Recensione dello Spettacolo St. Nicholas in scena in streaming al Teatro Belli il 20 e il 21 dicembre 2020, nell’ambito del festival “Trend nuove frontiere della scena britannica”
“Fra tutte le cose che mi immaginavo che ci fossero, erano i vampiri”.
La vita scorre, nonostante tutto, scivola via sotto i polpastrelli delle nostre dita, anche quando non riusciamo ad afferrarla.
Si insinua nelle nostre ferite, e cerca di cicatrizzarle, anche quando crediamo di non esser pronti per essere salvati.
Un evento, una demarcazione tra un prima e un dopo, rappresenta il bandolo della matassa.
Perché la vita è così, è come la realtà: “Come sempre l’incontro con la realtà è molto meno comune di quello che si pensa. È un fatto. E questo fa molto più paura di qualsiasi invenzione.
Perché? Perché è vera.
È lì, avviene, per caso magari. E ti aspetta”.
St. Nicholas, opera del regista e drammaturgo irlandese Conor McPherson, conclude la rassegna “Trend: nuove frontiere della scena britannica”, che ha accompagnato il pubblico negli ultimi mesi.
Valerio Binasco è il volto noto di quest'ultima intensa e incredibile piece teatrale, nella quale interpreta in maniera egregia e ineccepibile, con un pathos straziante e una cadenza ritmica delle battute recitate al limite del metronomo, un critico teatrale, cinico e stanco, alla soglia della sua vecchiaia.
La sua esistenza è una non esistenza; insoddisfatto della sua vita coniugale, del rapporto con i figli, del lavoro, di sé stesso: “Sentivo che si spegneva la mia luce, la sentivo spegnersi dentro, sai quando hai la consapevolezza di invecchiare senza aver concluso niente?”. “Non avevo idee, dico per una storia. Sognavo una messa in scena che trasudasse la mia compassione. Al massimo riuscivo a scrivere quello che c’era già. Un imbrattacarte, ecco quello che ero. Un ubriacone.”
Finché non incontra Elena, una giovane attrice di una compagnia teatrale: “Era una cosa incredibile quella ragazza. Quando sorrideva, sentivi questa benedizione dentro, perché la sua era una volontà pura, così pura. Non aveva niente da nascondere. Questa è una pace che pochi trovano.”
L'ardore che lo accende lo conduce a inseguirla fino a Londra e lì ha inizio una serie di eventi al limite della superstizione, che cambieranno per sempre la sua vita: primo tra tutti l’incontro con un gruppo di vampiri.
Il testo narrativo si dipana inizialmente come un flusso di coscienza, che sgorga via dai pori della pelle del protagonista, creando nello spettatore una sensazione di disagio interiore, di angoscia e allo stesso tempo di eccitazione.
La scenografia scarna e l'uso quasi assente dell'illuminazione della scena sottolineano il vuoto che scava l'interiorità del protagonista.
Una giacca grigia, una camicia sbottonata, una cravatta rossa con un nodo appena allentato; i capelli disordinati e la postura svogliata, il ghigno e la morsa tra i denti, lo sguardo vitreo: tutto è studiato nei minimi dettagli per catapultare lo spettatore in un contesto di vita che è eloquente ancor prima di essere raccontato. Realtà e dramma.
Lo sguardo di Valerio Binasco, sottolineato da una regia sapiente che utilizza le inquadrature rimandando l'idea di un colloquio tra due persone, creando dinamicità e corposità, arriva dritto e fermo alle pupille dello spettatore. L’uso del “tu” lo chiama direttamente in causa, gli trasferisce la sovrabbondanza di frustrazione e non consente distrazioni.
Un reading intenso e incalzante di un'ora e trenta minuti circa che scivola via come l'incontro tra due amici o ancor meglio tra due sconosciuti che, seduti al bancone del bar, si raccontano.
Tutt'altro che banale il racconto è pregno di simbologie e di richiami esistenziali, filosofici e metafisici. La sensazione, seduti in quel locale, è quella di bere tutto d'un sorso un bicchiere di Gin, di Vodka, di Whisky, che arriva dritto allo stomaco, un’immediata sensazione di bruciore e un sapore agrodolce al palato. “Questa era la mia vita, che cosa te ne frega a te?!”.
Poi, in un secondo momento, in un attimo, senza salti, in maniera armonica eppure netta, l'opera cambia registro e il monologo lascia spazio all’intreccio della storia: l’infatuazione nei confronti di Elena e successivamente l’incontro con i vampiri.
Fascinazione e superstizione.
L’incredibilità di quanto viene narrato da quel momento in poi, ravviva la concentrazione dello spettatore, in un susseguirsi di dettagli che lo trascinano verso un mondo al limite tra il reale e il surreale. Ecco l'evento di demarcazione, ecco la seconda possibilità, che consente al protagonista, in cerca di compassione e di comprensione, di sentirsi vivo, una lanterna nell’oscurità: “una storia”.
Una storia.
“Non erano veri direte voi? Erano un sogno?”
Eppure, che cos'è una storia se non un atto, o meglio ancora un patto momentaneo di fiducia tra chi narra e chi ascolta?
“Cos'è un sogno. Anzi cosa non è un sogno? Non sono forse un sogno i vostri progetti e le vostre fantasie per il futuro? E le vostre paure, i vostri bruschi risvegli? Non sono forse il sogno di una notte? E quella persona per cui avete perso la testa che cos'è se non un sogno? L'amore forse? L’amore…”
Ecco la benedizione, ecco la speranza: risiede in coloro che sanno ancora illudersi, in chi sa ancora sognare, in chi ha la volontà di progettare, in chi non si spaventa dell'incontro tra sogno e realtà.
È di quelle persone che si lasciano andare all’amore, quello a prima vista o quello graduale che “come una ferita che si chiude, vi ha evitato di andare a sbattere dentro al caos impazzito del vostro amore dentro la vostra testa".
Appartiene, in fin dei conti, a chi ancora ha fede, in chi crede, a chi sa lasciarsi affascinare da una “storia” incredibile, al limite tra la realtà e la superstizione.
Francesca Sposaro
27 dicembre 2020
INFORMAZIONI:
ST. NICHOLAS
di Conor McPherson
traduzione Anna Ashton Parnanzini
reading agìto e a cura di Valerio Binasco
Trilly Produzioni