Recensione dello spettacolo Il Giardino dei ciliegi, in scena al Teatro Argentina dal 25 Febbraio al 8 marzo 2020 – ANNULLATO.
Questo articolo esce dopo che le ultime repliche, per le restrizioni imposte dalle esigenze di tutela della salute pubblica, sono state annullate. Abbiamo riflettuto sull’opportunità di pubblicare un articolo di commento, nel momento in cui il mondo del teatro è afflitto da tanta incertezza sul suo futuro. Omaggiare, come riteniamo di fare, uno spettacolo capace di mettere in mostra così efficacemente la potenza evocativa del teatro, ci sembra un augurio, il più sentito, e come tale speriamo sia letto.
Dalla stanza dei bambini non si esce mai. Si cade in un lungo sonno chiamato vita. Quando una scure arriva a recidere il giardino dove abbiamo deposto l’anima, è il momento di destarsi per andare avanti. Ma su quel pavimento si continua e si torna a giacere e tutto quello che era il nostro passato rimane sospeso nell’aria, sopra di noi.
Quando la proprietaria terriera Ljubov' (Valentina Sperlì), assieme alla figlia adolescente Anja (Marta Cortellazzo Wiel), la cameriera Carlotta (Chiara Michelini), il lacchè Jaša (Andrea Bartolomeo) ritorna da Parigi nei luoghi dell’infanzia, ad attenderla c’è, intatto, tutto il suo mondo. Il fratello Gaiev (Fabio Monti), la figlia adottiva Varja (Petra Valentini), la governante Duniaša (Arianna Aloi), il vecchio servitore Firs (Bruno Stori). Figure che, sollevate dal sonno della mente, ricominciano la loro fatua danza.
La proprietà è indebitata e sta per essere venduta. Il mercante arricchito Lopachin (Leonardo Capuano) suggerisce una speculazione edilizia: al posto dell’amato giardino dei ciliegi una schiera di villette per i vacanzieri della città. La proposta indigna tutti, che cercano confusamente idee per racimolare il denaro che serve: chiedere i soldi a una vecchia zia, combinare un matrimonio fra Varja e Lopachin. Nel frattempo le vicende dei personaggi si intrecciano, come in un minuetto: il contabile Epichodov (Massimiliano Donato) corteggia la vanesia Duniaša, che al contempo amoreggia con Jaša; Anja ha un debole per l’eterno studente Trofimov (Felice Montervino), un tempo precettore nella ricca famiglia; l’amico Piščik (Massimiliano Poli) fa divertire con la sua goffaggine, mentre attorno si brinda e si danza. Ma nulla di concreto succede, se non l’irreparabile. Il giardino dei ciliegi verrà messo all’asta e acquistato dallo stesso Lopachin, che chiude così il cerchio del suo riscatto sociale. A Ljubov', che per l’amore che porta nel suo stesso nome, ha sperperato i suoi beni, non resta che avviarsi verso un nuovo futuro, guidata dalla giovane figlia. Il passato, rappresentato del vecchio Firs, rimane lì, come un mucchio di terra spalato via, come un ricordo sospeso nel nulla.
Nell’allestimento di Il giardino dei ciliegi presentato al Teatro Argentina, il regista Alessandro Serra sembra meno interessato alle tematiche sociali, che pervadono l’opera di Čechov: la decadenza dell’aristocrazia incapace di gestire i suoi privilegi, l’ascersa di una nuova borghesia, conseguenza dell’emancipazione dei servi, i prodromi della futura rivoluzione bolscevica. Serra privilegia la dimensione più intima del nostro rapporto con il passato, come substrato inamovibile, con cui necessariamente si è chiamati a confrontarsi. Perché la vita non è altro che un muoversi di ombre, leggere ed impalpabili, proiettate sul fondale uniforme della memoria. Coerente a questa interpretazione, il regista recupera quella dimensione di commedia, che lo stesso Čechov auspicava, contrariamente alla lettura tragica, che, sin dai primi allestimenti, fu data all’opera.
Davvero stupefacente, per la suggestione che crea, è il lavoro che Alessandro Serra, regista – demiurgo (è anche autore delle scene, delle luci e dei costumi) allestisce sul palcoscenico del Teatro Argentina. Un fondale uniforme di tessuto dalle tinte neutre, dove i protagonisti si stagliano come in una foto virata al seppia o proiettano le loro sagome, grazie ad un calcolato gioco di luci. Movimenti scenici che animano le presenze sul palcoscenico, facendole roteare nel turbine di un ballo o che le congelano nella statica perenne di una foto di gruppo. Pochi simboli eloquentissimi: sedie vuote, destinate ad essere accatastate, un cumulo di terra preso a badilate sono sufficienti a descrivere il luogo della memoria. Dialoghi e monologhi, contrappuntati da una sottile ironia e talora da vere e proprie gag, che si susseguono in un afflato corale, dove i personaggi uniscono le singole individualità in un affresco d’insieme. E poi attenzione alle cromìe: da quelle mutevoli dello sfondo ai costumi, ove il bianco si oppone al nero, negli abiti delle due sorellastre. Ad ogni dettaglio Serra riserva una cura estrema, in uno sforzo titanico che abbaglia lo spettatore e su cui, talora, pesa solo la lieve ombra di un certo autocompiacimento per tanta capacità immaginifica. Gli attori, pur mostrando a pieno la loro valentìa, rinunciano volentieri al protagonismo, per unire le voci in una sinfonia dove non c’è spazio per il solismo.
La rappresentazione cui abbiamo assistito è stata l’ultima, prima della chiusura imposta dalle ben note vicende della cronaca. Non poteva esserci modo migliore per farci rimpiangere la suggestione unica del teatro. Dove, nulla potrà impedirlo, torneremo.
Valter Chiappa
10 marzo 2020
informazioni
IL GIARDINO DEI CILIEGI
Teatro Argentina
regia, drammaturgia, scene, luci, costumi Alessandro Serra
Valentina Sperlì Ljubov'
Marta Cortellazzo Wiel Anja
Chiara Michelini Carlotta
Andrea Bartolomeo Jaša
Petra Valentini Varja
Fabio Monti Gaiev
Arianna Aloi Duniaša
Leonardo Capuano Lopachin
Massimiliano Donato Epichodov
Massimiliano Poli Simeonov-Piščik
Felice Montervino Trofimov
Bruno Stori Firs