Recensione di ‘Nabucco’ Giuseppe Verdi, in scena a Trieste dal 22 al 30 marzo 2024
Il Verdi di Trieste, in questa Stagione Lirica e di Balletto decisamente non scontata, propone un titolo di grande presa: Nabucco.
Un successo annunciato, come testimonia il fatto che da settimane il teatro è sostanzialmente esaurito.
Il cast è di grande impatto: la regia di Giancarlo Del Monaco, le scene ed i costumi di William Orlandi, la direzione di Daniel Oren, le voci di Burdenko, della Siri, di Ventre.
Diciamo subito che l’esito, a giudicare dagli applausi, è stato trionfale.
In realtà , a nostro parere, sullo spettacolo vanno fatte molte considerazioni e non tutte positive.
La premessa è che l’impressione ricevuta è che queste grandi personalità più che lavorare insieme all’allestimento, vi abbiano partecipato contemporaneamente.
Sono mancati, ci pare, il coinvolgimento, la narrazione ed anche la platea ha dato la sensazione che l’ammirazione per la prova fornita abbia avuto il sopravvento sul reale coinvolgimento emozionale.
A riprova che non bastano i migliori ingredienti per un buon piatto: ci vuole anche la giusta ricetta e deve essere ben realizzata.
Ma andiamo con ordine.
Del Monaco propone una ambientazione durante i fermenti rivoluzionari del 1848.
Francamente niente di nuovo, una idea vista e rivista , che, per esempio, Bernard propone all’Arena di Verona dal 2017, in un allestimento che tutti i melomani conoscono anche perché trasmesso dalla Rai.
Oltretutto celebrare i moti di quegli anni in una città saldamente austriaca che non li ha vissuti, a fronte di una attualità che offre tanti spunti di riflessione più interessanti e di maggior spessore, appare quasi incomprensibile.
Prima di sparare a zero sul regista, come gran parte del pubblico in sala ha fatto, va sottolineato, però, che si tratta della ripresa di uno spettacolo andato in scena nell’ottobre 2022 a Zagabria.
La direzione artistica del teatro Verdi sicuramente l’aveva vista, valuta e scelta.
Ha reputato l’allestimento adatto al teatro triestino ed al suo pubblico, assumendosi la responsabilità della proposta, che la presenza del regista alle prove poteva solo migliorare.
La sensazione, sottolineata delle differenze evidenti nelle due repliche cui abbiamo assistito e da alcune scelte opinabili, è che si sia creata una distanza, quasi una cesura, fra le varie componenti dello spettacolo, che sicuramente ha impedito ad una buona serata di diventare un autentico evento.
Del Monaco, supportato dalle scene di William Orlandi che è sempre una sicurezza per competenza e professionalità, ha scelto una visione claustrofobica della vicenda. Sempre in interni, senza un pezzetto di cielo, quasi ad evocare la ‘Ronda dei prigionieri’ di Van Gogh. Una serie di architetture, sostanzialmente sempre quelle, al massimo girate, articolano la vicenda, peraltro costellata di intervalli e pause, spesso incomprensibili ed alle volte perfino dannose al fluire della narrazione.
Alcuni passaggi, francamente, lasciano perplessi.
Nabucco fa in suo ingresso a bordo di un cannone, dal quale ha lanciato i proiettili che abbattono quello che supponiamo essere il tempio, stando dentro l’edificio, contro ogni regola della statica e della strategia militare .
All’inizio Zaccaria scrive con la vernice viva Verdi e veder abbattere la scritta appare più uno sfregio al Maestro che una citazione storica interessante.
Anche perché la frase in oggetto era diventata acrostico politico in conseguenza del Nabucco, non come premessa, tanto che il famoso lancio di volantini che inneggiavano a Vittorio Emanuele Re D’Italia avvenne a Roma, nel 1859, in occasione di ‘Un Ballo in Maschera’ al Teatro Apollo.
