Recensione dello spettacolo Diary of a madman da Gogol in scena al Teatro Belli 17 e 18 dicembre 2019– Trend nuove frontiere della scena britannica XVIII edizione a cura di Rodolfo di Giammarco
Da generazioni e regolarmente ogni anno l’impresa familiare di Pop Sheeran è incaricata di ritinteggiare il Forth Bridge situato nel sud del Queensferry in Scozia. Un’importante multinazionale ha acquistato l’iconico ponte scozzese, decisa a utilizzare un’innovativa vernice di durevolezza ventennale. Pop Sheeran sta per perdere tutto, persino la ragione.
Il felice e sagace adattamento di Al Smith immagina il Popriščin di Gogol evoluto nel più contemporaneo Pop Sheeran alle prese con una generazione futura irrispettosa delle tradizioni e un male ereditario oscuro.
Sullo sfondo della Scozia agitata dalla corrente indipendentista, Pop, finora risoluto capo famiglia, inizia a dissociarsi dalla realtà. Complice della folle deriva che sta per turbare la vita della famiglia Sheeran, è la comparsa del giovane studente d’ingegneria, per giunta d’origini inglesi, arrivato per testare la nuova vernice. Pop sta per perdere tutto, anche sua figlia Sophie che cede al fascino del “nemico” inglese e pensa di andare a frequentare l’università di Edimburgo. Mentre il figlio maggiore, vittima anche lui del male ereditario, è assistito in una clinica psichiatrica, Pop tiene a bada il suo morbo oscuro con l’aiuto dei farmaci. Mel, amica di Sophie e figlia del collega di Pop, nonché assidua frequentatrice di casa Sheeran, è appassionata di moda e un’agguerrita scozzese tanto da tenere nella borsa il peluche di Greyfriars Bobby, il cane mascotte di Edimburgo con cui Pop avrà un’esilarante conversazione immaginaria. Sarà proprio lei a cucire il costume di William Wallace di Braveheart commissionato dall’ormai poco lucido protagonista. Come Aksentij Ivanovic che nell’opera di Gogol si proclama monarca di Spagna, Pop nei panni di Wallace rivendicherà l’indipendenza della Scozia e armato dichiarerà battaglia all’Inghilterra.
L’intricata commedia di Al Smith, scatenando risate a profusione, non cede a costruzioni scontate: rielabora la commedia di Gogol con arguta e vivida verve; tesse attorno ai suoi tensivi personaggi il contesto politico scozzese, eppure conferisce alla pièce più ampia parabola esplorando una dimensione condivisa, sociale e antropologica.
Ancora una volta Stefano Patti conferma sensibilità e perizia. Se fino ad ora il regista si era distinto per il suo stile asciutto ed essenziale, con Diary of a madman pervade la scena con intensità e materia. Sul fondo un’impalcatura massiccia è fulcro della scenografia con cui gli attori interagiscono con rampicate, discese e attorcigliamenti emotivi. I numerosi e repentini cambi a vista (casa Sheeran, il parco, il pub, il ponte) seguono il ritmo della brillante performance attoriale. Tutti irreprensibili e capaci di euritmica esecuzione: nei dialoghi convulsi, sovrapponendosi senza mai sovrastarsi; nelle sovrimpressioni visive in cui le concomitanze stratificano la scena. Su tutti, Marco Quaglia si distingue per intensità e versatilità, riuscendo a condurre gli spettatori nel mondo prima ostile, poi surreale di Pop. Patti, penetrante e scrupoloso, con Diary of a madman si conferma un regista poliedrico.
È certo che il connubio Smith/Patti sia fecondo. È confermato dal successo di Harrogate prima a Trend edizione XVII poi al Teatro Argot Studio nella stagione in corso. Gli spettatori nuovamente elogiano l’intesa con tante risate e infiniti applausi.
Caterina Matera
22 dicembre 2019
Informazioni
DIARY OF A MADMAN
di Al Smith, da Gogol
traduzione Stefano Patti
regia Stefano Patti
con Marco Quaglia, Sarah Sammartino, Federico Tolardo , Maria Vittoria Argenti eArianna Pozzoli
disegno luci Matteo Ziglio
musiche Mario Russo
attrezzista Daniele De Santis
script supervisor Francesca Silveri
assistente alla regia Laura Morelli
produzione 369gradi