Recensione di ‘Quell’anno di scuola’ all’Auditorium La Fratta di San Daniele del Friuli il 18 gennaio 2024
Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto riprende ‘Quell’anno di scuola’, una elaborazione drammaturgica del quasi omonimo testo di Giani Stuparich: ‘Un anno di scuola’ realizzata con grande attenzione da Alessandro Marinuzzi e Davide Rossi, che spostano di pochi anni la vicenda, collocandola nell’anno dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, regalando un finale drammatico e di una certa impressione .
Si tratta di uno spettacolo che all’esordio ha raccolto consensi e che viene riproposto , in questo caso nelle stagioni dell’Ert.
Francamente alquanto complesso stendere una recensione della serata vista a San Daniele del Friuli.
Innegabile il valore di tutti gli interpreti, calati con grande bravura nella parte.
Attenti al testo, credibili, mai banali, reggono la fatica di un atto unico di oltre un’ora e mezza nel quale la recitazione è serrata, con continui passaggi di battuta, cambi di ruolo, un costante controllo dell’espressività, una frequente alternanza di costumi .
Per ognuno degli attori c’è almeno un monologo che lo porta al centro dell’attenzione, ogni personaggio è costruito addosso all’interprete, fiati e volumi ben calibrati e, pregio non da poco, la rinuncia all’amplificazione, consente di cogliere sfumature, respiri, la potenza narrativa di certi silenzi quasi metafisici.
La scenografia ed i costumi di Andrea Stanici sono funzionali, piacevoli, attenti al tempo storico, ma anche alle caratteristiche fisiche degli attori, oltre che alle richieste dei personaggi.
La regia, firmata da Marinuzzi, con l’assistenza di Davide Rossi, risulta puntuale, minuziosa nell’utilizzo delle possibilità offerte dalla scena e mai prevaricante sul testo, che viene reso con assoluto ed apprezzato rispetto .
Si colgono costruzioni letterarie, scelte lessicali, piccoli giochi e raffinati riferimenti di uno scritto ricercato e calibratissimo nell’evocare climi e tempi perduti.
Pur con tutti questi pregi, però, la sensazione uscendo dalla serata è che sia stata una occasione colta in parte: nonostante l’amore evidente di tutti per Giani Stuparich,il lavoro non riesce a staccarsi dalla citazione letteraria, non è una messa in scena di un anno di vita di un gruppo di studenti liceali che vivono nella Trieste mitteleuropea, ma piuttosto la celebrazione di un romanzo, che si guarda con distanza, con interesse culturale più che con immedesimazione, dalla quale si esce più istruiti che commossi.
E tutto questo nonostante in scena succedano sciagure in quantità, si parli d’amore, di femminismo, di luoghi comuni e di guerra.
Grandi temi resi con la distanza del tempo, come se quelle storie le guardassimo senza riuscire a specchiarci nella narrazione.
L’inizio è di gusto pirandelliano: il sipario è aperto, gli attori parlano con il pubblico, dichiarando subito la distanza da quello che andremo a vedere.
Davide Falbo, che sarà il più caciarone degli studenti, con voce squillante, alle volte perfino querula, raccomanda di spegnare i telefonini, racconta di aver mangiato prosciutto a quattro palmenti, accoglie le signore con grandi saluti, invita il pubblico, che fortunatamente non lo ascolta, ad occupare i posti altrui ed a non scartocciare caramelle durante la rappresentazione.
Insomma una collezione di luoghi comuni e frasi ricorrenti che alcuni giudicano estremamente simpatiche ed altri un momento sostanzialmente incomprensibile.
Si dirà che è metateatro, ma si potrebbe rispondere che dovrebbe essere Stuparich.
La narrazione parte improvvisa, con ritmi serrati: la storia è quella di un gruppo di studenti, che vivono l’avventura di dover accogliere in classe la prima fanciulla ammessa all’ottavo anno del Ginnasio Comunale Superiore.
Si romperanno solidi equilibri, nasceranno amori, scoppieranno contestazioni, un ragazzo tenterà il suicidio, un altro lascerà la scuola per rimettersi dalle delusioni amorose.
Prenderanno forma grandi madri e fermenti rivoluzionari, conflitti generazionali ed ingenuità adolescenziali.
Il cast è caratterizzato da un folto gruppo di giovani e bravi attori del progetto TeSeO del Teatro Stabile del Veneto: Meredith Airò Farulla, Riccardo Bucci, Chiara Pellegrin, Emilia Piz, Gregorio Righetti, Andrea Sadocco e Daniele Tessaro, oltre al già citato Falbo; a loro si affiancano Ester Galazzi e Riccardo Maranzana, interpreti dalla solida esperienza che regalano una recitazione suggestiva.
Maranzana è il professore. Misurato, attento, osserva con apparente distacco, pronto a commuoversi, senza però darlo a vedere, con quel autocontrollo molto mitteleuropeo che rendeva Trieste la più austriaca delle città italiane e la più italiana delle città austriache.
Ester Galazzi riveste di volta in volta i ruoli della donna matura. Ora con il camice, poi madre ossessiva, recita anche con dei magnetici silenzi, che profumano di Casorati e con scatti ferini, che echeggiano Ibsen.
Elegantissima nelle movenze e nella figura, protagonista di giochi di sguardi pregni di significato, sembra incarnare l’ideale di una femminilità destinata ad essere spazzata via dalle vicende belliche.
Lo spettacolo regala tanti attimi di suggestione, dal monologo della madre di Antero al dialogo fra la Marty e sua sorella in fin di vita, dalla disperazione della sorella di Pasini per il suo tentato suicidio alla scoperta dell’amore fra Edda e Giorgio.
Ma non bastano a rispondere alla domanda cui si accennava in apertura, ovvero se questo sia un testo autenticamente teatrale o se siamo davanti ad una dotta e raffinata operazione letteraria, un apprezzabile omaggio alla figura di Stuparich, che però offre il fianco a più di una considerazione .
Si scivola spesso nell’autoreferenzialità, che certamente spinge alla lettura del testo originale ma difficilmente fa uscire da teatro con la voglia di rivedere presto questo spettacolo.
I tempi teatrali, pur ribadendo la bravura di interpreti, sono dilatati, ad inseguire la parola più che il racconto.
Le citazioni, di cui l’allestimento è ricco, non valorizzano l’originalità del romanzo.
Anche la conclusione, con l’arrivo dei rumori della Guerra, pur offrendo un effetto scenico suggestivo, sembra amputare la narrazione.
Alla fine, applausi generosi per tutti gli interpreti, usciti vittoriosi da una prova decisamente impegnativa, per tutti.
Gianluca Macovez
19 gennaio 2024
informazioni
QUELL’ANNO DI SCUOLA”
tratto da “Un anno di scuola” di Giani Stuparich
elaborazione drammaturgica di Alessandro Marinuzzi e Davide Rossi
editore Quodlibet per gentile concessione di Nefertiti Film
progetto drammaturgico e regia Alessandro Marinuzzi
con Ester Galazzi e Riccardo Maranzana
e i giovani attori (progetto TeSeO) : Meredith Airò Farulla, Riccardo Bucci, Davide Falbo, Chiara Pellegrin, Emilia Piz, Gregorio Righetti, Andrea Sadocco, Daniele Tessaro
elementi scenici e costumi Andrea Stanisci
assistente alla regia Davide Rossi
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile del Veneto