Venerdì, 22 Novembre 2024
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Ululuna: la capacità irrazionale di inventare storie possibili

Benni e il Teatro Stabile di Roma portano in scena dal 9 al 14 aprile 2019 Cortazar, ossia la libertà di vivere slegati da passato e futuro nell’essenza autentica del sogno.

Tra i sospiri e i rumori reali degli spettatori che, ancora assorti, sento alzarsi a fine spettacolo, all’interno di quel gioiello posto sull’Aventino che è il teatro Anfitrione, vedo uno Stefano Benni seduto da qualche minuto ad uno dei posti in platea. «Molti – mi dice – mi hanno domandato, in maniera anche inaspettatamente stupita, perché non avessi portato in scena un mio testo. L’unica risposta che ho dato è stata: ho portato in scena il testo di qualcuno che era migliore di me». Parafrasandolo e riadattandolo a suo modo, come sempre diretto e sagace, il “Lupo” Benni accende nella mia mente il concetto che fu di Bolaño: «Cortázar es el mejor».

Ecco, Ululuna, in scena fino al 14 aprile, riapre i cancelli verso quella dimensione poetica e al tempo stesso narrativa e illusoria di Julio Cortazar, il maestro della creazione fantastica applicata al testo. Si parte con il vecchio Julio - interpretato dallo stesso Stefano Benni che dello spettacolo è interprete e in parte autore – scrittore nostalgico e ormai giunto alla fatidica ora che sta per passare. Il protagonista ricorda pezzi e versi della sua giovinezza e attraverso la lettura, questi piccoli spunti di esistenza prendono man mano corpo sul palco e accanto agli spettatori. 

Il racconto si fa soffio vitale e, mischiandosi alla percezione della memoria e a quella inestricabile e dolcemente inspiegabile della fantasia, genera personaggi in carne ed ossa. Succede così che Julio il giovane – interpretato con naturalezza e lodevole espressività da un bravissimo Francesco Guglielmi – prenda forma davanti al suo sognante doppione e…inizia a sognare con lui. 

Già dal prologo, poi, viene fuori tutta la carica umoristica, geniale e anche fanciullesca dello spettacolo. Il Preambolo alle istruzioni per caricare l’orologio scritto dallo stesso Cortazar in Storie di cronopios e di famas e interpretato da Benni, è l’elogio del rifuggire la linearità delle cose reali, il desiderio di rifugiarsi in una realtà inventata e costruita a misura di artista: un po’ poeta, un po’ inventore e sì, anche un po’ Dio in quanto demiurgo e creatore di un mondo nuovo.

Così nascono i cronopi, invenzione geniale del maestro argentino che compaiono e scompaiono, compongono e scompongono l’illusione, rendendola fattuale e concreta: in fin dei conti è proprio questo che lo scrittore fa davanti alla sua muta pagina bianca, macchiata di nero.

Lo spettacolo, dunque, è un racconto: di una vita, di tante vite, di ricordi, di sogni, di ambizioni e di rammarichi. L’intento è sì quello di omaggiare un grande autore, ma questo diventa lo spunto per riflettere sull’esistenza di ognuno di noi. Quanti si sono ritrovati come quel bambino che, costretto in un’ipocrita gabbia di convenzioni e di divieti, sfida il mondo e si getta a capofitto tra le braccia della libertà che ha assunto le forme mai imprigionabili del mare? Chi, in un momento di sconforto o di improvvisa rassegnazione, non ha allungato la mano per aggrapparsi alle fantasie e alle illusioni che con le loro capriole e i loro versi talmente discordanti e stonati hanno poi dato origine ad una perfetta melodia? 

Ammetto che, personalmente, sono rimasto molto colpito dalla lettura di un momento tratto da L’ora più bella di Benni: è stato l’attimo in cui, vedendo collimare le linee narrative dei due autori, è venuto a crearsi un orizzonte mentale che ha acceso ricordi. Un invito a tutti a ricercare, nonostante il presente e in attesa del futuro, quell’attimo più bello e intenso vissuto o anche solo immaginato, per il quale vale, sicuramente, ancora la pena di guardare oltre lo scoglio.

Chiudendo per un attimo il rubinetto dei sogni, va assolutamente omaggiata la regia del giovanissimo (classe ’95) Jacopo Neri chiamato ad un lavoro per nulla facile ma che, anche coadiuvato dall’esperienza di Benni, ha saputo portare a termine in maniera perfetta e, sì, anche semplice, nel senso più puro e netto del termine. Benni, d’altronde, ama lavorare con i giovani e a loro si appoggia ricevendo, di rimando, una performance ottima: la compagnia del Teatro Stabile di Roma e il suo direttore esecutivo Maria Beatrice Alonzi danno l’anima e il cuore e travolgono con naturale entusiasmo il Lupo Benni che, come ha dichiarato, su di loro scommette, e fa bene.

Chiara Cappelli, Amandine Delclos, Margherita Maggio, Maria Caterina Catroppa, Francesco Renna, Valeria Pian, Chiara Cappelli, Rachele Patanè, Lorenza Molina, Federica Ciminelli, Lorenzo Giovannetti, Francesca Romana Filippo, interpretano, anzi si vestono, anzi ancora di più diventano davvero i buffi, irriverenti, rumorosi e irrazionali cronopios, "la creazione - come scrisse Italo Calvino - più felice e assoluta di Cortazar".

Infine una nota che vuole solo aprire una riflessione: la risposta tiepida del pubblico romano. Cosa è successo? Forse la disabitudine all’ascolto e la voglia di scontata superficialità ci ha fatto un po’ perdere il gusto della curiosità e dello sperimentare un qualcosa di diverso? Forse la paura di ciò che non si conosce e anche la paura dell’ammettere che non si conosce, ha posto un freno alla nostra connaturata passione della scoperta e dell’apprezzamento per le cose semplicemente belle? Ogni tanto, amici romani, uscire dalla banalità dello scontato e dal sicuro nido di cose usuali che piano piano, sotto i nostri occhi si logorano nel giro di una risata sguaiata, potrebbe portare nuovamente ad aprire quell’incredibile capacità di inventare e di sognare e potrebbe davvero farci uscire dalla condanna che subisce colui che “non legge Cortazar”, ricominciando poeticamente ad immaginare.

D’altronde, dovremmo smetterla di scappare di fronte a chi ci offre pagine bianche per creare e dovremmo avere nuovamente il coraggio di prenderle in mano con decisione: “quando a un bambino regali una penna e un foglio di carta, non sai quale meraviglioso e terribile sortilegio hai evocato, non sai che hai messo in moto una nuova misura del tempo, un orologio piccolo come un graffio di alfabeto e grande come la biblioteca di tutti i sogni”.

 

Federico Cirillo

14 aprile 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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