Recensione dello spettacolo Macbeth in scena al Globe Theatre Gigi Proietti dal 2 al 25 settembre 2022
Sul palcoscenico dell’evocativo Globe Theatre, quando è in scena la tragedia Macbeth, tra i numerosi personaggi in scena, il vero protagonista però risulta un’entità invisibile: il Male. I più tormentati e insoluti interrogativi dell’essere umano, riguardano proprio la sua essenza. In una prospettiva estremamente moderna e lucida, Shakespeare, ne ha scandagliato la natura in un’opera di estrema imponenza. Quest’entità metafisica sceglie d’incarnarsi in Macbeth, un uomo valoroso e fedele al re Duncan, suo cugino. Dopo aver incontrato 3 spiriti maligni che gli profetizzano la sua ascesa come duca di Cawdor e come re, anche un uomo retto come lui, inizia a cedere alla fascinazione del potere. Ma se il Male lo osserviamo da vicino, ha molteplici sfaccettature e lo dimostra Macbeth entrando in un profondo conflitto interiore. Vorrebbe soddisfare la sua ambizione di gloria, ma vacilla e vorrebbe farlo “santamente”, come lo accusa sua moglie Lady Macbeth. Lei, al contrario, non ha esitazioni sull’obiettivo da perseguire, circuisce e convince il marito ad agire senza scrupoli. Durante tale dialogo serrato, Lady Macbeth sembra impersonare l’alterego del protagonista la cui interiorità è scissa tra remore e cupidigia e la moglie si presta a dar voce alla sua parte oscura, funesta. Che così decide di commettere i delitti più efferati per sostituire Duncan e subentrare al trono. Ma ancora una volta, il Male mostra il suo volto fragile: dopo l’assassinio del re, Macbeth è stravolto dai sensi di colpa e solo grazie all’intervento lucido e spietato della moglie, riesce a dirottare la responsabilità dell’accaduto sulle guardie. In questo momento ci troviamo di fronte due reazioni differenti: chi giunge quasi alla follia e chi prosegue crudelmente inseguendo i propri scopi.
Nonostante sia stato proclamato nuovo re, Macbeth e la sua lady non riescono a godere della loro nuova posizione: i versi declamati sottolineano un’inquietudine e un tormento perenne. È sempre all’orizzonte il terrore di essere scalzati, poiché gli spiriti profetici avevano anche previsto che non sarebbe stata la discendenza della coppia a governare. In preda a tali ossessioni e paranoie, Macbeth si macchia di molteplici delitti che lo condurranno alla follia: le sue paure si traducono in terrorizzanti allucinazioni. La stessa granitica e irremovibile cattiveria di Lady Macbeth inizia a sgretolarsi tramutandosi in isteria e sonnambulismo che la condurranno all’autodistruzione. Nella scena in cui nello stato di sonnambula rivive gli efferati episodi inerenti la sua condotta e del marito, il suo monologo anticipa di secoli, il flusso di coscienza introdotto in letteratura da Joyce: immagini rievocate in preda al delirio, si susseguono nella logica delle libere associazioni di una mente che ha perso completamente il controllo di se stessa e della realtà. Dopo la morte della consorte, Macbeth privo di ogni forma di lucidità, genera quasi compassione nello spettatore. Quando sul finale, sarà scalzato dal legittimo erede al trono, si trascina, si è tramutato nell’ombra di se stesso, è un uomo consumato dai sensi di colpa, in un costante stato di delirio e allucinazione. Giunti a questo punto, cogliamo la fragilità e il potenziale distruttivo insito in ogni forma del Male, non ci spaventa, piuttosto ci impietosisce…i due coniugi si sono annientati nella solitudine e nell’odio generale di chi li circondava.
La visione del Male che ci offre Shakespeare in questa tragedia, non è assoluta, come può apparire ad una superficiale lettura, sembrerebbe piuttosto una complessa entità stratificata di incongruenze, titubanze, rimorsi e tormentate inquietudini. Se visto da vicino, l’uomo che lo compie, è fragile come un vetro che non regge il peso delle sue azioni, come accade alla coppia protagonista. Siamo di fronte a due personaggi ieratici, a cui non poteva adattarsi un’interpretazione incerta, flebile, ma necessitava di un taglio tragico, altisonante, magniloquente come la profonda e meravigliosa drammaturgia del Bardo richiede. I due attori in scena, Graziano Piazza e Melania Giglio, con un certosino lavoro sulla voce che si modulava perfettamente dai toni più elevati, a quelli a tratti ironici, con una mimica e una gestualità che accompagnava perfettamente l’impostazione della regia, sono stati in grado di caratterizzare magnificamente i loro non semplici ruoli. Il pubblico in sala ha percepito l’interpretazione sentita, partecipata di Macbeth e consorte, da cui trasudavano tutti i colori della loro variegata emotività. La regia di Daniele Salvo, attraverso l’uso sapiente del disegno luci, del fumo e delle musiche, ha optato per la creazione di un’atmosfera onirica, suggestiva, evocativa di una realtà soprannaturale che interagisce costantemente con quella umana, simboleggiata dalla presenza scenica delle streghe poste su un livello superiore del palco. La loro posizione su un piano superiore rispetto ai personaggi, evoca l’incombente presenza del Male nelle vicende umane. Grazie all’accompagnamento di musiche inquietanti e incalzanti, il ritmo delle scene, soprattutto durante le battaglie, si è rivelato sempre sostenuto e serrato. Nessun dettaglio è stato trascurato, anche i costumi risultano curati e ben adattati ai personaggi.
Mena Zarrelli
7 settembre 2022