Recensione di Alla ricerca del tempo perduto, adattamento di Duccio Camerini, regia di Pino di Buduo in scena all’ Off Off Theatre dal 12 al 14 aprile 2019
Marcel il bambino dalla salute cagionevole, fragile e dipendente dalla madre e dalla nonna.. Marcel l’adolescente ipersensibile ai primi amori fallimentari che deve fare i conti con il rifiuto di Gilbert…Marcel e la sua aspirazione a diventare scrittore che viene frustrata dal mondo esterno…Marcel e il suo amore ossessivo per Albertin, fino al punto da renderla prigioniera nel suo appartamento giungendo ad un tragico epilogo che lascerà lo scrittore svuotato, attonito, sconvolto..
Alla ricerca del tempo perduto è la storia di un’anima, quella di Marcel, o meglio del punto di vista di Marcel. È un viaggio nel tempo, negli odori, nei sapori della vita del protagonista pur non essendo la sua autobiografia. Molti episodi narrati rievocano aspetti, situazioni, accadimenti che appartengono a Proust, ma trasfigurati da una dimensione onirica che nell’adattamento teatrale viene ricreata dalla scelta registica di Pino di Buduo di utilizzare una scenografia digitale di Stefano di Buduo, costituita da immagini varie, da pitture ottocentesche a immagini monocromatiche o a più motivi. Le luci sempre basse accentuano la percezione di un’atmosfera d’irrealtà, di moti dell’animo in cui tutti possono identificarsi, quindi di universale.
L’attenzione del pubblico è puntata sull’unico attore in scena, Duccio Camerini, vestito casual con un jeans e una camicia che lo rende il più anonimo possibile, per poter poi all’occorrenza prestare il volto e la voce a tutti i personaggi presenti nell’opera. Sua unica compagna di scena, una rete da letto, allestimento non casuale, che accorre in soccorso alle scene di sesso etero e omosessuale rievocate sul palco. Più di un’ora di serrato monologo in cui Camerini passa vertiginosamente da un personaggio all’altro, dimostrando una non comune capacità istrionica di caratterizzare personaggi maschili e femminili, che si susseguono, si rincorrono nella rappresentazione, lasciando l’attore quasi senza respiro.
I sette volumi di cui si compone l’opera, sono messi in scena in questo breve lasso di tempo. Come è stata possibile una tale impresa? L’adattamento di Camerini ha condensato in poche scene tutto il senso dell’opera, selezionando i momenti fondamentali dell’evoluzione dell’anima di Marcel, riuscendo a conservare intatto il suo significato: il tempo interiore non è quello oggettivo della scienza, è una dimensione della psiche che racchiude tutti i ricordi dell’esistenza, apparentemente perduti, ma che da uno stimolo possono essere resuscitati. In essi è possibile ritrovare l’essenza dell’esistenza umana. Dunque i personaggi in scena sembrano essere più dei contorni, il vero protagonista è l’interiorità dell’individuo in cui presente, passato e futuro sono concentrati nello stesso istante. Bisognerà giungere alla conclusione per poterlo comprendere fino in fondo.
Il pubblico in scena applaude con entusiasmo e ammirazione l’impresa titanica di Camerini, di Pino e Stefano di Buduo, che hanno vinto la sfida di rendere fruibile attraverso il teatro alcune delle pagine più complesse della letteratura del Novecento.
Mena Zarrelli
18 aprile 2019