Sabato, 07 Settembre 2024
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‘Pagliacci’ a Salonicco , uno spettacolo vibrante con un intenso Canio di Michael Fischi Spadaccini

Recensione di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo in scena alla fortezza di Salonicco il 14 luglio 2024

 

Nel cortile della Fortezza di Salonicco, un luogo di grande suggestione che domina l’intera città, è stato allestito uno spettacolo lirico importante: ‘Pagliacci’ di Ruggero Leoncavallo.

Si è trattato di un grosso sforzo, con lunghi periodi di prove, peraltro in condizioni  climatiche non fra le più adatte al canto, ma il risultato è stato decisamente molto interessante, sia dal punto di vista musicale che scenico.

La regia di Athanasios Kolalas era in perfetta sintonia con il luogo. Un gruppo di attori girovaghi arriva  con un furgone- teatrino mobile in una piazza di un paesino. Forse potrebbe anche essere Salonicco alla fine degli anni  Cinquanta . Lì si consuma la vicenda di un amore clandestino, che sfocerà in tragedia.

Il tutto in un atmosfera , bene illuminata da Sarandos Zourdos, più neorealistica che verista, osservazione che viene da fare anche ad alcuni passaggi musicali, particolarmente inclini alla passionalità, alla tragedia  vissuta in forma collettiva. Quasi che l’assassinio di Nedda sia stato una sorta di rito sacrificale condiviso.

D’altro canto siamo nella patria della tragedia e nessun luogo al mondo sdoganerebbe più di questo una simile scelta, peraltro non fuori luogo.

L’attenzione al particolare è preziosa. 

Alla volta diventa citazione coltissima, verrebbe da dire per pochi.

Per esempio, alla fine dell’opera Canio  si dirige verso la locandina dello spettacolo di piazza: un grande ritratto  con la scritta ‘Leoncavallo Pagliacci’. A specchiarsi nella tragedia già scritta. Accanto a questa immagine, il manifesto di un film : ‘La più bella del mondo’, che era la biografia della cantante d’opera Lina Cavalieri,  interpretata da Gina Lollobrigida, con la partecipazione del tenore Mario Del Monaco, Canio di eccellenza. Insomma un gioco di rimandi e parallelismi, che consentiva di fruire dello spettacolo su piani diversissimi. 

Molto piacevoli i costumi di Peni Dani, che ci mostrano come sulle panche si  incontri un pubblico eterogeneo: contadini vestiti a festa, antipatiche signore che ostentano i segni della ricchezza borghese, bambine con abitini a quadretti,   ragazze di buona famiglia educate e per bene. Uno spaccato sociale attento, che racconta com’era la vita sessanta anni fa.

Notevole la scelta di mantenere la canottiera a Canio, sotto il bel costume bianco  di Pagliaccio: in questo modo il sangue di Nedda e di Silvio appaiono  sul loro assassino, rendono indelebile il delitto.  Il personaggio della comedia rimane intonso, inattaccato dalla vita, mentre l’uomo soffre, si ingelosisce, perde la lucidità, diventa assassino e questo lo marchia  dentro e per la società.

Piacevoli i movimenti coreografici dello spettacolo del secondo atto,  frutto del lavoro di Tatiana Papadopoulou .

Giorgos Vranos dirige con bravura l’orchestra Sinfonica di Stato di Salonicco,  proponendo una lettura interessante della partitura, che alterna con coerenza momenti di struggente poesia  ad atmosfere forti, ad una tavolozza eterogenea,  in un racconto coinvolgente e passionale, che coinvolge  anche gli artisti del Coro Misto di Salonicco, diretto da  Mary Konstantinidou, affiancati dal Coro di bambini I.N. Santi Cirillo e Metodio, diretto da Maria Emma Meligopoulou  ed Elpida Tsami.

A tutti loro è chiesta una importante  prova attoriale, che assolvono con bravura. Emergono alle volte delle disomogeneità sonore, in particolare all’inizio dello spettacolo, ma pensiamo rientrino nella visione complessiva della lettura che si è data della partitura di Mascagni.

Il suono dell’orchestra alle volte appare un po’ aspro, ma questo non è un difetto ma piuttosto una scelta stilistica, mentre in altri momenti sa accarezzare il canto, in particolare del protagonista, regalando attimi di grande suggestione.

