Recensione di Aspettando Godot in scena al teatro Lo Spazio di Roma dal 31marzo al 3 aprile 2022
Sulla scena, un albero imponente le cui diramazioni si allungano oltre lo spazio scenico; dai rami pendono sottili drappi di tessuto bianco a fungere da foglie; sotto sembrano ripararsi due inquilini molto particolari: Estragone e Vladimiro. La scelta del colore bianco crea uno scenario onirico in cui i due protagonisti si muovono in una dimensione sospesa in attesa dell’arrivo di qualcuno non ben identificato di nome Godot. I due sono clochard cercano di “passare il tempo”, frase ripetuta in diversi punti dello spettacolo e frase chiave dell’opera. Tutto si svolge attorno all’attesa dell’arrivo di Godot e intanto ci si interroga se è il caso di andare o rimanere, ma alla fine bisogna aspettare Godot e si rimane sempre fermi. Nell’attesa si cerca di dare un senso al tempo chiacchierando, pensando al suicidio, prendendo in considerazione la possibilità di separarsi, ma alla fine non accade nulla di tutto ciò, si finisce sempre nell’attesa dell’arrivo di Godot. A spezzare questa routine l’irruzione sulla scena di altri due improbabili tipologie umane: il proprietario del terreno su cui si trovano, denominato Pozzo e il suo schiavo Lucky ridotto in condizioni animalesche. Non è di immediata comprensione il loro ruolo e se rimandino ad altri significati, sicuramente movimentano la scena con le intemperanze di Pozzo che sottomette violentemente Lucky mentre dice di volergli bene. Sul finale tutto rimarrà uguale alla fase iniziale, restando sempre nell’attesa di Godot.
La piéce sembra strutturata su una condizione di immobilità dei due personaggi, che assume ad un certo punto, un significato universale. I due personaggi infatti possono simboleggiare l’intera umanità bloccata nell’impossibilità di un cambiamento, di un’evoluzione dal proprio stato d’insoddisfazione e di malessere. Molti critici si sono interrogati su chi simboleggi Godot, ma lo stesso Beckett non ha dato indicazione, pertanto l’opera si presenta aperta a possibili interpretazioni. Di certo possiamo affermare che il teatro dell’assurdo rappresenta in modo grottesco e surreale vicende che riguardano la condizione dell’essere umano e in quest’opera l’umanità sembra vivere nell’insensatezza, cercando di dare un senso al tempo che trascorre inesorabilmente e inutilmente, nella noia, attraversando la notte. Si sta nell’eterna percezione dell’attesa di qualcosa che dia un senso e migliori questo stato di malessere, ma questo quid è sempre annunciato senza giungere mai.
Per quanto concerne il personaggio di Pozzo, esistono mille possibilità d’interpretazione: lascia pensare alle vessazioni dei sistemi politici che ha conosciuto la storia, applicate nei confronti di un popolo schiavo e sottomesso, portato spesso al guinzaglio. La regia di Francesco Polizzi ha evidenziato il taglio ironico di alcuni passaggi, già presente nello spirito beckettiano. Inoltre la scelta di far vestire i panni di Lucky ad una donna, risulta vincente. L’aggiunta di spazi musicali dal vivo al pianoforte e di balletti stile Cochi e Renato assenti nell’originale ha conferito vivacità e dinamicità alla piéce. La recitazione si rivela credibile e convincente, soprattutto nel caso del ruolo di Vladimiro e Pozzo, mentre, pur raggiungendo livelli ottimali, è presente qualche sbavatura nella caratterizzazione di Estragone, che a tratti diventa caricaturale. Nel complesso lo spettacolo è ben strutturato e ben riuscito.
Mena Zarrelli
2 aprile 2022