Recensione dello spettacolo Azul, in scena al Teatro Ambra Jovinelli dal 4 al 13 marzo 2022 con Stefano Accorsi, Luciano Scarpa, Sasà Piedipalumbo, Luigi Sigillo
Una poltrona, un uomo seduto immerso in un flusso di coscienza che è stato soprannominato Pinocchio. Il pubblico cerca di capire chi sia lo psicoterapeuta: non c’è una figura univoca con cui interagisce, in alcuni momenti si tratta di un dialogo interno con la propria coscienza, in altri appare una terapia di gruppo a cui partecipano gli amici fraterni del protagonista: Frankestein detto Franky, Golem, Adamo. Tutti hanno in comune il vissuto di essere cresciuti senza madre, di “non essere stati sognati da nessuna donna”. Quest’assenza, questo vuoto ineludibile, ha consolidato la relazione tra i quattro, rendendoli affiatati e uniti come veri fratelli. Nel contempo, sullo sfondo fanno parte integrante della scenografia, tre divise di carabinieri, a cui prestano il volto, in modo alternato gli attori in scena.
In questa atipica seduta di psicoterapia, infatti, un altro tribunale assiste oltre alla propria morale, ed è quello della legge. I quattro amici, sono appassionati di calcio fino al commettere follie per la propria squadra e sono stati coinvolti in una rissa in cui sono scappate delle coltellate. Non è chiaro da quale parte sia la responsabilità, di certo loro credono che il tifo deve essere libero, violento, senza etica e l’arbitro deve essere iniquo: “di tifo si può morire, per il tifo si può uccidere”. Il flusso di coscienza del protagonista, ripercorre episodi, sogni, visioni, riflessioni, allucinazioni dell’esistenza di Pinocchio, utilizzando sempre metafore calcistiche. La simultanea vittoria del campionato e della Coppa dei Campioni, può rappresentare la gioia e l’eccitazione della nascita di un figlio, così come perdere ai rigori può spiegare il trauma della perdita di un figlio. Il calcio veicola, utilizzando immagini simboliche, significati stratificati: squarciando il velo dello sport, sotto si cela la paura, la solitudine, interrogativi esistenziali, legami di autentica amicizia. Il calcio sembra porre le domande e dare anche le soluzioni ad esistenze semplici, di persone umili, e se migliorasse si potrebbe anche evitare di prendere le “pasticche”, elemento che ritorna spesso all’interno della pièce.
L’autore e regista Daniele Finzi Pasca ci propone un viaggio introspettivo di chi ci prova, cade e si rialza grazie all’ausilio costante degli amici e della fede calcistica. Un ampio schermo proietta luci e colori che variano dall’arancione alle diverse tonalità di blu. A tratti è rappresentato il mare, a tratti il cielo. A creare brio e leggerezza a contenuti intensi e complessi, l’interazione con i tre amici che fanno da spalla, caratterizzando tre indoli simpatiche, scanzonate, comiche: appaiono come la controparte leggera e vivace di Pinocchio, che, in alcuni momenti, sprofonda nelle sue riflessioni sul senso della vita. La musica del pianoforte e della viola aggiunge intermezzi musicali che danno ritmo e scandiscono i tempi della rappresentazione, con la funzione di cambi scena. L’aggiunta di spazi di metateatro introduce il pubblico nelle vicende che si scopre partecipe dal di dentro dei meccanismi dello spettacolo. Inoltre Pinocchio, interpretato da Stefano Accorsi, chiama in causa gli spettatori chiedendo un loro intervento sulle vicende. Inutile sottolineare l’interpretazione tecnicamente perfetta nelle movenze, nella modulazione della voce, nell’espressività del volto di Accorsi e di Luciano Scarpa, Sasà Piedipalumbo, Luigi Sigillo. L’affiatamento tra gli attori è palpabile e rende la recitazione agevole e dinamica al punto tale che il pubblico si convince dell’esistenza di un rapporto tra loro al di là delle scene. Il finale è un tripudio di colori, musiche e cori vittoriosi con un pubblico che partecipa alla festa. Durante gli applausi, gli attori sventolano le bandiere della pace, esponendo la loro posizione sull’attuale conflitto in corso in Europa.
Mena Zarrelli
5 marzo 2022