Martedì, 26 Novembre 2024
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Gianna Fratta salva la Manon Lescaut a Trieste

In scena a Trieste una controversa edizione del capolavoro di Puccini

 

Recensione di Manon Lescaut di Giacomo Puccini in scena al Teatro Verdi di Trieste dal 2 al 12 novembre 2023

 

Il teatro Verdi di Trieste inaugura la stagione con ‘Manon Lescaut’ di Giacomo Puccini, assente da una quindicina d’anni dalle scene tergestine.

Facciamo subito l’importante premessa che è decisamente meritorio che un teatro dal passato coraggioso cerchi di virare dalla secca degli allestimenti di routine cui ci aveva abituato negli anni della precedente gestione, per aprire alle grandi firme della regia. Nella stagione che ci aspetta, ci  saranno Stefanutti, Vick, Del Monaco, Gavazzeni e Maranghi, Curran e Brockhaus. Tanto da vedere, tanto da discutere, tanto da meditare. Quindi  un messaggio importante: il teatro è vivo, attuale,  propositivo e dialettico.

Alcuni saranno lavori inediti. Altri sono spettacoli già rodati, visti prima e scelti.

Per l’inaugurazione si è scelto di proporre l’allestimento del teatro di Montecarlo, firmato da Guy Montavon, per  luci e regia; Hank Irvin Kittel per le scene; Kristopher Kempf per i costumi.

Diciamo subito che il lavoro registico  è l’elemento caratterizzante e prevaricante dello spettacolo, anche perché unificando i ruoli di Geronte, del sergente degli arcieri e di un comandante di marina, la vicenda assume una narrazione inconsueta, non priva di suggestioni, ma anche farcita di incoerenze e palesemente in contrasto con il racconto pucciniano.

Uno spettacolo di cui molto si scrisse, all’epoca, perché fu quella l’occasione per il ritorno sulle scene, dopo l’ostracismo anti-russo post- invasione in Ucraina, della Netrebko, affiancata dal marito e da un fuoriclasse come Sgura, che seppe dare alla parte di Lescaut un giusto peso sia vocalmente, che scenicamente.

Certamente tre artisti che con il loro carisma ed una vocalità di grande classe magnetizzarono l’attenzione e riuscirono a mitigare il peso del lavoro di Montavon.

Anche perché una Netrebko che gioca a fare la diva è metateatro; Sgura che è un po’ fratello ed un po’ Scarpia è citazione raffinata e con il suo peso vocale riesce a  dare un rilievo fondamentale a Lescaut .

In questo caso, con cantanti  dalla caratteristiche decisamente differenti, l’impatto  registico è stato sicuramente strabordante. 

Si è riscritta la vicenda, si sono trasformati i luoghi, modificati i personaggi. 

Un lavoro che sulla carta offriva spunti di possibile interesse, ma che di fatto ha calpestato la narrazione pucciniana e spesso ha cozzato con gli aspetti musicali.

Trasformare la locanda del primo atto in un chiosco popolato da Marilyn invecchiate;  uomini ingemmati da strass e  vistose parrucche; attempate signore che forse sono gioiosi trans;  suore, vestite di seta,  golose e distratte pronte a dimenticarsi della novizia in cambio di un gelato;  vegliarde in shorts; ubriaconi chiassosi, può sembrare una trovata simpatica. Ma in realtà certo questo non arricchisce la vicenda, ne’ il rincorrersi di macchiette di maniera può essere visto come un omaggio a Puccini, compositore tutt’altro che banale e scontato.

L’entrata in scena di Geronte, una sorta di incrocio fra Karl Lagerfeld e Gianluca Vacchi, non migliora la situazione, che rischia di scivolare nel grottesco, anche per la presenza al suo fianco di un collaboratore che sembra la reincarnazione di Maurizio Arceri dei Krisma.

Senza soffermarci troppo sulle gag che copiose infieriscono sulla partitura, passiamo al secondo atto, che si apre con una scena  di piacevole effetto, che fa pensare che la chiave di lettura possa essere ben più dotta delle apparenze. 

Puccini, infatti, commissionò a Pietro Bertoja  i bozzetti da fornire allo scenografo incaricato  della prima  assoluta dell’opera, per essere sicuro che si cogliesse il peso corretto delle ambientazioni, giocate su simbolismi e sfumature cromatiche.

Nel caso del secondo atto,  volle un elegante e freddo salone, caratterizzato da una rigorosa simmetria ed una tavolozza dai toni  del rosa, elementi che ritroviamo nel salone/ studio della casa di Geronte, diventato scultore.