Ma ci sono anche momenti di grandissimo teatro, come quando Nabucco, imprigionato, si muove come fosse uno dei leoni dei bassorilievi di Ninive, oppure quando, sempre alla catena, ascolta mesto il coro del ‘Va Pensiero’, che assume il valore del momento della conversione, che prenderà forma concreta nel seguente ‘Dio di Giuda!’. Una simile lettura rende ancora più prezioso il passaggio al cristianesimo, motivato non solo dall’amore paterno ma anche dalla consapevolezza di quello che è il bene di tutti.
Insomma un lavoro con ombre ma anche sprazzi luminosissimi.
Certo vedere Nabucco che in un cast sembra Francesco Giuseppe e nell’altro assomiglia di più ad uno degli interpreti di Cats, come scoprire che ogni Abigaille muore dove vuole, lascia meravigliati.
Quasi che sul lavoro di regia si fosse intervenuti con un bricolage tutt’altro che indolore, una specie di corsa a marcare il territorio, affossando un’idea.
Il pubblico triestino ama da sempre il maestro Oren, che riesce anche in questa occasione a far rendere al meglio le grandi potenzialità dell’orchestra del Verdi, per l’occasione affiancata dalla Civica Orchestra di Fiati “G. Verdi” - Città di Trieste.
Alla fine dell’opera è il trionfo per il direttore israeliano, ma va detto che tutto il primo atto, costellato di grandi pagine, raccoglie pochissimi applausi.
Forse il gran movimento delle masse durante la Sinfonia iniziale toglie attenzione alla partitura oppure c’era la volontà di sottolineare il valore delle masse, ma di fatto la sensazione è che in questa splendida pagina si voglia far emergere più la componente ritmica che quella drammatica.
‘Gli arredi festivi’ passa sotto silenzio, nonostante la buona prova del coro, diretto da Paolo Longo e la stessa sorte spetta all’aria di Zaccaria ed al bel terzetto. Nell’insieme tutto è corretto, ma non arriva la magia, la poesia che il lavoro merita.
Certo poi il direttore si gioca al meglio le sue carte: canta, salta, sembra bramire, incanta con il movimento magnetico delle bellissime mani, peraltro costantemente illuminate ad arte da un fascio di luce, come fossero fra i protagonisti della serata.
Talento ed eccesso si inseguono. Come quando, alla fine del ‘Va Pensiero’, Oren si gira, avvicina la mano all’orecchio e sembra chiedere al pubblico gli applausi che motivino il bis, con un gesto da rock star, reiterato più volte, finchè il clamore lo soddisfa.
Ma sa anche cesellare una intensa ‘Son pur queste mie membra - Dio di Giuda - Cadran, cadranno i perfidi ‘, che commuove per intensità, tempi, ariosità, sensibilità.
A ricordare che oltre all’istrione c’è anche l’artista.
Un’ulteriore riflessione: perché bissare il ‘Va Pensiero’ portando il coro al proscenio? Immaginate di vedere le masse che lasciano la posizione prevista dal regista, distruggendo l’atmosfera commovente che si era finalmente creata, arrivare davanti al pubblico e quindi di fatto occultare Nabucco in catene, cantare da una posizione che rende il suono più imponente, raccogliere un oceano di applausi e girarsi per ritornare alla precedente postazione e ripartire con la narrazione, che però a questo punto risulta calpestata, ferita da un intervento metateatrale che toglie peso alla storia.
Alla fine del bis il maestro applaude lungamente, ovviamente seguito dalla sala, che smette solo quando le mani di Oren si acquietano.
Non c’è dubbio che il coro del Verdi, abbia fornito un’ ottima prova. C’è stata qualche piccola sbavatura all’inizio, forse dovuta all’ organico sempre più ridotto, ma il confronto con una partitura così complessa, che trasforma le masse in uno dei protagonisti, li ha visti assolutamente vincenti.
Ma la sensazione di un consenso guidato è spiacevole, anche perché potrebbe togliere peso all’autenticità del tributo, indubbiamente meritato.
