Recensione dello spettacolo Nemmeno il tempo di piacersi, di Marco Falaguasta, Tiziana Foschi e Alessandro Mancini. Con Marco Falaguasta. Regia di Tiziana Foschi. Andato in scena ai Giardini della Filarmonica il 20 luglio 2022 all'interno della rassegna I solisti del Teatro.
Nell' incanto dei Giardini della Filarmonica il tempo e lo spazio smarriscono la loro identità, confondendosi per poi sfumare in dissolvenza: lo sviluppo tematico dello spettacolo di Marco Falaguasta sembra risentire di tali atmosfere oniriche. Neanche il tempo di piacersi rinuncia, infatti, all'impronta narrativa del qui ed ora, imperniandosi, invece, attorno al sapore del ricordo di un tempo passato, precisato nell'anno 1985. Tale data, oltre a corrispondere al periodo adolescenziale dell'attore, diviene occasione di confronto tra l'attualità e i tempi andati. Ben lungi dal creare un ostinato e ridondante confronto tra presente e passato, il nucleo della performace di Falaguasta, con la regia di Tiziana Foschi, è il racconto in chiave (apparentemente) comica dell'umano smarrimento di fronte al crollo delle certezze con le quali la generazione dei cinquantenni di oggi è cresciuta. Quando viene a mancare un certo tipo di sostegno, ci si sorprende goffi nel cercare di adattarci in corsa a ciò che non ci appartiene. Possedere un passo più incerto rispetto a chi, invece, è nato e cresciuto con la modernità giustifica solo in parte la difficoltà di integrarsi nell'orizzonte attuale. La verità è che la proposta odierna non sarà mai per noi sufficientemente convincente: per tale ragione ricerchiamo affannosamente quel certo modo di essere di una volta, attraverso il quale ritrovare noi stessi negli altri.
Particolarmenre esilaranti, e registicamente ben costruiti, alcuni passaggi evidenzianti la dissonanza tra vecchie abitudini e realtà, basti pensare all'esempio inerente l'acquisto delle scarpe negli anni '80. Questo era preceduto da un rituale standardizzato del commesso, da sue movenze plastiche e parole specifiche per ogni circostanza ed età. La sensazione attuale è quella di entrare, invece, in una discoteca dove la musica ad alto volume accompagna una confidenzialità di plastica che annulla e svilisce il tempo della relazione. Tra le "cose" colpevolmente smarrite ci sono le nonne, quelle tradizionali, dalla corporatura rilassata, dall'abbigliamento desueto e dai capelli malamente tinti. In grado di sintetizzare molteplici ruoli, dedite alla famiglia di cui erano il vero motore, le "nonne di una volta" si pongono in stridente contrasto con il loro attuale corrispettivo, inebriato quest'ultimo, dal fascino effimero dei social a cui affidare la pubblicazione di improbabili foto e hastag.
Spettacolo decisamente gradevole, dove l'accuratezza drammaturgica trova rispondenza nel convincente stile recitativo di Falaguasta la cui espressività corporea restituisce pienezza e riverbero alla parola. Apprezzabili gli interventi estemporanei attraverso i quali l'attore, scendendo tra il pubblico, interagisce con questo, assecondando la classica formula della provocazione, arricchendo così il suo "storytelling" di convincenti varianti e modulazioni recitative. Decisamente toccante l'ultimo passaggio riguardante la grande importanza di saper ascoltare mettendosi a disposizione dell'altro: esattamente come facevano quei parenti di una volta troppo rapidamente dimenticati.
A fronte di tematiche e registro espressivo a volte riecheggianti il "già visto", la proposta di Falaguasta si impreziosisce di un sottotesto estremamente denso. Questo "costringe" lo spettatore, una volta riposto le risate, a portar con sè spunti riflessivi che col tempo germoglieranno. Per tale motivo, lo spettacolo non si esaurisce nell'immediatamente visibile bensì inizia la sua seconda vita dopo lo spegnimento dei riflettori.
Ben ricompensato da un lavoro di buona fattura e spessore, il numeroso pubblico, dopo aver sfidato il Covid, non si lascia scoraggiare nemmeno dalla colonnina di mercurio, testimoniando, ancora una volta, che il buon teatro vince su tutto.
Simone Marcari
22 luglio 2022