Recensione dello spettacolo Alessandro, Un canto per la vita e le opere di Alessandro Leogrande in scena al Teatro India di Roma il 25 e il 26 ottobre 2022
Le rivoluzioni si fanno per i morti e per i perdenti
Alessandro Leogrande
Alessandro Leogrande, giornalista, scrittore, saggista, tarantino di nascita, se n'è andato improvvisamente, a quarant’anni, a Roma, appena tornato da una conferenza nella sua Puglia, a Campi Salentina. Autore di numerose opere su immigrazione, schiavismo, caporalato, ha dedicato la vita agli ultimi, a testimonianza di un impegno che è stato prima politico e poi intellettuale. Quella de Lo Straniero, la rivista che Leogrande animava assieme a Goffredo Fofi, amico fraterno. Quella di Pagina99, dove Alessandro curava un inserto long form nel quale coinvolse giornalisti e scrittori.
Ne parliamo al presente perché il suo ricordo è vivido, il suo funerale è stato un momento straordinario, pieno di testimonianze, scritti, persone care che lo avevano conosciuto. All’improvviso è apparso evidente che Leogrande fosse il migliore tra gli scrittori e gli attivisti della sua generazione. E questa eredità è molto pesante. Il funerale, a piazza del Popolo, in quella chiesa dove è possibile vedere i quadri di Caravaggio a lui caro. Dice Alessandro nei suoi scritti parlando del Martirio di San Matteo che viene proiettato in scena: Caravaggio non ha dipinto la violenza, ma l’attimo prima del massacro. Penso che Caravaggio più che consegnarci un autoritratto ci consegna una strada per guardare, per guardare alla violenza del mondo, non fuori dal quadro con i pennelli in mano… e provare a guardare quella violenza con i suoi occhi, che sono occhi carichi di pietà. Pietà.
Questo il senso dello spettacolo al Teatro India, uno spettacolo per ricordarlo, una testimonianza per chi non si volta dall’altra parte. Il Teatro Koreja, da cui parte tutto, è una realtà leccese, dal 2003 teatro stabile d’innovazione, dal 2015 centro di produzione teatrale di sperimentazione e di teatro per l’infanzia e la gioventù. Koreja è una forzatura dal dialetto griko in cui koreya vuol dire “movimento circolare”.
In scena, un intenso Fabrizio Saccomanno, che è anche regista, insieme alle bravissime Giorgia Cocozza, Emanuela Pisicchio, Maria Rosaria Ponzetta e Andjelka Vulic, attrici di Koreja ricostruisce l’itinerario e umano di Leogrande. L’allestimento è semplice: le attrici sedute su quattro sedie intonano con la forza della polifonia delle nenie che accompagnano le parole di Leogrande. Canti eritrei intonati in un crescendo… i’m afraid, nomi di naufraghi morti a Lampedusa. Lo spettacolo, con la drammaturgia di Fabrizio Saccomanno e Gianluigi Gherzi e la consulenza artistica di Salvatore Tramacere, è una coproduzione Ura Teatro, non ha bisogno di artefizi: si racconta da solo, con la forza delle parole e delle luci sapienti per aumentare il pathos.
Lo spettacolo affronta molti temi: dalle pagine su Taranto, la sua città, raccontata nel libro d’esordio Un mare nascosto, dove dice che bisogna raccontarla questa città. Raccontare le parti malate, quelle che ci fanno male, anche i suoi polmoni collassati. Bisogna raccontarla questa città, bisogna raccontarla dal di dentro. Lo fa in Fumo sulla città e in decine di inchieste sui quotidiani. All’attenzione per il lavoro: Uomini e caporali è sia testo fondativo per la denuncia dello sfruttamento nella filiera agroalimentare, sia un invito a un nuovo sindacalismo, a darsi il coraggio e la possibilità di cambiare il proprio tempo, sulla tragedia dei nuovi schiavi. Prima che ne parlasse Alessandro erano ombre, non avevano nazionalità né nome; li hai resi uomini e, aprendoci gli occhi, ci hai resi uomini con i loro nomi. Poi c'è, naturalmente, in Alessandro, lo sguardo sui migranti raccontati ne Il naufragio e La frontiera. In particolare quel 3 ottobre 2013 che lo tormentava tanto da andare alle commemorazioni sull’Isola. Il suo sguardo ricostruisce lo stato delle cose del mondo globalizzato, questa linea mobile che separa l’Occidente opulento dai tanti disperati sud del mondo dilaniati da guerre, epidemie, cambiamenti climatici. Ha un valore estetico ma soprattutto politico, come tutte le cose che scriveva, e individua nei flussi migratori la forma di come cambia il mondo.
