Recensione dello spettacolo N.E.R.D.S. in scena al teatro Piccolo Eliseo dal 26 al 29 settembre 2019
Lo spettacolo scritto e diretto da Bruno Fornasari è ormai considerato il cult del teatro filodrammatici di Milano, una black comedy borghese che si fa specchio della contemporaneità, nutrendosi delle nevrosi che assalgono l’uomo del duemila.
Ma qual è la differenza fra le anatre e le papere? Una domanda buttata fra le righe in una dei fotogrammi dello spettacolo ma che sintetizza forse tutta la filosofia dell’allestimento: dietro a delle differenze che nessuno noterebbe si nasconde il senso segreto della realtà.
N.E.R.D.S. è un titolo dai molteplici significati, ma quello che forse maggiormente è la cifra di questa messa in scena è quello di Non Erosive Reflux Desease, la definizione istituzionale per designare il fastidioso bruciore di stomaco, più psicosomatico che reale malattia. Un bruciore che si crea attraverso le sedimentazioni dei pensieri della vita quotidiana e che si accumulano nelle viscere, ricoperti da un involucro perfetto, ben curato come il prato all’inglese della scenografia dello spettacolo.
Prato all’inglese vistosamente finto che domina la scena, insieme a pochi festoni e alcuni palloncini, uno dei quali scoppierà all’inizio dello spettacolo, quasi a svegliare lo spettatore e prepararlo a ciò che lo aspetta.
Ed è così anche per i protagonisti della storia, quattro fratelli che si incontrano per il cinquantesimo anniversario di matrimonio dei genitori, quattro caratteri costruiti a pennello, all’apparenza ognuno un po’ lo stereotipo di sé stesso, ma man mano che lo spettacolo prosegue ognuno di loro sembra squarciarsi facendo fuoriuscire un universo interno fatto di sfaccettature inaspettate, da nascondere, ma che sono la strada vincente per rendere i quattro protagonisti della storia difficili da abbandonare all’uscita dalla sala del teatro.
I quattro attori in scena, Tommaso Amadio, Riccardo Buffonini, Michele Radice, Umberto Terruso sono camaleontici senza bisogno di cambi d’abito, perché basta una borsetta colorata per segnalarci il passaggio ad un personaggio femminile, ma non servirebbe neanche quella perché persino uno sguardo riesce a rendere trasparente al pubblico la trasformazione. Il quartetto si incastra con un ritmo incalzante, che si alterna fra adagi e presti con dei doppi movimenti virtuosistici.
Assistiamo a brevi fotogrammi di vita dei quattro personaggi e degli altri caratteri che gli ruotano attorno, dei tableaux vivant che però desiderano staccarsi dalle pose plastiche con cui iniziano, per diventare pillole di quotidianità scomodamente reali.
Mila Di Giulio
30 settembre 2019