Recensione di Giovanna D'Arco in scena al Teatro Vascello dal 9 al 14 aprile 2019. Regista, autrice ed interprete Monica Guerritore.
“ . . . Esistono sempre al mondo 36 Giusti, nessuno sa chi sono e nemmeno loro sanno d’esserlo ma quando il male sembra prevalere escono allo scoperto e si prendono i destini del mondo sulle loro spalle e questo è uno dei motivi perché Dio non distrugge il mondo”. Secondo un racconto della tradizione ebraica, anche nei momenti più bui della storia dell’umanità, Dio avrebbe inviato sulla Terra degli spiriti giusti, “eletti” che hanno fatto scelte alternative rispetto alla maggior parte dei loro contemporanei, rifiutandosi di accettare le ingiustizie. La pulzella d’Orleans, Giovanna d’Arco, appartiene a queste preziose anime. L’intenso, emozionante, sferzante testo di Monica Guerritore ci conduce nelle singolari vicende di questa giovanissima contadina che si presenta alla corte del futuro Carlo VII di Francia, chiedendogli di mettersi a capo dell’esercito francese per cacciare definitivamente gli Inglesi.
Giovanna è analfabeta, fino a poco tempo prima non sapeva combattere... e soprattutto è una donna. Siamo nel 1429, imperversa la Guerra dei Cent’anni: simili eventi per la sua epoca sono al di fuori dell’accettabilità sociale e morale. In più la ragazza afferma di essere ispirata direttamente da Dio, di avere visioni di angeli e Santi e di sentire delle Voci che la spingono ad agire per difendere la patria. Una fede autentica contro ogni limite umano la porta ad imparare a combattere in tempi brevissimi e convincere il re ad affidarle la guida dell’esercito. Il Delfino reale, pensando probabilmente di servirsi del suo entusiasmo e della sua determinazione, accetta la sua richiesta. Una Guerritore che diventa un tutt’uno con il suo personaggio e dal cui corpo e viso sprigiona tutta la sofferenza di Giovanna: il suo sudore, i suoi gesti, i suoi affanni non appartengono solo a Giovanna D’Arco ma parlano anche per noi e di noi, accomunati da un archetipo che ci lega nel dolore, proprio come Maria, anche lei ebbe la chiamata, ma mentre Maria dopo fu donna, lei no.
La pulzella d’Orleans indosserà infatti abiti maschili e l’armatura, tradendo tutti gli stereotipi di genere, in un tempo storico in cui alla donna comune non era riconosciuta nessuna forma di uguaglianza all’uomo. Il suo straordinario coraggio di sfidare luoghi comuni e convenzioni di ogni tipo ne fa un personaggio ieratico, ben rappresentato dalla figura dell’attrice solitaria sulla scena che, con tutta l’imponenza della sua figura, con un gioco di luci che a tratti si concentra su di lei, a tratti la lascia nel buio, a tratti ne proietta l’ombra al muro, comunica tutto il dramma e il dolore di chi ha scelto di ascoltare dentro di sé l’autentica voce che chiama al proprio destino. La luce stessa sembra essere una spada che ora l’attraversa, ora la fende e la colpisce lasciandola nel buio del suo destino. Questo la condurrà alla vittoria dei Francesi, ma quando il re scenderà a compromessi con gli Inglesi, lei vuole continuare a combattere da sola e sarà ferita ad una spalla nei pressi di Tourelles. Il dolore sarà lancinante e per alcuni momenti la paralizzerà facendola svenire, ma in quei momenti la Voce le dice di alzarsi perché la Fede può non far sentire il male..e il male svaniva.. Sul palco intanto scorrono le immagini di un’intera umanità ferita, di cui la più significativa quella del fungo atomico del 1945 sulle note della canzone dei Queen Show must go on, sintesi dell’universalità della ferita di Giovanna.
L’ausilio di immagini e video sono parte integrante della drammaturgia della Guerritore che, mentre racconta le vicende storiche, intervalla la narrazione con momenti del processo per eresia a cui l’apostata Giovanna, che osa sostenere di parlare con Dio, viene sottoposta dopo la cattura. Un tribunale ecclesiastico asservito agli Inglesi la processerà accusandola di essere una traditrice, crudele, sediziosa, che oltraggia Dio e gli uomini di Chiesa ma lei nonostante le torture, le violenze psicologiche, la paura di morire, continuerà ad urlare fino alla fine che loro non sono la chiesa, non sono Dio, mantenendo la lucidità di distinguere tra potere temporale e un autentico spirito religioso. È proprio questa verità interiore che le dà la forza di arrivare fino al martirio finale del rogo in cui verrà bruciata il 30 maggio 1431. Per tutta la rappresentazione sarà presente sulla scena il palo del rogo come un attore aggiunto che, con il suo silenzio ingombrante, ci ricorda continuamente l’esito a cui giungerà la lotta di Giovanna D’Arco contro l’esercito inglese, contro la tradizione e le convenzioni sociali, contro le masse eccitate dalla paura del diverso, contro il potere politico della Chiesa che rinnega in ogni suo atto la parola del Vangelo.
Una presenza angosciante che rimanda alla solitudine e all’epilogo della vita di quegli esseri umani, i Giusti, incarnati da Che Guevara, Martin Luther King e Giordano Bruno che, ascoltando la propria voce interiore, sono accomunati dalla lotta contro le ingiustizie di una società ancora profondamente basata su discriminazioni di genere, su saperi e poteri precostituiti e su disuguaglianze sociali. Le loro immagini scorreranno sullo sfondo a più riprese duarante il monologo della Guerritore.Tali immagini non hanno uno schermo ad accoglierle ma riempiono l’intera scena sovrapponendosi ed investendo il corpo di Giovanna D’Arco, quasi a significare l’eterna presenza della sua anima, che appiana i dislivelli temporali, nelle lotte contro le ingiustizie, assumendo un afflato universale. E proprio le parole del De Immenso di Giordano Bruno concludono la messa in scena dando voce a tutti i Giusti del mondo che hanno sacrificato la propria vita per le loro idee.
Una Guerritore provata, commossa, che trasfonde una palpabile emozione al pubblico, ringrazia e si intrattiene a spettacolo concluso a spiegare la sua affezione alla rappresentazione in cui con evidenza incontrovertibile, ha profuso tutta la sua tensione etica, religiosa e sociale. L’attrice ci racconta la parte umana ed eroica di Giovanna D’Arco, guerriera lottatrice ma, esattamente come Gesù, umanamente impaurita dalla morte, dualità ben espressa dalla scelta registica di ricoprire solo metà del corpo con l'armatura. Un pubblico palesemente emozionato e commosso esce silenziosamente dal teatro custodendo gelosamente il vissuto della serata. Sarà difficile per l’attrice distaccarsi dal suo personaggio, sarà impossibile per noi pensare di essere stati solo a teatro.
Mena Zarrelli
14 aprile 2019