della parte più malsana di ognuno, “è il compendio caricaturale di tutto ciò che di ignobile, sciatto, vile e disgustoso nasconde l’uomo che vive in società” e l’uomo che sale al potere ne è la rappresentazione estrema. Come nella celebrazione di una funzione,  dunque,  i due attori ci portano a celebrare Padre Ubu, una figura che in fondo non possiamo sentire un po’ nostra e dalla quale appunto possiamo distaccarcene, lo spettacolo questo ci segnala, permettendo al pubblico uno sguardo riavvicinato, grazie anche all’elemento marionettistico che ha potenza di attrazione, e pur essendo un qualcosa di materialmente esterno e  distaccato funge perfettamente da mediatore comunicativo grazie al burattinaio capace che sa trasferire e riportare.                                                                                                                                                   

Un leggero momento teatrale, che stimola curiosità e riflessione, e riflettendo appunto vien da pensare: Guardiamoli da vicino, poi, questi nostri potenti. Ci accorgeremo di come in realtà siano grotteschi e fantocci anche loro, di come fanno tutti un po’ ridere nel loro essere  caricatura di se stessi, nel loro impegno da farsa e nella loro vuota messa inscena. Fanno ridere i potenti, oltre a fare pena anche loro, come Ubu (per il quale si può, però, provare un minimo senso di tenerezza).

 

Erika Cofone

11 dicembre 2016

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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