Recensione dello spettacolo: Fronte del porto, di Budd Schulberg. Traduzione e Adattamento di Enrico Ianniello. Con Daniele Russo, Emanuele Maria Basso, Antimo Casertano, Antonio D’Avino, Sergio Del Prete, Francesca De Nicolais, Vincenzo Esposito, Ernesto Lama, Daniele Marino, Biagio Musella, Pierluigi Tortora, Bruno Tràmice. Regia di Alessandro Gassmann. In scena al Teatro Argentina dal 3 Dicembre 2019 al 15 Dicembre 2019
Li chiameranno incidenti quegli omicidi nei confronti di chi non si è voluto piegare. Verranno colpevolizzati anche da morti, per aver osato opporsi alla legge del capo, denunciando chi sfruttava ed uccideva. Per alcuni saranno solo spie, che se la sono cercata creando una rogna a quel bravuomo di don Giggino, colui che con i suoi scagnozzi, finti angeli custodi, controlla la zona portuale di Napoli, dando lavoro a tutti i bisognosi, logorandoli di fatica e di richieste di tangenti. Guai a contrastare don Giggino Compare..pessima idea quella di raccontare tutto in questura, si rischia “accidentalmente” di precipitare dal tetto della propria abitazione, come è successo a Peppe, reo di essersi ribellato alle ingiustizie di quel potere arrogante e disonesto che sa come mettere a tacere le persone scomode. Tra i pochi che hanno il coraggio di dire basta, c’è Francesco Gargiulo (Daniele Russo), ex pugile, uomo dall’animo ruvido ma non malvagio, caratterizzato da quella ingenuità delle nature semplici, anche lui costretto a sottostare, in qualità di scaricatore di porto, agli ordini di don Giggino (Ernesto Lama).
I giorni di Francesco sono diventati cupi come quell’acqua salmastra maleodorante di quel porto maledetto, dove la legge più severa è quella implicita, fatta di dimostrazioni pratiche riservate a chi non si piega. Ma la regola implicita, quella dettata dalla paura che porta a non sentire nemmeno emotivamente le ingiustizie, e soprattutto non riferirle, mal si coniuga con il desiderio di giustizia di Francesco. Tale necessità emerge tanto più forte ed urgente quante le volte in cui è stata compressa, imbrigliata e anestetizzata dalla paura e dal bisogno. E poi che modi quel prete...don Bartolomeo (Emanuele Maria Basso), anche lui implacabile cercatore di giustizia. Ma la sua è una giustizia che non passa dall’omicidio, bensì dal coraggio di denunciare, ridando così coscienza, dignità ma soprattutto identità a coloro che l’ avevano smarrita. Che dire di Erica (Francesca De Nicolais), la sorella di Peppe, che non si rassegna a cercare il colpevole dell’omicidio del fratello, contravvenendo alla regola paterna che la vuole studentessa in un convento. I morti fanno rumore specie nelle coscienze, e proprio quell’omicidio ai danni di Peppe, che ha visto Francesco inconsapevole complice, sarà motivo di un nuovo sentire e movimentazione collettiva che oltrepasserà le barriere della paura.
Percorsa da numerosi ed eleganti cambi scena assecondanti le sequenze originarie, la trasposizione teatrale diretta da Alessandro Gassmann della pietra miliare datata 1954 mantiene sapientemente la medesima natura cinematografica. Decisamente apprezzata la scelta di valorizzare alcuni passaggi narrativi fondamentali, attraverso una integrazione drammaturgica ben sostenuta da una recitazione partecipata e credibile che ben trasmette l’umano sentire di determinati personaggi. Esemplare, a tal proposito, l’esortazione da parte di don Bartolomeo alla ribellione: le sue parole sono potenti ed arrivano al cuore di ogni singolo lavoratore, creando una crepa nel muro dell’omertà. Significativo e ben rappresentato nella sua potenza, il parallelismo, ad opera dello stesso prete, tra la crocifissione di Cristo e quella dell’essere umano che subisce la propria crocifissione ogni qualvolta viene privato della sua libertà e dei propri diritti.
All’apprezzata fedeltà alla trama, si contrappone la discutibile scelta di ambientare l’intera vicenda nella realtà napoletana di inizi anni ‘80 creando una dissonanza e scostamento, forse eccessivamente marcati, tra la versione cinematografica e quella teatrale. Lodevole l’intento di Gassmann di denunciare alcune dinamiche criminali molto italiane e tutt’ora presenti e riportare alla ribalta un tema purtroppo ancora attuale, quale lo sfruttamento dei lavoratori. Tuttavia, si è corso il rischio di assistere a qualcosa di “altro” che, oltrepassando il giudizio estetico, ha lasciato disorientata una parte del pubblico.
Il don Bartolomeo di Emanuele Maria Basso differisce dall’equivalente personaggio interpretato da Karl Malden nel ‘54, per una certa mancanza di risolutezza e coinvolgimento nella vicenda, sfiorando quasi l’indifferenza, prima di assurgersi successivamente come riferimento umano e spirituale. Daniele Russo, nel ruolo che fu di Marlon Brando, nell’occasione in cui testimonia contro il suo boss, mette a nudo il suo aspetto più terreno ed immediato nel quale convivono esasperazione, paura e desiderio di giustizia.
Appare quindi evidente lo scrupoloso lavoro sui personaggi da parte di Gassmann, orientato ad intercettare l’aspetto umano degli stessi, distogliendoli da una certa astrazione. Molto accurata la scenografia, ideata dal regista stesso, costituita da pannelli mobili la cui rapida movimentazione, spesso automatica, crea nuovi ambienti, offrendo il giusto supporto alla trama ed impreziosendo la stessa. A separare la scena dal pubblico, un velo verticale trasparente della stessa ampiezza del palco diviene schermo che accoglie il susseguirsi di videografie (curate da Marco Schiavoni), creando così un efficace effetto di sovraimpressione decisamente suggestivo, elegante e poetico.
La buona fattura della pièce e l’indiscusso impegno realizzativo hanno decretato il meritato successo presso il nutrito pubblico del Teatro Argentina.
Simone Marcari
13 dicembre 2019