Recensione dello spettacolo La pacchia è finita in scena all’Off /Off Theatre dal 9 all’11 aprile 2019
Il pungente titolo ricorda qualcosa… Un avvertimento, una minaccia? “Me ne vado per un’idea”: uno slogan fuorviante! Eh sì, La pacchia è finita, ma finita per chi?
Il regista Lorenzo d’Amico de Carvalho porta in scena il testo di Anne-Riitta Ciccone e i suoi tre monologhi: “Sulla Stessa Barca” (Gianvincenzo Pugliese), “La Santa” (Maria Vittoria Casarotti Todeschini), “Kappatrequattrocinquebis” (Gabriele Stella).
La scena essenziale, due teli bianchi e uno sgabello, lascia ampio spazio all’interpretazione dei giovani attori. Gianvincenzo Pugliese è un migrante reduce dalla traversata in mare, avvilito racconta del tragitto infernale; poi, stizzito non manca di additare il pubblico in sala con accuse dirette, taglienti e sprezzanti.
Quanto ci piacciono le arance e i pomodori a basso costo? Potremmo non trovarne più nei supermercati. Allora sì che la pacchia sarebbe finita.
Sebbene, il testo sia estremamente esplicito fino al punto di cadere a tratti nella retorica sull’immigrazione, Pugliese centra bene il sottotesto del suo personaggio ed è capace di mitigare la ridondanza grazie ad un giusto equilibrio interpretativo.
Paradossale è il titolo del secondo monologo che ha come protagonista una prostituta. Maria Vittoria Casarotti Todeschini, con valide doti mimico/gestuali, ostenta un corpo abusato e vessato.
Una bellissima ragazza con la volontà di diventare suora viene strappata alla sua vita pura con l’inganno. La giovane decide fare di questo mestiere una vocazione: donare il suo corpo a uomini soli e infelici senza ricevere alcun compenso. Ovviamente, i “protettori” non saranno altrettanto magnanimi.
La velata ironia, non sempre colta dagli spettatori, esplode nel terzo monologo. Gabriele Stella è “Kappatrequattrocinquebis” un androide full-optional capace di svolgere attività quotidiane e addirittura appagare appetiti sessuali. Il sarcasmo e l’impeto di Stella –abile è l’attore nell’esecuzione ritmica – suggellerà l’amarezza avvertita. Peccato che, rispetto ai precedenti, sia un monologo fulmineo.
Lorenzo d’Amico rende concreta e netta la distinzione tra i tre monologhi: il crescendo emotivo e la reciprocità tra gli attori e lo spazio scenico si dilatano senza interruzioni fino al monologo finale. Infatti, ne La Santa Maria Vittoria Casarotti Todeschini interagisce con i teli bianchi che prendono vita e, nell’ultima sequenza, una cascata di oggetti invade il palco.
La pacchia è finita esaspera i toni fino a rendere grotteschi i suoi protagonisti, accentuando per di più le inflessioni linguistiche; vuole rivelare la distorsione tutta italiana che muta le vittime in colpevoli; capovolgere gli stereotipi e sottolineare quanto i giudicanti dovrebbero auto-giudicarsi; non insegue sentimentalismo. Eppure, quella discordanza che desidera firmare non attecchisce in profondità. Il testo è sovrabbondante ed esaustivo, sovrasta lasciando poco margine di partecipazione allo spettatore. Un’operazione di snellimento del testo e un più accurato uso delle luci renderebbero La pacchia è finita uno spettacolo ancor più unico e necessario.
Caterina Matera
12 aprile 2019
Informazioni
La pacchia è finita moriamo in pace
di Anne-Riitta Ciccone
con Maria Vittoria Casarotti Todeschini Gianvincenzo Pugliese
regia Lorenzo d’Amico de Carvalho
costumi Andrea Sorrentino
musiche DJ QZU
sartoria Roberta Russo – Roma