Recensione dello spettacolo Non domandarmi di me, Marta mia… di Katia Ippaso in scena, prima romana, al Teatro Palladium il 26 e 27 marzo 2022
Il 10 dicembre 1936 Luigi Pirandello moriva a Roma. Sul genio e il talento dell’opera dello scrittore agrigentino – anche drammaturgo di fama internazionale – la critica ha speso fiumi di parole, tuttavia c’è un aspetto “privato” della vita che è stato riportato alla luce solo negli ultimi anni. Si tratta del suo amore, totalizzante, ossessivo per l’attrice Marta Abba che emerge dalle numerose lettere scritte dall’autore, ma che non fu mai corrisposto. Pirandello vide per la prima volta l’attrice il venticinque febbraio del 1925 al teatro Odescalchi, alla prima di “Nostra Dea”, commedia dove lei era la prima attrice; quando apparve trafelata sul palcoscenico, giovanissima, lo scrittore siciliano ne rimane folgorato: È come se avesse un brillante sulla fronte capace di vedere più lontano degli altri. Marta Abba, nell’animo di Pirandello, assume il ruolo di “guida”, “di assoluta e unica ispiratrice”, diventa cioè colei che con la sola sua presenza sia fisica che spirituale, o solo attraverso una lettera, lo può salvare dalla depressione ridonandogli la vita. A lei dedicherà molte delle sue opere. Marta divenne capace di recitare il repertorio pirandelliano, assumendo ecletticamente tutte le possibili maschere: da quella tragica a quella inquieta, a quella piena di contraddizioni, a quella sferzante, ironica, ilare.
Non domandarmi di me, Marta mia… è lo spettacolo scritto da Katia Ippaso, e interpretato da Elena Arvigo, in scena, in prima romana, al teatro Palladium nell’ambito della collaborazione con l’Istituto di Studi Pirandelliani per il centenario della prima rappresentazione dell’opera di Pirandello “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Pirandello scrisse 500 lettere, Marta gli rispose solo 238 volte.
L’ultima lettera arriverà all’attrice quattro giorni dopo la morte dell’autore siciliano, nel 1939, mentre è all’estero ormai dedita a una carriera volta verso teatri più importanti, come quello di Broadway.
È questo il plot della piéce.
Siamo in una camera d’albergo newyorkese, di notte, a Manhattan durante un temporale, dove l’intensa attrice protagonista Elena Arvigo, che interpreta Marta Abba, si trova da sola dopo lo spettacolo: ha raggiunto il suo sogno, finalmente assapora le luci di Broadway, ha appena finito di recitare al prestigioso Plymouth Theatre ma è triste, desolata, perché lei stessa, pochi minuti prima, aveva dato la notizia della morte del Maestro.
In scena, la regia di Arturo Armone Caruso trasmette il corposo carteggio originale tra i due, in uno schermo in bianco e nero ed è ottima nel descrivere fuori le immagini alterate e intermittenti di una New York visionaria, in contrasto con il silenzio di una donna sola, malinconica, che si trova a dover fare i conti con il suo passato; nella sua camera d’albergo lei con le lettere in mano, le forme si compongono e scompongono, quasi seguissero la plasticità del fluire del tempo e delle cose. Una scenografia scarna, come può essere una camera d’albergo di una qualsiasi città. Particolare la scelta musicale: violini impetuosi risuonano all’esterno, in stile anni 30. Una piccola annotazione riguarda le luci: la scena risulta, a volte, troppo scura e cupa, gli oggetti nella stanza e la stessa attrice non ben evidenziati.
La Arvigo legge le parole di Pirandello sempre più intense e profonde, cariche di un sentimento logorante che lo rende morbosamente dipendente (Marta mia… se Tu potessi sentire quanto soffro, son sicuro che avresti un po’ di pietà per me) quelle della Abba sono certamente di tutt’altro stampo: lo chiamava Maestro, non ha mai smesso di dargli del “lei”, mettendo davanti l’infinita stima che provava nei suoi confronti, e raccontava di viaggi, attori, vestiti di scena. Ma non parlava mai di amore, anzi, cercava di dissuaderlo (Spazi, Maestro, spazi, largo, largo… non si stanchi troppo scrivendo… si riposi, non faccia smanie).
