Recensione dello spettacolo Benji Adult Child-Dead Child di Claire Dowie, in scena all’Argot Studio dal 17 al 20 febbraio 2022
“Non puoi dire di aver bisogno dell'amore come un bambino. Non puoi dirlo perché sei un adulto”
Una sedia pieghevole e un’attrice. La luce accesa che acceca il pubblico, volutamente non spenta, come scelta registica. In una sola stanza un personaggio, tanti personaggi, una storia da raccontare, all’interno di una scatola asfissiante, nera come le pareti dell’Argot Studio. Il testo originale si chiama Adult Child-Dead Child di Claire Dowie, una scrittrice-attrice, una delle figure più anticonformiste del teatro contemporaneo e fra le più acclamate della scena londinese, esponente dello Stand-up theatre che opera nel circuito dei teatri alternativi di Londra, come pub e piccole sale. Benji, con la traduzione di Anna Parnanzini e Maggie Rose, è l’alter ego di una bambina strana della quale non sappiamo il nome, privata dell’affetto dei genitori perché diversa: “Niente è fuori posto, tranne me”, dirà la protagonista. Il nome è quello di una amica immaginaria che lei stessa ha creato compensando la solitudine, aggrappandosi all’osservazione quasi paranoica di particolari e piccole cose, alla ricerca di altri “da soli”, come la vicina di casa, Lady, l’unica a darle attenzione insieme al cane e della quale non sappiamo nemmeno il nome reale.
L’unica attrice in scena, Chiara Tomarelli, nel momento in cui il testo da scritto diventa racconto, inizia a recitare e, quasi come la direzione di un’orchestra, scandisce il ritmo, i suoi movimenti, la sua voce, la sua mimica, ed è bravissima a far emergere il monologo interiore: prima è una bambina di otto anni, sola e spaventata chiusa in uno sgabuzzino che riproduce determinate parole e frasi in modo da rimuginare in loop di “non essere stata mai abusata” perché apparentemente nessuno si accorge del suo dolore; poi è l’adolescente ribelle di tredici anni con la voce che cambia e trova al suo fianco l’amica immaginaria, Benji appunto, che le dà la forza di affrontare il suo difficile quotidiano, ma che compirà azioni terribili che la porteranno in manicomio.
La regia di Sepe è tesa ad evidenziare il sottotesto, molto efficace nel mostrare la battaglia subconscia, le ripetizioni ossessive e costruisce, proprio come il ricamo che mostra il retro nascosto dell’intera immagine, le parti composite di quella battaglia interiore. La parte difficile nella messa in scena di questo spettacolo è la narrazione che tocca con sensibilità il tema del disagio mentale, cambiando registro, attraverso le voci di una galleria di personaggi che interagiscono con lo sguardo dello spettatore, come se il pubblico fosse lo psichiatra. La parola - a volte poesia, a volte ritmata come un rap - aiuta davvero a sottolineare la mancanza di amore che la protagonista prova ed evidenzia che, crescere senza amore, ti influenzi, accentuando la sensazione di spostamento e isolamento. L’ironia, ad esempio, diventa così lo strumento di analisi e di distacco dal cinismo dei tempi correnti e lo spettacolo alterna momenti comici a momenti drammatici. La sedia portata in avanti dall’attrice verso il pubblico, a piccoli spostamenti, diventa segno di interpunzione di un unico discorso/lettera.
Che significa avere “disturbi mentali”? Sappiamo di cosa parliamo? Di storie di solitudine, di emarginazione, di abbandono, che spesso riguardano le minoranze. Sì, perché il disagio mentale è qualcosa che spaventa tutti, quindi è più comodo dividere il mondo in matti e normali e restare tra i “normali”. Ma è proprio così? Benji, attraverso il finale, prova a restituire uno sguardo su quel mondo di fragilità di cui preferiamo non sapere nulla, ma che in realtà è dentro ognuno di noi.
Il tema del disagio mentale, della schizofrenia, è affrontato con delicatezza, attraverso le voci interiori che mettono continuamente in comunicazione una sensibilità esasperata, acutissima, con lo sguardo di pietas dello spettatore: un testo sul disagio, intolleranza, accettazione, diversità e mancanza di amore, ma che parla anche di libertà e speranza, nel finale. A volte straziante, esilarante e commovente, Benji è un raro pezzo di teatro.
Alessandra Perrone Fodaro
20 febbraio 2022
Informazioni
Argot Studio
Benji Adult Child-Dead Child
di Claire Dowie
Traduzione di Anna Parnanzini e Maggie Rose
con Chiara Tomarelli
Regia Pierpaolo Sepe
In scena dal 17 al 20 febbraio 2022