Recensione di Play Strindberg in scena al Teatro Eliseo dal 9 al 21 maggio 2017
Teatro di Basilea, 1969: va in scena Danza macabra, acclamato testo del drammaturgo svedese August Strindberg sull'orrore della vita coniugale. L'allora direttore teatrale Friedrich Dürrenmatt - anch'egli drammaturgo e scrittore di successo grazie all'irriverenza e alla feroce satira con cui tratta i più svariati argomenti – nonostante l'applauso del pubblico non è particolarmente soddisfatto delle traduzione e degli adattamenti che ne sono stati fatti. Decide, dunque, di esplorare a modo suo le possibilità del capolavoro strindberghiano: è così che nasce Play Strindberg.
Molto più di una variazione, stupefacente per la modernità delle intuizioni, incredibilmente dinamico nei dialoghi, il testo prende i tre protagonisti del dramma originale e li scaglia su un ring: undici round intervallati da un gong daranno vita a un verbale – e proverbiale - incontro di boxe. Da cui usciranno a pezzi il ritratto di una coppia piccolo borghese alla soglia delle nozze d'argento, la trama dell'immancabile triangolo amoroso e i valori della società di ieri come di oggi, tutti caduti sotto gli implacabili colpi del grottesco.
La versione portata in scena al Teatro Eliseo da Franco Però rende magnificamente tutta questa premessa: l'infernale coppia costituita dal macilento ma imperioso Edgard - capitano dell'esercito mai diventato maggiore - e dalla la diabolica Alice - attrice mancata e sposa infelice - è interpretata in maniera superba da Franco Castellano e Maria Paiato, mentre il ruolo del sornione Kurt è affidato a uno spassoso Maurizio Donadoni. I tre misurano i rispettivi enormi talenti con la sequela inarrestabile di battute, dialoghi, dispetti e vetriolo che è Play Strindberg senza rallentare di un solo istante il perfetto meccanismo che lo rende così irresistibile.
Grazie alle loro prodezze attoriali è finalmente possibile godere di un umorismo colto e feroce, ridendo a scena aperta di ciò che tutti avremmo voluto fare almeno una volta nella vita a due. E che Dürrenmatt, prendendo in prestito Strindberg, ci concede di esorcizzare con un ghigno.
Cristian Pandolfino
10 maggio 2017