Recensione dello spettacolo teatrale Paura d’amare, di Terrence Mc Nally. Con Maria Rosaria Russo e Massimiliano Vado. E con Massimo Cagnina, Monica Dugo, Livia Cascarano, Federico Campaiola e Matteo Palmiero. Marlon è Antonio Gerardi. In scena al Teatro Brancaccino dal 24 Ottobre 2019 al 3 Novembre 2019
Le storie passate condizionano il qui ed ora rendendolo prevedibile e statico, perchè solo nella prevedibilità possiamo controllare ciò che non vogliamo ritorni dal passato. Oppure, al contrario, i trascorsi problematici possono velocizzare il nostro presente, trasformandolo in un futuro troppo immediato, magari per la frenesia di un riscatto immediato. Giovanni, chiamato Jhonny come la canzone Frankie & Jhonny, reduce da diciotto mesi di galera per truffa, cerca lavoro come cuoco in un ristorante della periferia romana dove viene assunto immediatamente, grazie anche ad una certa affabilità e perchè... una seconda opportunità si dà a tutti. Francesca, detta Frankie come la canzone Frankie & Jhonny, fa la cameriera nel medesimo ristorante: il suo sguardo è caratterizzato da un velo di tristezza e malinconia da cui si intravede una chiusura al mondo ed una vita prevedibile e solitaria.
Non sappiamo se fosse realmente amore o un forte desiderio di ricominciare a vivere, quello che Jhonny dichiarò sin da subito a Frankie, ma sicuramente lui fece di tutto per forzare la corazza con la quale lei si proteggeva dal mondo. Johnny non ha tempo per aspettare: ha conosciuto la galera e con essa il valore del tempo che egli non può più permettersi di sprecare. Jhonny vuole un riscatto dal passato e desiderio di emozioni intense, che solo il contatto con l’altro può restituire. La sua eccessiva velocità lo porta a verbalizzare parole d’amore fuori tempo, forse per il desiderio di sentirsele tornare indietro, e progetti di coppia troppo precoci per essere credibili: per non parlare del desiderio di figli..che argomento doloroso per Frankie! Alla velocità di Jhonny si contrappunta la forzata indifferenza di lei. Le ferite di Frankie le ricordano che non può permettersi altre delusioni perchè segnata indelebilmente proprio dalla eccessiva leggerezza avuta nel passato: i suoi desideri non comprendono l’altro e le sue serate solitarie si esauriscono attorno ad un film in VHS. La modalità relazionale con cui si oppone a Jhonny tradisce un reale desiderio di Frankie di concedersi alla vita, sebbene non possa permettersi di assecondare e accettarlo come parte di sè. I suoi rifiuti, mai somiglianti a chiusure definitive, sono caratterizzati da una intermittenza di aperture seguite da chiusure e allontanamenti e perchè: “Ho bisogno di stare sola per poterti dimenticare”.
Dimmi che di te mi posso fidare sembra essere il non detto che attraversa i vissuti apparentemente dissimili dei due protagonisti. Il loro interagire come il loro non interagire sembra nascondere il desiderio di testare la tenuta dell’altro. Ciò di cui necessita Frankie è una persona che rimanga, mentre Jhonny ha bisogno di essere abbracciato e rassicurato. Solo attraverso la fiducia reciproca le due anime solitarie si potranno incontrare.
Scritta da Terrence Mc Nally negli anni ‘80 con il titolo originale “ Frankie and Jhonny in the Clair De Lune”, la pièce fu rappresentata per la prima volta in teatro nel 1987; lo stesso drammaturgo curò anche l’adattamento cinematografico del 1991 che ebbe come protagonisti Al Pacino e Michelle Pfeiffer per la regia di Garry Marshall. Il lavoro registico di Giulio Manfredonia sembra orientato a preservare e restituire in forma teatrale la vibrazione emotiva presente nel film, ricostruendo un clima interiore atto a sostenere la densità dei dialoghi e il vissuto personale dei due protagonisti. L’intimità di alcuni dialoghi, simbolo del progressivo avvicinamento tra i due, è stata adeguatamente valorizzata attraverso una dinamica figura-sfondo. I due protagonisti, infatti, nei passaggi narrativi più densi, dialogano ad un angolo esterno al palcoscenico, quasi per comunicare che il contenuto delle loro parole e il modo con cui vengono pronunciate è di natura diversa rispetto al brusio dello sfondo e merita un altrove silenzioso. La densità di ciò che viene comunicato, anche con il non verbale, ci informa del sempre più consapevole desiderio di raggiungere l’altro e a questo affidarsi: confessare la propria età è indizio di complicità che trova il proprio compimento nella condivisione dei drammi delle loro storie precedenti. Elegante la scelta di dividere la scenografia ( curata da Elisa Bentivegna) in due differenti ambienti open space, senza isolare il nucleo narrativo principale, bensì inserirlo all’interno di un contesto-sfondo costituito da altre persone, che si muove e vive contemporaneamente ai due protagonisti. Quasi come un amico comune, che di noi si prende cura, la trasmissione radiofonica Mezzanotte con Marlon, diviene sottofondo e raccordo delle vicende umane, accompagnando la solitudine delle persone attraverso note romantiche e riflessioni sulla vita. Forse non immediatamente assimilabile, invece, la scelta di trasferire l’ambientazione dalla “originale” periferia di New York a quella romana, pur riconoscendo la bontà dell’intenzione di creare una similitudine tra le due periferie solo apparentemente distanti. Di buon livello è apparsa l’interpretazione corale che ha creato il giusto sfondo di diversificata umanità alla vicenda principale. I due protagonisti, Maria Rosaria Russo (Frankie) e Massimiliano Vado ( Jhonny), nonostante un inizio forse poco modulato e distaccato, sono stati artefici di un’interpretazione convincente ed in crescendo, che raggiunge piena credibilità nei passaggi emotivamente più intensi.
La corposa affluenza di un pubblico convinto testimonia il buon esito della non facile sfida, da parte di Manfredonia, di modellare in forma teatrale le atmosfere cinematografiche dotandole di una propria personalità.
Simone Marcari
3 novembre 2019