L’illusione della rilettura dotta ed attenta, quasi filologica,  dura poco, perché dopo un inizio criptico ma suggestivo, si passa ad effetti luminosi da balera, copiose sniffate  di coca del padrone di casa, che gira accompagnato da uno stuolo di fanciulle che sembrano essere appena da casa Addams ed organizza una sorta di performance che vorrebbe trasformare la bella Manon in una scultura vivente.

Tutto forzato, esasperato, quasi fossimo in una telenovela. D’altro lato la figura complessa ed articolata della fanciulla che cerca invano d prendere in mano la propria vita, per Montavon è una ‘donna che ama  sè stessa sopra ogni cosa….egoista.. [che ] fa precipitare  [ Des Grieux] in un pantano umano esecrabile da cui non uscirà mai’. 

Il terzo atto non è un porto, ma  un tribunale anonimo anche se luminosamente colorato, popolato da freaks dal misterioso significato  e da detenute marchiate sulla schiena e rese anonime da tute nere.

E’ Geronte, assurto a deus ex machina ad assegnare  le condanne mentre mangia una aragosta, insensibile al fascino delle fanciulle e ben felice di arruolare  come mozzo Des Grieux.

Una riflessione merita anche il fatto che se si fanno delle operazione del genere, forse sarebbe bene avere il coraggio di intervenire anche sul libretto, visto che avendo tolto il porto, la nave , il deserto e l’America, non si capisce dove il povero Des Grieux possa esercitare questo incarico e sentire il Maestro di ballo, per fare uno dei tanti possibili esempi, che indica come deve muoversi Manon trasformata in statua fa sinceramente sorridere.

La vicenda si chiude non nelle lande desolate del Nuovo Continente, ma in una prigione, dove Manon muore in cella accanto al suo cavaliera dall’altra parte delle sbarre.

Una stanza divisa a metà. Sulla sinistra la  cella, sporca ed umida, che ospita la fanciulla. Unico decoro un lavandino incrostato. A sinistra una stanza con un tavolo imbandito, tre casse di acqua minerale ed una porta chiusa.

In definitiva Manon canta ‘Sola, perduta, abbandonata’ stando in compagnia, mentre Des Grieux non riesce a trovare niente che possa portare sollievo all’amata, nonostante la ricca dotazione del locale.

Quando alla fine la porta si apre, speriamo che il cavaliere raggiunga l’amata fanciulla,  per l’estremo abbraccio, ma invece lo studente sembra preferire la via della fuga.

Sicuramente lo spettacolo aveva una interessante chiave di lettura, se dopo averlo visto lo hanno scelto, ma francamente è sfuggita alla maggioranza , verrebbe da dire la quasi totalità dei presenti. Che pur avendo applaudito il cast, è uscito commentando negativamente lo spettacolo.

Va anche detto che l’inaugurazione della stagione, prevista per il 2 novembre, è saltata per uno sciopero e quindi la replica cui abbiamo assistito il 4 novembre  era di fatto la prima.

Non si sono presentati al proscenio né il regista, né lo scenografo, né l’autore dei costumi, eccessivi e spesso farseschi.

Forse è stato meglio così.

Passiamo alle considerazioni di ordine musicale, partendo dal coro che riesce a fornire una solida prova nonostante le innegabili difficoltà a muoversi in scena così abbigliati.

Per quel che riguarda le voci, ci sono stati rendimenti differenti. Adeguate le parti minori. Suggestivo vocalmente il musico di Magdalena Urbanowicz ;  sostanzialmente funzionale  Nicola Pamio, diventato il braccio destro di Geronte;  adeguato Giuseppe Esposito, un credile e sorridente oste.

Paolo Nevi, allievo dell’Accademia della Scala, è stato un Edmondo caciarone scenicamente ma  che vocalmente ha brillato per bellezza del colore e naturalità del canto, alle volte coperto dall’orchestra.

Geronte era Matteo Peirone. Ruolo impegnativo scenicamente,  con una recitazione volutamente  forzata ed eccessiva. Non sempre la resa vocale era quella auspicata, ma il personaggio usciva  coerente con le indicazioni registiche.

Fernando Cisneros , Lescaut, ha una  voce interessante, ma sulla quale bisogna ancora lavorare, per affinarla al meglio ed uscire da una certa genericità che non premia l’impegno dell’interprete.

I ruoli di Manon Lescaut e di Des Grieux erano vestiti da due coppie di interpreti.

Nel ruolo del cavaliere si alternavano Roberto Aronica e Max Jota, subentrato al previsto Murat Karahan.

