Domenica, 24 Novembre 2024
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Neve di carta al Teatro Argot : Bernardino portami via ti prego!

Recensione dello spettacolo teatrale: Neve di carta. Di Letizia Russo, liberamente ispirato ad “Ammalò di testa. Storie del manicomio di Teramo (1880 -1931)”. Con Elisa Di Eusanio e Andrea Lolli. Regia di Elisa Di Eusanio e Daniele Muratore. In Scena al Teatro Argot Studio dal 26 settembre 2019 al 29 settembre 2019

 

Una spinta opposta e grandemente più potente e radicata del pensiero individuale, capace di annullare il libero arbitrio e anestetizzare le emozioni: il retaggio culturale. Esso può uccidere e trasformarci in assassini inconsapevoli, inebriati da convinzioni che crediamo erroneamente “nostre”, somiglianti a sentenze dall’origine remota, rintracciabile nelle vie secondarie della cultura di appartenenza che, proprio come i vicoli dei paesi, rimangono immutabili, resistendo spavaldamente al tempo. 

Su uno sfondo storico dall’identità “precaria”, via mediana tra le due guerre mondiali, Bernardino ( Andrea Lolli ) e Gemma, entrambi abruzzesi, si sposano con la spontaneità e la leggerezza che solo la dolce ingenuità dell’ambiente contadino può restituire. All’entusiasmo di Gemma (Elisa Di Eusanio) finalmente sposa innamorata, la cui felicità sembra essere un ringraziamento alla vita, si contrappone, come un’armonia dissonante, l’anima pesante del marito. Questi, oltremodo sovraccaricato e assorbito fin nei tessuti epidermici dai dettami materni, diviene ben presto disconnesso dal suo reale sentire. La conclamata sterilità di Gemma risuona, infatti, troppo prepotentemente nello stomaco della madre di Bernardino, incarnazione della cultura dell’epoca, e la spensieratezza della ragazza sembra essere un affronto all’immagine della donna sottomessa ed imbevuta di doveri. La mamma di Bernardino manca di vedere il bello nell’alternativa, preferendo sbrigativamente attribuire tratti di pazzia e di stranezza a Gemma perchè non rispondente ai canoni culturali. Il manicomio a cui l’ubbidiente Bernardino accompagnerà la moglie sarà l’unica soluzione per spogliare questa dei “rami secchi”. Nel posto in cui ripuliscono le anime, in cui funziona tutto al contrario, perché si ride quando si dovrebbe piangere e si dorme con gli occhi aperti, Gemma scandirà il tempo della sua solitudine scrivendo lettere “di sola andata” al marito, imploranti di portarla via e di sottrarla alla morsa della pazzia, di cui sarà inevitabilmente preda. Non si può rimanere immuni in un ambiente malato, costituito da persone ,in origine, forse fin troppo sane da pensare autonomamente, colpevoli di essersi discostate dalle aspettative delle tradizioni, sfiorite ora all’interno di una gabbia che induce a diventare ciò di cui si è accusati. Le lettere di Gemma dal nucleo emotivo disperato, rabbioso e accorato rappresenteranno non solo un estremo grido di aiuto al marito, un grido sempre più rauco e afono, ma anche un ultimo tentativo di sopravvivenza. Attraverso la scrittura, Gemma riprende contatto con la sua parte cognitiva e con le proprie emozioni, sottraendole per un istante all’appiattimento e alla distorsione.

Sono passati dieci anni...le lettere senza risposta sono quasi seimila . E Bernardino non si vede.

Liberamente ispirata al libro di Annacarla Valeriano: “Ammalò di testa. Storie del manicomio di Teramo (1880 - 1931)”, la drammaturgia di Letizia Russo appare densa e asciutta, dove ogni singola frase, come una tessera di mosaico, sembra selezionata per essere quella e non altra, divenendo a volte metafora a volte verbo tagliente. La neve di carta rappresenta i frammenti delle lettere di Gemma mai arrivate a destinazione che sembrano venire incontro a Bernardino durante il suo cammino verso il manicomio: come la neve, anche quella di carta sembra destinata a sciogliersi dopo aver ricoperto l’ambiente circostante, lasciandoci solo un ricordo vago, forse anch’esso provvisorio, di ciò che è accaduto. La pièce sembra essere anche il racconto di comunicazioni ed intimità mai avvenute, forse per ignoranza o per necessità: Bernardino parla di sè con la luna piuttosto che con Gemma, mancando di salvare sia se stesso dalla miopia relazionale, sia la sua sposa terrorizzata dal più grande incubo, quello di essere dimenticata e rinnegata. Anche Gemma può solamente immaginare la conversazione con il marito, pensandolo nel campo, che una volta era il loro campo, immerso tra gli ulivi. La legge materna diviene un introietto, un concetto, una norma comportamentale ingoiata senza essere stata masticata e discussa dal ricevente. Solo dopo dieci anni Bernardino, a ridosso della morte della madre, sembra inizi per la prima volta a prendere contatto con se stesso e decidere di rivedere la moglie. Il suo atteggiamento, tuttavia, non del tutto scevro dai dettami della cultura di appartenenza, esprime una sorta di deresponsabilizzazione nei confronti del suo stesso agito. Egli infatti attribuisce alle gambe che vanno da sole la responsabilità del suo ritorno. 

Decisamente apprezzabile e ben integrato con la drammaturgia, l’intervento registico della stessa Di Usanio e Daniele Muratore, atto a restituire immagini e fisicità al suono della scrittura, enfatizzandone la medesima nota emotiva attraverso un raffinato intervento sulla corporeità ed espressività degli attori: Bernardino è rivolto costantemente di spalle rispetto a Gemma, in una posizione periferica del palcoscenico e con il capo chino, come a rimandare un senso di vergogna, disconoscimento e impotenza rispetto ad una situazione più grande di lui da cui non si è mai affrancato. Non sempre immediatamente intellegibile in tutti i suoi aspetti, la drammaturgia ha rischiato a volte di essere ulteriormente sovraccaricata da simbolismi e sotto testi che, pur impreziosendo la rappresentazione, hanno rischiato la cripticità, come ad esempio il tema della gravidanza di Gemma raccontato in modo simbolico ed ermetico. L’impalcatura registica e drammaturgica trovano il loro naturale sbocco nella impeccabilità recitativa dei due attori: questi arricchiscono di credibilità la pièce, riuscendo a coinvolgere emotivamente il pubblico che, affrancato dal ruolo di spettatore neutrale, diviene co - protagonista della intelaiatura drammatica resa ancor piu immediata dal mantenimento dell’inflessione dialettale abruzzese. Andrea Lolli riesce efficacemente ad imprimere ruvidità e semplicità al personaggio maschile di estrazione contadina alla cui staticità corporea e di pensiero si contrappunta il vigore ribelle del personaggio di Elisa Di Eusanio, entrambi adeguatamente “vestiti” da Angela Di Eusanio. Le musiche di Stefano de Angelis e le luci curate da Camilla Piccioni colgono ed assecondano l’emotività sottostante la narrazione. La scenografia curata da Azzurra Angeletti, rappresentante l’austerità disordinata dell’interno del manicomio, diviene metafora esterna della cupezza dell’animo umano e del suo sfiorire in un ambiente che sarà sempre nemico mortale. 

 

Simone Marcari

29 settembre 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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