Ottima risposta di pubblico e tanti applausi per l’opera di Verdi portata in scena da Denis Krief in una cornice così complessa ma al contempo sempre sfidante
Per parlare dell’Aida in scena in questi giorni alle Terme di Caracalla, vogliamo partire con le parole del regista Denis Krief che rendono al meglio l’idea di portare un’opera così celebre e scenograficamente complessa in una cornice storica e naturale di quel calibro: «L’Aida è un incubo per un regista a Caracalla. È sempre una scommessa lavorare su palco grandioso e gestire gli spazi.
Non è la prima volta che affronto Aida, ma dovevo cercare di fare qualcosa di diverse e non guardare agli altri. Si deve capire che Aida ha una drammaturgia molto diversa rispetto al Rigoletto e Traviata e si potrebbe pensate che non ci siano più le grandi drammaturgie di fine Ottocento. Il libretto è di impronta francese e la struttura è molto diversa». Così l’opera di Giuseppe Verdi viene trasformata in un «Un grande oratorio per pini, cipressi a ruderi meravigliosi» sempre secondo le parole del regista francese tornato a Roma (dopo la Turandot estiva del 2015 e prima del suo Montecchi e Capuleti nella nuova stagione) e che dell’ Aida cura non solo la regia, ma anche le scene, i costumi e le luci e che vede sul podio il ritorno dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, il maestro Jordi Bernàcer.
Certo non sono più i tempi in cui a Caracalla, per mettere in scena l’antico Egitto si scomodava la fauna africana con elefanti o almeno con i cammelli: la principessa schiava di Menfi, adesso torna tra i ruderi delle terme romane in una veste più dimessa ma non per questo meno suggestiva. D’altronde quando si assiste a un’opera del genere in un contesto simile, a far da padrona più che l’impressione estetica è la Storia.
Egitto o non Egitto è il dubbio amletico che si è posto il regista ed effettivamente l’occhio, che cerca la sua parte, rimane un po’ spiazzato da una scenografia che inizialmente ricorda più la morigeratezza spartana che il lusso e lo splendore delle piramidi. Eppure, nonostante la razionalità dello stile, che richiamava a forme asettiche di paesaggi lunari o comunque più spaziali che terreni, la piramide e i due muraglioni imperiosi in scena si prestavano bene alla funzionalità dell’opera. Ecco sì, è stata un’Aida funzionale e che, nel complesso, ha ben trasmesso il messaggio di liricità, cerimoniosità e tragedia che essa emana.
La mobilità degli elementi sull’arena davano modo di avere percezioni dei protagonisti a 360 gradi e gli spazi che si aprivano all’interno cavo di questi regalavano una prospettiva a nicchia vetrata molto intrigante e originale: un po’ come spiare e curiosare senza essere visti all’interno di una preziosa teca di vetro le performance degli attori.
Così la tomba in cui Radamèe e Aida vengono sepolti vivi, resta spazio aperto per gli occhi esterni e prigione a vista per chi è condannato ad un’eternità di misera clausura.
Musicalmente, dopo un qualche problema al sonoro iniziale, tutta l’opera confermava le attese in un crescendo che ha conosciuto l’apice naturale nella marcia trionfale – presentata con coro di trombe egizie in abiti ottocenteschi, in marsina e cilindro – per tornare al classico tono che ogni tanto, in verità, rallentava dilatando la drammaticità delle scene.
Scene rese frizzanti e allietate sicuramente dai momenti di danza classica che ben si sposavano con la frizzante atmosfera estiva e che leggeri come brezza delle sere di luglio all’aperto a folate rianimavano il clima tragico di ciò che in scena si narrava.
Bravissima e magistrale Vittoria Yeo che nel ruolo di Aida è riuscita a trasmettere tutte le emozioni provate dalla protagonista principale e che in ogni scena ha saputo accompagnarsi alle arie musicali interpretandole perfettamente. Di sicuro, come già scritto e fatto notare, spicca la delicatezza con cui si esibisce in “Numi pietà” ma anche come, per tutta l’opera, sia riuscita a mantenere un ottimo livello costante. Bene anche Alfred Kim nei panni di Radamès che nonostante l’acustica sempre un po’ ostile delle Terme ha dato buona prova di sé, spiccando e regalando momenti emozionanti agli spettatori.
Infine un grande plauso all’orchestra e al suo maestro, che hanno saputo regalare con le loro sinfonie e le loro arie un tocco di Egitto in un gioiello di antica Roma.
Federico Cirillo
16 luglio 2019