Tuttavia, il taglio dato da Katia Ippaso è molto intimista. C’è qui la donna - non più spavalda o sprezzante - che ripercorre la corrispondenza avuta con il Maestro, e che si scopre all’improvviso vulnerabile. L’irruzione della morte fa vacillare le certezze e porta la protagonista a farsi delle domande mai fatte prima. È una notte di veglia, in cui si fa vivo non solo il fantasma di Pirandello, ma vengono chiamate a raccolta anche le immagini di tutte le eroine pirandelliane (dalla Tuda di “Diana”, fino alla contessa Ilse de “I Giganti della montagna”) che il grande scrittore aveva inventato per lei, per la sua Marta.
“Rispetto al personaggio forte e risoluto del carteggio, emerge in Marta Abba, col favore delle tenebre, una nota di vulnerabilità, una maggiore solitudine di donna,” dice Elena Arvigo.
Nel 1985, all’età di 85 anni, finalmente la Abba si mise in contatto con l’Università di Princeton per pubblicare il carteggio che fu ben disposta ad accettare la donazione garantendone la conservazione e la pubblicazione da parte della stessa Università. Per decenni l’attrice aveva meditato sull’opportunità di mettere a disposizione degli studiosi quei documenti e continuava a rimandare ogni decisione, combattuta fra il desiderio di rivelare al mondo un Pirandello intimo e ancora sconosciuto e il pudore d’infrangere il velo del riserbo sul loro rapporto. Ma perché solo all’età di 85 anni l’attrice fece diventare letteratura questi scritti? Risponde lei stessa in un’intervista: A Marta Abba…per non morire. Io ne fui per un po’ di tempo quasi atterrita, di dover dare in pasto al pubblico questa dedica: e… dico, chissà come la prenderanno? E poi dopo mi sono fatta più… più adulta e ho detto «basta, la prendano come vogliano, ma è così: “A Marta Abba per non morire”: perché la Sua opera non muoia.
Ecco perché è interessante questo spettacolo e quello che rappresenta per noi il carteggio originale. L’opera di Pirandello non muore, affidata alla severa, devota Vestale che in vita preferì (o dovette) venerarlo ad amarlo, ma il personaggio che germoglia dalla fantasia del Maestro ha una sua forza autonoma, una sua volontà che si distacca dal suo autore. Essa non può realizzarsi in un romanzo, con mezzi narrativi, ma sul palcoscenico, ove quella “essenza plastica” prende corpo. Per il rispetto del Maestro, Marta attaccava fuori la porta dei suoi camerini, anziché il proprio nome, quello del personaggio che recitava in quel momento.
D’altronde, il teatro di Pirandello fa vivere i suoi personaggi in una continua reincarnazione che suppone un’eternità: nel suo teatro c’è il processo alla psiche malata, si risvegliano gli incubi, le ossessioni, la crudeltà, i dolori, la mancanza di certezza del nostro tempo. Il pubblico in sala mostra di capire tutto questo, ascolta in religioso silenzio e alla fine darà il suono sonoro applauso.
Marta Abba è, quindi, non solo la musa del Suo teatro – ma molto di più: su di lei si fondava il progetto e il sogno di un Teatro di Stato che Pirandello aveva coltivato, pur senza esito. Marta è l’arte di Pirandello, unica, eterna come le opere che noi amiamo e che ci rappresentano perché più di ogni altro attore rende possibile il miracolo pirandelliano, come rimarrà scritto per sempre in “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Alessandra Perrone Fodaro
4 aprile 2022
Informazioni
Teatro Palladium
Prima Romana 24 e 25 marzo 2022
Non domandarmi di me, Marta mia… di Katia Ippaso
Elena Arvigo è Marta Abba.
Regia Arturo Armone Caruso.
Musiche originali Maria Fausta.
Scene Francesco Ghisu.
Disegno luci Giuseppe Filipponio.
Image designer Elio Castellana.
Produzione Nido di ragno/CMC