Sfumature, si dirà. D’altra parte sono quelle che definiscono il capolavoro.
Passiamo quindi alle voci. Due i cast per una serie serratissima di repliche.
Per Fenena si alternano Elmina Hasan e Francesca Di Sauro .
Entrambe tratteggiano una figura interessante scenicamente ed ancor più vocalmente. In particolare la Di Sauro brilla nella seconda compagnia, rivelando uno strumento solido, omogeneo con acuti sicuri ed una tavolozza di colori vastissima, che le consente di dare il giusto rilievo alla figlia legittima di Nabucco.
Elisabetta Zizzo è una lussuosissima Anna, che ostenta acuti potenti ed una voce dalla notevole personalità.
Chiudiamo la sezione femminile con Abigaille. Il ruolo è di proibitiva difficoltà.
Scritta per un soprano drammatico cui si chiedono notevoli agilità; solidi do sovracuti da cantare sia a piena voce che pianissimo; note gravi profonde; trilli di forza; acrobatici salti d’ottava, la parte necessita anche di una grande interprete, che non si faccia schiacciare dalle preoccupazioni tecniche e renda le sfaccettature di questa donna così forte ma anche fragile, alla ricerca di un ruolo e forse di una identità, ferita dalla vita, vendicativa ma anche capace di un pentimento autentico.
Si alternavano Maria Josè Siri ed Olga Maslova, la prima famosissima in tutto il mondo e l’altra quasi all’esordio italiano.
Entrambe hanno cantato bene il complesso ruolo, superando le difficoltà della partitura, ma palesando una dizione migliorabile, tanto che , per capire cosa volessero dire, spesso era necessario il ricorso ai soprattitoli .
Profondamente differenti le due interpretazioni.
La Maslova, forte di fiati lunghi, estensione ampia, suoni omogenei ed una gamma di colori vasta, che si fa ancora più interessante nei suoni più alti, appare una donna determinata, ma credibile anche nei momenti di cedimento.
In ‘Anch’io dischiusi un giorno’ passa dalle lamine d’acciaio della prima parte ai toni accorati della seconda, tratteggiando una figura volitiva, che lotta per sedare la sua componente umana, per imbavagliare angosce e paure, che interpreta con raffinatezza e misura.
Nel finale, appare lontana da tutti, costretta ad una sorta di rialzo, che penalizza anche la resa del suono, ma che esalta il dramma della solitudine, che forse l’accompagna da sempre e che prende la forma delle fiamme, una sorta di inferno in terra, che preannuncia la condanna eterna.
Un bella invenzione registica, che però la Siri rifiuta. Nella terza recita, la prima che il soprano portava a termine, perché al debutto nell’ultima parte della serata è stata sostituita dalla collega russa, si alza il grande muro che ha dominato l’impianto scenico, appaiono le fiamme rosse, ma l’effetto voluto da Del Monaco non c’è, perché Abigaille compare in mezzo agli altri personaggi, quasi al proscenio.
Gli occhi di tutti sono verso il vuoto venutosi a creare nella parte superiore della scena e la regina decaduta, che per tutto lo spettacolo era stata torva, brusca, distante e decisa, muore nell’indifferenza generale, nonostante fosse finalmente emersa una componente autenticamente umana che pareva non trovare posto finora in quella specie di Imelda Marcos che si era aggirata con passo deciso per le stanze di palazzo, regalando più note inossidabili che sfumature, più acuti che emozioni.
Una interpretazione monolitica, che punta alla resa vocale piuttosto che alla introspezione.
Canta tutte sei le repliche, in nove giorni, il tenore Carlo Ventre. La voce è possente, l’acuto solido. Forse anche troppo per il personaggio, perché il suo Ismaele risulta prevaricante nelle scene d’insieme e tonante nei pezzi solistici. Vestito come un commendatore di mezza età, più che un giovane innamorato, sembra un manager determinato, carico maggiormante di certezze che di colori.
