Dopo soli tre anni da Napoli milionaria! con ancora gli echi della guerra presenti nei ricordi e nei sonni agitati degli italiani, ecco che Eduardo crea un nuovo capolavoro.
Nel 1948 la compagnia è a Milano per recitare tutta la stagione al teatro Nuovo. L’enorme successo di Titina in Filumena Marturano l’ha sfiancata, facendola ammalare. E anche se Eduardo non si vorrebbe arrendere, gli specialisti non danno adito a dubbi: la situazione di Titina è grave, una brutta malformazione cardiaca la costringe a letto. Riposo assoluto, chissà per quanto tempo. Titina parte dunque, per Sanremo, il cui clima è certamente migliore di quello milanese, nella speranza di riprendersi presto.
Eduardo e gli attori restano a Milano. Ovviamente Filumena non può andare in scena senza Titina, e neppure La grande magia, che d’altra parte non ha certo ottenuto il successo sperato. Eduardo quindi, impulsivo, indomito, prende una delle decisioni più felici della sua vita. Si chiude in albergo, nelle brevi pause tra uno spettacolo e l’altro, e in soli sette giorni scrive Le voci di dentro. In un’intervista a Il Tempo del 1983 racconterà “La stanza divenne un vero campo di battaglia: fogli sparsi dappertutto, persino sotto il letto e nella stanza da bagno. Appena finita una scena, la segretaria della compagnia la portava a una vicina copisteria e poi me la riportava per gli ultimi ritocchi.
Nel giro di due ore le pagine erano al teatro Nuovo, dove si provava senza neppure una lettura preliminare, per risparmiare tempo, e naturalmente senza il personaggio principale che ero io, costretto a tavolino per quella massacrante maratona. Avevo vietato di entrare persino alla donna delle pulizie, per non essere distratto e per il timore che mettesse confusione nelle pagine già completate”. Dopo una settimana la commedia è terminata. Eduardo si precipita in teatro e finalmente prova con la compagnia. Sabato 11 dicembre del 1948 lo spettacolo va in scena ed è un immediato successo. Il critico Renato Simoni racconterà di applausi lunghissimi, anche a scena aperta; applausi che non finivano più.
Il primo atto si apre in casa della famiglia Cimmaruta, accusata dal vicino Alberto Saporito (Eduardo) di aver ucciso un suo caro amico, Aniello Amitrano. Don Alberto fa addirittura arrivare la polizia ad arrestare i Cimmaruta, per poi rendersi conto di aver probabilmente sognato l’efferato delitto, la camicia insanguinata, i documenti che proverebbero il tutto.
Nel secondo atto don Alberto è dolorosamente consapevole del guaio che ha combinato e si chiude in casa per paura delle giuste rimostranze dei Cimmaruta. I quali invece si presentano alla sua porta uno dopo l’altro, accusandosi a vicenda dell’omicidio, convinti che solo un atto di pietà abbia fatto desistere don Alberto dal produrre in questura i famosi documenti. Nessuno gli crede, sebbene don Alberto continui a ripetere di aver solo sognato. Il mondo non ascolta, dunque, motivo per il quale lo zio del protagonista ha smesso di parlare e si esprime solo con i “botti”, i fuochi d’artificio, in un linguaggio compreso soltanto dal nipote.
Nel terzo atto il protagonista si ritrova con un tentativo di raggiro da parte del fratello Carlo e un invito in campagna proprio dai Cimmaruta, invito che forse nasconde il desiderio di liberarsi definitivamente di lui. Ma la presunta vittima, Aniello Amitrano, torna vivo e vegeto, dimostrando non solo che don Alberto ha effettivamente sognato il tutto, ma soprattutto che nessun delitto è stato commesso. Eppure don Alberto ancora accusa i suoi vicini e persino se stesso di essere degli assassini. Avendo immediatamente creduto alle sue accuse, hanno ucciso la fiducia che in una famiglia, in una comunità, sempre si dovrebbe avere gli uni verso gli altri.
Commedia amara, dunque. Le voci di dentro ha perduto per strada la fiducia verso una rinascita, una ricostruzione fisica e metaforica della società italiana. Anzi, con il grande coraggio che non lo abbandona mai, Eduardo mette a nudo le bugie, le ipocrisie, le falsità che serpeggiano in una classica famiglia apparentemente per bene. I Cimmaruta, dopo essersi accusati a vicenda e non aver neppure tentato di contestare le assurde accuse di don Alberto, sono pronti a sopprimere proprio quest’ultimo, pur di conservare la facciata immacolata di famiglia rispettabile.
I padri di famiglia di Eduardo accusano lo stress della guerra appena passata molto più delle loro mogli. Come il protagonista di Napoli milionaria!, anche Pasquale Cimmaruta e lo stesso Antonio Saporito manifestano un certo male di vivere che li rende inquieti, agitati e al contempo incapaci di prendere in mano le redini della propria vita e della propria famiglia. Sta alle donne rimboccarsi le maniche e trovare i mezzi per tirare avanti, mezzi più o meno ambigui (donna Elvira legge le carte e si atteggia a chiromante) o dichiaratamente illegali (la borsa nera e lo strozzinaggio di donna Amalia). Saranno necessari la guerra del Vietnam e decenni di studio, per identificare e dare un nome all’afflizione dei padri eduardiani. E la sindrome da stress post-traumatico colpisce anche le nuove generazioni, facendole crescere svogliate, inette, superficiali e accusatorie nei confronti di chi li ha generati.
L’artista napoletano, senza avvalersi di competenze mediche o psicologiche, aveva già intuito ed espresso con l’arte scenica la portata distruttiva degli effetti della guerra anche quand’era terminata. Ecco che il teatro ancora una volta, non solo è specchio dell’uomo e della società, ma riesce persino a cogliere con largo anticipo sulla scienza, il male che nel profondo mina il singolo e soprattutto la famiglia, mattone su cui è costruita tutta la società nostrana.
Ricordando Peter Brook, che in seguito alla scoperta dei neuroni specchio, commentò che finalmente la scienza aveva scoperto ciò che il teatro ha sempre saputo, possiamo affermare senza tema di smentita che è grazie ad artisti del calibro di Eduardo che il teatro rivela, svela, intuisce e precorre i tempi.
Cecilia Moreschi
10 febbraio 2021