Recensione dello spettacolo Vetri rotti in scena al Teatro Eliseo dal 4 al 16 febbraio 2020
9 Novembre 1938. Uno schianto di vetri infranti attraversa l'Oceano.
Mentre in Germania la Notte dei Cristalli apre la tragica stagione della Shoah, a Brooklyn le gambe di Sylvia Gellburg (Elena Sofia Ricci), benestante signora ebrea, si afflosciano e cedono. Perché un clamore drammatico, ma così lontano, turba così tanto la donna al punto di ridurla all’invalidità? Forse perché altri vetri stanno andando in frantumi: il fragile equilibrio della sua vita privata, minato da cricche antiche e ormai insanabili. Il marito Phillip (Maurizio Donadoni) si rivolge al Dottor Harry Hyman (David Coco) per comprendere la malattia della donna: paralisi isterica di natura psicosomatica la facile diagnosi. Phillip è un uomo tracotante, spavaldo assertivo. Mentre l’affascinante medico entra in un invischiante gioco di seduzione reciproca con Sylvia, il viaggio nella malattia della moglie condurrà l’uomo a conseguenze irreparabili. Le sue certezze vanno in frantumi, come fragilissimi cristalli appunto. Cadono i pilastri del suo potere virile: fallisce sul lavoro; riconosce, forse anche a sè stesso, l’incapacità di amare, che da 20 anni lo rende impotente. L'inevitabile epilogo - e la guarigione di Sylvia - prevedono la tua morte.
Arthur Miller conduce uno spericolato gioco, trasportando una tragedia collettiva nel ristrettissimo ambito di un dramma intimo. Nella crisi di un legame si possono ricercare le motivazioni di un genocidio? La mente attiva dinamiche comparabili nell'uccidere una relazione e nello sterminare milioni di esseri umani? Phillip impedisce la carriera costringendola al ruolo di casalinga, le nega l’amore, autoinibendo le sue potenzialità virili. Per dare stabilità ad un ego traballante e tacitare l’incombente complesso di inferiorità, deve farsi carnefice della moglie. Il personaggio diventa così una efficace metafora del Nazismo. Per contro, l’infliggere a sé stessi la malattia, se in principio è la manifestazione un disagio ormai incontenibile, diventa lo strumento necessario per la cura. In quest’ottica la Shoah appare come il dolorosissimo prezzo pagato dal popolo ebreo per depurare una società dal marcio che in essa si annidava. Profonde elucubrazioni psicanalitiche, che si spingono negli abissi più oscuri della mente, vengono trasportate a livello sociologico, in una storia ove entrambi i contendenti sembrano seguire traiettorie di follia che, da un’unica origine, si dipartono in direzioni opposte.
Attorno, nelle scene di Andrea Taddei, mura anonime (di palazzi o di campi di concentramento?), da cui si intravede, in uno spiraglio, l’unico luminoso, il ponte di Brooklyn. Al centro della scena un letto matrimoniale, che, nel suo gelo, diventa il simbolo del dramma.
La natura fortemente cerebrale del testo fa sentire il suo peso particolarmente nella prima parte della rappresentazione, dove i personaggi, ancora coperti dal velo delle apparenze, si producono in dialoghi necessariamente compassati. Qui David Coco, nei panni del seducente Dottor Hyman, emerge con la sua pulita maniera, mentre Maurizio Donadoni, attore capace di esprimersi al meglio nell’impeto, risulta forzatamente contenuto. All'inverso, quando i personaggi si denunciano e quello che appare un comune dramma borghese evolve verso i connotati più neri, il protagonista prende il largo, staccando i compagni di scena, ancora impaludati in una forma impeccabile, ma statica.
Un discorso a parte merita Elena Sofia Ricci. L’attrice, oltre ad imporsi una performance virtuosistica in cui si nega l’uso del corpo, inchiodato alla sedia a rotelle, è capace di creare una tensione emotiva costante, una stridente nota di violino che attraversa l’intera rappresentazione e la platea. L’angoscia, il dolore, la compartecipazione emotiva passano principalmente attraverso la sua interpretazione, per cui le è stato conferito il Premio Flaiano 2018.
I drammi della storia ciclicamente tornano attuali. I malesseri della società emettono putridi odori, di fronte ai quali si tappa il naso. È allora nell’intimo delle nostre case, nelle crepe dei rapporti più comuni, che bisogna indagare con occhio limpido, se vogliamo che il pavimento di questo mondo non si riempia ancora di Vetri rotti.
Valter Chiappa
7 Febbraio 2020
informazioni
VETRI ROTTI
di Arthur Miller
con
Elena Sofia Ricci
Maurizio Donadoni
David Coco
e con
Elisabetta Arosio
Alessandro Cremona
Serena Amalia Mazzone
Scena Andrea Taddei
Costumi Barbara Bessi
Luci Gaetano La Mela
Musiche Stefano Mainetti
Regia Armando Pugliese
Produzione ErreTiTeatro30
Premio Flaiano 2018 a Elena Sofia Ricci per l’interpretazione