Una parte significativa della carriera Alessandro Leogrande l’ha passata al fianco del critico Goffredo Fofi, con cui per diversi anni ha animato la rivista di arte, culture, scienze e letteratura Lo straniero. I reportage narrativi di Alessandro sono letteratura dal vero, “storia viva” come la definiva Ryszard Kapuściński, un tipo di racconto della realtà che si attiene scrupolosamente ai fatti, ma va oltre il mero racconto, su un terreno che mischia appunto letteratura, giornalismo, reportage di viaggio, con dentro elementi altri come la fotografia, il cinema, la musica, la geopolitica. Fare il lavoro in modo onesto è ormai una rarità, senza fiction, appunto, senza spettacolarizzazione, come lo fanno invece i piccoli Capote nostrani che camuffano il reportage narrativo con il romanzo d’invenzione. Tutto è stato ampiamente modificato o sconfessato dall’esperienza diretta. Ci si chiede: serve riportare storie di questo tipo? Da un lato certamente sì, perché aiutano a comprendere nel concreto una dimensione esistenziale e sociale lontana dalla nostra - preservando, come diceva Leogrande, “l’unicità di ogni ferita”. Dall’altro, raccontare e basta è insufficiente senza una chiamata all’azione nel lettore.
Alessandro Leogrande era un intellettuale, lui l’avrebbe messo tra virgolette, come Sciascia, per schermirsi, come raccontano i suoi amici: “Gaetano Salvemini, Alexander Langer, Carlo Levi. Loro riempivano le giornate di Alessandro, che intanto si dava da fare per buttare giù le frontiere e i naufragi, il caporalato e l’ignoranza, la malafede e le ingiustizie”.
Di Alessandro Leogrande bisogna leggere tutto, anche i pezzi teatrali come quello andato anni fa al Teatro Argentina in cui sul palco riviveva Giuseppe Di Vittorio, e poi la splendida opera lirica, Haye, di cui è stato librettista. In questo libretto, che si trova in ebook, viene fuori una voce ferma, altissima. Leogrande era un narratore dei fatti del mondo, e chissà dove nascondeva tutta quella poesia. Proprio le sue parole, quelle dette e scritte con un’inedita gentilezza e raffinatezza, sono appunto il suo lascito: L’identità è fatta di radici e di ali.
È nostro dovere ricordare con ogni mezzo, così come il suo sguardo sulla realtà fa parte del ricordo di Alessandro. In fondo, era un viaggiatore e ovunque trovava compagni di viaggio.
Alessandra Perrone Fodaro
30 ottobre 2022
Informazioni
Teatro India
In scena il 25 e 26 ottobre 2022
Alessandro, Un canto per la vita e le opere di Alessandro Leogrande
di Gianluigi Gherzi e Fabrizio Saccomanno
con Fabrizio Saccomanno, Giorgia Cocozza, Emanuela Pisicchio, Maria Rosaria Ponzetta, Andjelka Vulic
regia di Fabrizio Saccomanno
cura del progetto e consulenza artistica Salvatore Tramacere
coproduzione Ura teatro
si ringrazia Feltrinelli Editore
grazie a Cecilia Bartoli, Mario Desiati, Emiliano Morreale e Laura Scorrano
un ringraziamento speciale a Maria Leogrande