Lo spettacolo poggia molto sulla resa scenica dei cantanti. Che sono stati  tutti ottimi attori.  Impegnati, coinvolti, convincenti. Pregio non comune e che certamente ha fatto la differenza.

Armando Puclavec, baritono dalla carriera ultraventennale, che ha lasciato qualche segno nello strumento ,  è un Tonio abbastanza solido vocalmente, con alcune parti troppo di forza, ma  molto capace scenicamente. Il prologo, pur non avendo l’autorevolezza che sarebbe auspicabile, viene risolto con professionalità ed il pubblico  dimostra di apprezzare l’interprete già dalla prima sortita. Notevole  mettere in evidenza che quando, nel corso dell’opera, emergono alcune criticità,  sono tenute sempre sotto controllo con abilità e senza pregiudicare il buon risultato complessivo.

Silvio ha avuto la voce piacevole di George Iatrou, capace di ritagliare convincenti momenti di passione, come la frase ‘Quel bacio tuo perché me l’hai dato fra spasmi ardenti di voluttà?’, molto ben espressa.

Alexandros Stavropoulos, Beppe, regala una pagina suggestiva quando canta, come  Arlecchino, arrampicato su una scala, citazione dotta dei dipinti di Walter Pozzi, ma anche di alcune immagini di Mirò. Certo la voce richiede un cospicuo consolidamento tecnico, che permetta al tenore di mettere in evidenza le sue potenzialità e superi alcune asperità .

Maria Kostraki Criniti è molto brava scenicamente. Una vera primadonna sia come Nedda che nel ruolo di Colombina. La voce è bella, non amplissima, ma ricca di colori. Gli acuti alle volte potrebbero essere proiettati con maggior sicurezza, ma certamente la prova attoriale fornita è di grande spessore, ampliata anche dalla capacità di trasformarsi anche fisicamente passando dalla vita quotidiana alla commedia. In ‘Qual fiamma aveva nel guardo!’ prevale una  visione sognante armonica su quella narrativa più drammatica, così come nel duetto d’amore con Silvio appare dominante la dimensione intima, anche nell’impiego dei volumi sonori.

Infine il protagonista: Michael Fischi Spadaccini. Siamo davanti ad  un tenore  dalla carriera già lunga. Allievo, fra gli altri, di Bergonzi, ha iniziato giovanissimo, calcando le scene di alcuni fra i teatri più importanti al mondo, come il Colon di Buenos Aires. Poi la sua carriera lo ha portato a spostarsi verso l’area balcanica, ma sono sempre più frequenti i ritorni in Italia, come testimonia anche l’interessante registrazione di ‘Cecilia’ a Cagliari , uscita lo scorso anno. Il tempo ha portato la sua voce ad una lenta  e continua maturazione ed in questo momento possiede uno strumento di grande bellezza,  omogeneo nel suono, ricco di una tavolozza  di colori molto suggestivi e con acuti solidi. Scenicamente è attore di grande impatto: mai scontato, mai gratuito nei gesti o nelle pose, riesce a vestire il personaggio ed a regalargli autenticità, a dargli vita. Certamente un cantante di grande sensibilità, il che è un bene ed un male: risente moltissimo della tensione, del clima umano che ha intorno, che lo condiziona. Se sente tensione, aggressività, rivalità, tende a chiudersi  ed a rifarsi, forse inconsciamente, ai grandi modelli del passato, che gli danno sicurezza, ma che certamente rendono la prova piacevole da ascoltare, ma  meno coinvolgente. Ma quando, come in questo caso, l’atmosfera che lo circonda è positiva,    quando sente valorizzato il proprio lavoro, diviene il centro dello spettacolo: canta, salta, balla, non si risparmia e lo fa senza pregiudicare la prova vocale. Ma anzi facendosi punto di forza della serata.

Ci sono momenti di grande presa emotiva e di forte resa musicale.

Si  pensi, per esempio ad ‘un grande spettacolo a  ventitre ore’, che interpreta con movenze da imbonitore, balzi atletici, come farebbe  un saltimbanco autentico per attirare il pubblico, ma trovando, oltre che degli acuti inattaccati dalla fatica, anche sfumature suadenti  nella voce, un colore accattivante che prometta uno spettacolo indimenticabile, rinunciando ai toni declamatori  di altri .