Il primo è tenore dalla lunga carriera. Ha portato a termine con professionalità la parte, ma certamente sono mancati la baldanza giovanile, l’opulenza vocale dello studente, il fascino di un colore dalla tante sfumature. Non  sono mancati alcuni momenti efficaci, come il duetto del secondo atto e soprattutto la conclusione, nella quale la voce ha potuto evidenziare la componente drammatica, matura, che la soluzione registica ha per certi versi esaltato, ma la prova è risultata un po’ disomogenea. 

Jota è cantante dagli acuti generosi, fiati lunghissimi, volume possente. Riesce a cesellare un credibile Des Grieux, che migliorerà ulteriormente aggiustando la proiezione di quei pochi suoni che sono apparsi non del tutto sotto controllo, forse  per la tensione del debutto, decisamente superata nell’ultimo atto, quando riesce a pastellare con intensità  un uomo che viene scavato dal dolore, sostanzialmente solo e devastato.

Manon Lescaut è ruolo complesso, che deve passare dall’ingenuità alla disperazione e nonostante la monolitica lettura del regista, la musica di Puccini pretende tutte le sfaccettature del caso.

Le due compagnie alternavano la più esperta Lana Kos ed un soprano che in questo periodo vive un momento di grande consenso : Alessandra Di Giorgio.

Lana Kos è stata una Manon decisamente riuscita. Timida ed intimorita, ma anche curiosa e determinata nel primo atto; suadente e sicura nel secondo; spaventata nel terzo; affranta e disperata ne quarto atto, ha saputo essere sempre credibile scenicamente e vocalmente. Ha mostrato una voce dal colore particolarmente interessante soprattutto nelle note più basse, sicurezza negli acuti, fiati cospicui , una bella gamma di sfumature ed un volume che ha sempre superato l’orchestra senza difficoltà. Certamente la più in parte della prima compagnia.

La Di Giorgio, che ha entusiasmato parte dei presenti,  ostenta acuti  stentorei e filati suggestivi, ma deve  lavorare sia sulla dizione , spesso incomprensibile, che nell’ espressione, ancora generica, per tratteggiare una Manon Lescaut realmente suggestiva. 

Chiudiamo con la Maestra Gianna Fratta, che  dirige l’orchestra del Verdi, in alcuni momenti strabordante nei volumi, con gesto attento ed eleganza e riesce a tenere salde le fila dello spettacolo, nonostante tutto e tutti.

Porta avanti un’idea chiara e personale della partitura, che  è evidente che conosce benissimo. 

Supporta le voci con efficacia, senza cedere a gravosi compromessi .

Riesce  ad evitare stereotipi e facili effetti, che entusiasmano alcune bacchette eccellenti, facendo approdare lo spettacolo in una dimensione musicalmente poetica ed intensa, sublimata  nel magnifico intermezzo, nel quale brilla il violino del sempre bravo Stefano Furini.

Emoziona  il pathos narrativo  raffinato e sono di grande suggestione i tempi ampi scelti. 

Una prova musicale  brillante che dimostra ancora una volta come l’Arte vera superi mode e sensazionalismi, vinca su guitti e forzature e sappia toccare la Poesia.

Alla fine il pubblico, più numeroso nella replica di sabato affollata di giovani, premia con generosi applausi tutti gli interpreti, con punte di motivato entusiasmo per la Maestra Concertatrice e Direttrice Gianna Fratta

Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2023-24

 

‘MANON LESCAUT’

Dramma lirico in quattro parti dal romanzo ‘Histoire du  Chavalier Des Grieux ed de Manon Lescaut’ di Francois- Antoine Prevost

Musica di GIACOMOPUCCINI

 

 

Gianluca Macovez

6 novembre 2023

 

informazioni

Personaggi e interpreti

Manon Lescaut LANA KOS  (4/11/ 2023)  ALESSANDRA DI GIORGIO  (5/11/ 2023)

Il Cavaliere Renato des Grieux  ROBERTO ARONICA (4/11/ 2023)  MAX JOTA  (5/11/ 2023)

Lescaut FERNANDO CISNEROS

Geronte di Ravoir MATTEO PEIRONE

Edmondo PAOLO NEVI

Un musico MAGDALENA URBANOWICZ

Il lampionaio/Il maestro di ballo NICOLA PAMIO

L’oste GIUSEPPE ESPOSITO

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

 

Maestra Concertatrice e Direttrice GIANNA FRATTA

Regia e luci GUY MONTAVON

Scene HANK IRWIN KITTEL

Costumi KRISTOPHER KEMPF

 

Allestimento in coproduzione tra Opéra de Monte-Carlo ed Erfurt Theatre

Trieste, Teatro Giuseppe Verdi,  4 e 5 novembre 2023

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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