Nel ruolo di Zaccaria abbiamo ascoltato Marko Mimica. Il basso ha una maggior facilità nella parte alta che nei bassi ed un colore piuttosto chiaro.
La sua voce, spesso coperta nei pezzi d’insieme, deve ancora maturare la giusta autorevolezza per questa parte, ma sicuramente ha delle potenzialità interessanti, che il giusto repertorio saprà esaltare.
A sua difesa va detto che non è stato aiutato né dal costume, né da certe scelte registiche, come la scala su cui si presenta ad apertura del sipario e, soprattutto, la frammentazione narrativa, che ha trasformato l’aria ‘Vieni o levita’ in una specie di inciso di pochi minuti fra due discese di sipario, che sembrava cantato da Silvio Pellico.
Autorevole scenicamente e tonante vocalmente il gran sacerdote di Belo di Cristian Saitta, che mostra un materiale vocale sempre più interessante.
Credibile e corretto Christian Collia, che può contare anche sull’adatto fisic du role per questo Abdallo asburgico.
Per quel che concerne il protagonista, si alternavano Roman Burdenko e Youngjun Park.
Entrambi vantano una buona dizione, che permette di apprezzare il valore del libretto di Solera. Park ha una voce educata, di volume non strabordante, che gli consente di risultare più credibile e commovente nella seconda parte, quella dolente, piuttosto che in quella iniziale, spavalda e tracotante. Nel duetto ‘ O di qual onta gravasi’, accanto alla Maslova, riesce a trovare interessanti colori e passaggi suggestivi.
Burdenko ha in mano il personaggio per tutta l’opera. Sicuro nelle agilità, dotato di fiati amplissimi, acuti solidi, ma soprattutto di una amplissima gamma di colori, consegna alla platea una magnifica prova, nella quale le sfumature sono di opulenta ricchezza, a tratteggiare un Nabucco credibile, sia nell’arroganza dell’invasore, che nel dolore del padre preoccupato.
Magnifico l’effetto della fiera incatenata, prima rabbiosa, poi accasciata ed infine di nuovo determinata alla reazione e di grande commozione ‘Dio di Giuda’, esemplare per il lavoro sulla parola, i fiati, il volume sonoro ben modulato , la vastità dei colori e, soprattutto, di grandissima resa interpretativa. Certamente il momento più alto della serata che, come detto, si è conclusa con un generale ed indistinto trionfo. Annunciato e cercato.
A nessuna delle recite si è presentato al proscenio il Maestro Del Monaco.
Gianluca Macovez
25 marzo 2024
informazioni
Trieste, teatro Verdi, 23 e 24 marzo 2024
NABUCCO di Giuseppe Verdi
Dramma lirico in quattro parti di Temistocle Solera
Maestro Concertatore e Direttore DANIEL OREN
Regia GIANCARLO DEL MONACO
Scene e costumi WILLIAM ORLANDI
Light designer WOLFGANG VON ZOUBEK
Assistente alla regia MARTINA ZDILAR SERTIĆ
Assistente alle scene e costumi FRANCESCO BONATI
Maestro del Coro PAOLO LONGO
Personaggi e interpreti
Nabucco ROMAN BURDENKO (22, 24, 27, 30/III)/YOUNGJUN PARK (23, 29/III)
Abigaille MARIA JOSE’ SIRI (22, 24, 27, 30/III)/ OLGA MASLOVA(23, 29/III)
Zaccaria RAFAL SIWEK (22, 29/III) /MARKO MIMICA (23, 24, 27,30/III)
Fenena ELMINA HASAN (22, 24, 27, 30/III)/ FRANCESCA DI SAURO (23, 29/III)
Il gran sacerdote di Belo CRISTIAN SAITTA
Abdallo CHRISTIAN COLLIA
Anna ELISABETTA ZIZZO
Con la partecipazione della Civica Orchestra di Fiati “G. Verdi” - Città di Trieste
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Allestimento del HRVATSKO NARODNO KAZALIŠTE DI ZAGABRIA