Nel seguente cantabile, ogni parola viene scolpita nel significante, pesando silenzi e pause , cercando suoni rotondi, che descrivano i sentimenti dell’uomo Canio, in contrasto con le sensazioni del capocomico. Un bel gioco metateatrale, che fa risaltare sia gli intenti registici che la capacità di introspezione dell’interprete.

Spadaccini ha una dizione attenta, con la quale sa giocare con bravura: nella scena di gelosia a Nedda, alla conclusione del primo atto, alcuni suoni si aprono, a dimostrare l’iniziale perdita di controllo di Canio e poi, man mano che l’uomo supera l’ira, tutto si ricompone, fino ad un inappuntabile dizione in ‘Recitar mentre preso dal delirio’, proclama di lucida e consapevole follia.

 ‘Sei tu forse un uom ’ appare come una lacerazione al cuore, che bene apre la strada ad un ‘Vesti la giubba’,  peraltro magnificamente accompagnata dall’orchestra diretta con eleganza e sapiente uso dei tempi, che Spadaccini riesce a plasmare con grande  forza, personalità marcata, interpretazione  sofferta, mai esageratamente teatrale, scevra da ogni riferimento ai modelli del passato. Alla  ricchezza vocale unisce un senso della fatica nel vivere,  quasi  si sentisse una  specie di nuovo Sisifo, che nel momento in cui ucciderà gli  altri, troverà la propria fine, che vive con piena coscienza già da questa aria, grazie anche ad una interessante chiave di lettura registica.

Nello spettacolo con Colombina, il suo ingresso in scena ribalta l’ottica metateatrale in pochi passaggi. Il suo è un Pagliaccio violento prima di tutto con se stesso: si è imposto il trucco, ha cercato di indossare una maschera, in cui non crede più. Il contrasto narrativo è fortissimo. La voce di Colombina si fa esigua davanti ad una belva, che pare cantare a se stesso ‘Pagliaccio non son’. I suoni si fanno laceranti, drammatici. Spadaccini non cerca il bello, ma il vero, racconta con forza la consapevolezza del dolore. Pare entrare ed uscire dal personaggio, giocando con i colori ed i toni. Alla fine il canto, forte come un onda oceanica, invade la fortezza, con un ‘il nome’ violento, pulito, indenne dalla confusione circostante. Un delitto che per Canio è rito sacrificale, sublimato da un intenso ‘La commedia è finita’. con il quale l’uomo, come abbiamo detto prima marchiato dal sangue del delitto, sembra riprendere consapevolezza della propria vita.

Grande prova  di un artista che meriterebbe maggiori occasioni di esibirsi in Italia, magari con spettacoli realmente adatti non solo alla sua voce ma soprattutto alla sua personalità.

Alla fine applausi per tutti con ovazioni al tenore.

 

 

Gianluca Macovez

17 luglio 2024

 

informazioni

“PAGLIACCI”
Opera  in due atti  su musica e libretto di Ruggero Leoncavallo

 

Canio/Pagliaccio: Mickael Spadaccini 

Nedda/ Colombina: Maria Kostraki Criniti 

Tonio/ Taddeo: Armando Puklavec
Peppe/Arlecchino: Alexandros Stavropoulos 

Silvio: Giorgios Iatrou 

 

Regia : Athanasios Kolalas

Maestro Concertatore e Direttore:Georges Vranos

Thessaloniki Simphony orchestra

Costumi: Peni Dani 

Coreografia : Tatiana Papadopoulou 

Luci: Sarandos Zourdos

Coro Misto di Salonicco

Diretto da  Mary Konstantinidou

Coro di bambini I.N. Santi Cirillo e Metodio

Diretto da  Maria Emma Meligopoulou - Elpida Tsami

Centro di Organizzazione della Produzione e Cultura della Regione della Macedonia Centrale

In coproduzione con l'Orchestra Sinfonica di Stato di Salonicco e il Teatro Nazionale della Grecia settentrionale

In scena dal 10 al 14 luglio 2024 presso la Fortezza di Eptapyrgio Yedikule a Salonicco

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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